Kintsugi: Il kintsugi (金継ぎ), o kintsukuroi (金繕い), letteralmente “riparare con l’oro”, è una tecnica di restauro ideata alla fine del 1400 da ceramisti giapponesi per riparare tazze in ceramica per la cerimonia del tè, Cha no yu. Le linee di rottura, unite con lacca urushi, sono lasciate visibili, evidenziate con polvere d’oro. Gli oggetti in ceramica riparati con l’arte Kintsugi diventano vere opere d’arte: l’impreziosire con la polvere d’oro accentua la loro bellezza, rendendo la fragilità un punto di forza e perfezione. Ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate unico e irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi. La pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.
Ci siamo stufati degli open world: è innegabile. Ci siamo stufati della solita solfa. Sì, contiamo nulla rispetto al mondo mobile eppure i videogiochi tripla A sono sempre più grossi e sempre più costosi. L’industria è al collasso e tra i tantissimi fattori c’è anche questa insofferenza verso il trito e ritrito, verso i giochi con mappe enormi e vuote, piene di segnalini che sommergono l’interfaccia, ma che privano i titoli del loro senso, della capacità di raccontare qualcosa a chi è dall’altra parte dello schermo.
Ghost of Tsushima in questo non fa eccezione:
è un Tripla A Sony con una storia interessante e molto lineare, quest e subquest sparse per la mappa, un combat system che funziona bene con tante influenze, tante abilità da trovare, sbloccare, usare, e i soliti difetti e momenti noiosi dei titoli ad alto budget moderni.
Un open world ARPG classicissimo con un po’ di quel gusto alla Kurosawa che piace tanto sia all’occidente che all’oriente. Praticamente uno dei livellatori massimi (
anche perché è un alieno) della settima arte. C’è qualcosa in
Ghost of Tsushima, però, che ripara le crepe fatte dai suoi predecessori.
Una foglia d'oro che satura le ferite e mi spinge ad arrivare fino alla fine
Io ho un problema con questi giochi.
Forse con i giochi in generale, perché non riesco a passare sopra il ritmo, sopra la performance, sopra lo
spettacolo. Con questi giochi io ho un problema perché tutte quelle indicazioni, tutte quelle cose sullo schermo, e la bussola, e le missioni secondarie e primarie, e la barra della vita, e i segnali luminosi mentre cammini.
Tutto troppo per me. Ho quella che in modo banalizzante la gente chiama ansia. Voglio completare tutto ma allo stesso tempo non completerò niente perché è tutto troppo e quindi chiudo il gioco perché non ho voglia di seguire per l’ennesima volta quell’icona sulla bussola perdendomi mille volte nel tragitto dal punto A al punto B.
Poi è tutto così fuori luogo.
Un HUD così pieno di elementi sembra posticcio. Sì, lo colori, gli dai una forma, quello che ti pare, ma sembra tutto così tanto messo lì e non integrato nel gioco. Mi piacciono le soluzioni alla Dead Space dove tutto è segnato sul braccio. Mi piacciono questi esperimenti dove sì ho le informazioni che mi servono ma è il gioco a dartele mentre interagisci con lui e non in contemporanea con elementi grafici scollati. Questo non significa che sia l’unica strada giusta: l’HUD di Elden Ring, per esempio, è integrato da dio nei giochi, permettendoti di godere anche del suo lato esplorativo e della magnificenza del suo reparto artistico, oltre che del combat system.
Il click con i tripla A moderni scatta poco però. Ripeto, forse sono io,
ma non scatta davvero nulla. A meno che non arrivi il vento.
Quel vento che spazza via tutti i problemi. Quel vento che ti rinfresca, che ti guida. Quel vento che ti fa notare che lì c’è una volpe e che se la segui ti porterà ad un santuario, e lì ci stanno delle case con del bambù, forse è il momento di allenarsi, e lì del fumo scuro, tu sei il fantasma,
colui che dovrebbe essere morto, è il momento di restituire il favore. Un vento che smuove i fiori in mezzo al quale cavalchi,
un vento che spazza via anche l’HUD e che ti fa godere della bellezza della natura, del sole, degli alberi, anche delle strade in terra battuta. Una rivoluzione che Ghost of Tsushima ha portato che risolverebbe il 70% dei problemi di tutti gli ARPG Open World. Sempre più grandi e sempre più sommersi, con Ghost of Tsushima e il suo vento riparatore prendi un gran respiro e ti godi davvero il lungo viaggio che ti divide dai titoli di coda.
Ed è tutto qui alla fine. Potrei dirvi che il porting su PC è ottimo e che gira bene anche su Steam Deck. Potrei stare lì a raccontarvi del
combat system e di come funzioni molto meglio all’arma bianca piuttosto che con lo stealth. Potrei stare lì a rompere su quanto la versione alla “Kurosawa” del gioco sia solo
uno specchio per le allodole e che i riferimenti al regista sono più nelle inquadrature in game e non; in quel bianco e nero e in quell’audio graffiato.
Ma sono tutte cose già dette e che trovate ormai anche su TikTok. Io sono qui per dirvi che Ghost of Tsushima va giocato per il suo kintsugi:
il vento. Va giocato per quella scelta coraggiosa di farti quasi annusare il terreno che gli zoccoli del tuo cavallo calpestano. Va giocato per capire che non è la formula in sé ad essere sbagliata, ma il sistema capitalistico che c’è dietro; che produce senza pensare, dimenticandosi che l’arte è industria da sempre ma che solo la qualità ripaga davvero sul lungo termine,
anche e soprattutto sul lato economico.
Quindi giocate Ghost of Tsushima e riflettete su cosa sono i videogiochi, su cosa stanno diventando e perché stanno diventando così. Ma soprattutto giocatelo per godervi
una bella avventura ripulendo la vostra testa da quel senso di inadeguatezza sbagliato che troppi videogiochi ultimamente trasmettono.
Voto e Prezzo
8 / 10
40€ /60€
Commento
Pro e Contro
✓ L'idea del vento è una figata
✓ Il combat non è male
✓ Graficamente ottimo
x Solito ARPG Open World di Sony
x Lo stealth è quasi inutile
#LiveTheRebellion