Ogni volta che, negli anni passati, si è cercato il modo più elegante di nobilitare il videogioco come medium lo si è fatto cercando paralleli sempre più forzati col cinema. Lo si è fatto in maniera ostinata, quasi ossessiva, cercando in qualche modo di riabilitare il medium agli occhi dei suoi stessi appassionati. Leggiamo le produzioni più importanti attraverso le lenti dell’industria e lo facciamo celebrandone il solo valore produttivo, lasciando da parte altri aspetti spesso molto più importanti. Non è colpa nostra, sia chiaro, siamo nati e cresciuti in una cultura consumista che si fonda sulla celebrazione dei capitali investiti e sull’effetto wow che solo i soldi sono in grado di generare. O almeno è così che ci hanno insegnato a percepire l’arte. Giocando Essays on Empathy ho ripensato all’ossessivo inseguimento del cinema da parte dei videogiochi e ho avuto una mezza epifania.
Se i videogiochi devono essere il nuovo cinema allora cosa prenderà il posto del documentario?
Essays on Empathy è un videogioco strano, stranissimo.
Ad una prima occhiata sembra una di quelle collection come se ne sono viste tante negli anni; prodotti che accatastano al loro interno diversi titoli ormai non più monetizzabili altrimenti e li abbelliscono con etichette di vario tipo. Cose che esistono da prima che uscisse PlayStation e che tentano in qualche modo di celebrare piccoli pezzi di storia del medium, basti pensare a quelle prodotte da Namco, Sega, Capcom ed SNK negli ultimi vent’anni. Ecco,
Essays on Empathy in apparenza non si distacca particolarmente da quel tipo di produzioni autocelebrative, essendo a tutti gli effetti una collezione di titoli prodotti da
Deconstructeam, team spagnolo conosciuto principalmente per
The Red Strings Club.
La realtà dei fatti, però, è che di collection come
Essays on Empathy io non ne avevo mai viste in vita mia.
Si tratta a tutti gli effetti del primo documentario videoludico divulgato tramite il medium videogioco contro cui mi sia mai scontrato in vita mia. Un’idea incredibilmente
semplice che una volta che la incroci non puoi che pensare quanto sia assurdo che non ci avesse mai pensato nessuno prima d’ora. Per fortuna ci hanno pensato i ragazzi di Deconstructeam, e con l’aiuto dei sempre meravigliosi Devolver Digital hanno confezionato quella che è a tutti gli effetti una delle perle nascoste più brillanti dell’ultimo anno.
Essays on empathy è uno di quei videogiochi che meritano davvero di essere scoperti, e lo è per un sacco di motivi.
Essays on Empathy: videogioco, documentario, videosaggio
La natura documentaristica di
Essays on Empathy non si nasconde dietro al fatto che si tratta di una “semplice” collezione di dieci piccoli titoli sviluppati da Deconstructeam dal giorno della fondazione ad oggi
. Ogni singolo titolo infatti possiede una sua pagina dedicata che comprende una serie di bozzetti preparatori e, soprattutto, un video di commento in cui gli stessi sviluppatori raccontano la genesi e lo scopo di ogni singolo titolo.
Dettaglio fondamentale ai fini della comprensione del progetto: ogni titolo presente nella raccolta è il risultato di jam di sviluppo della durata di 48 ore. Titoli microscopici e assolutamente poco rifiniti, figli dell’ovvia fretta produttiva ma che hanno tutti scopo e motivo d’esistere ben precisi.
Essays on empathy è documentario perché permette di scavare nelle vite delle tre persone che l’hanno sviluppato, di ascoltare le loro parole e di capire cosa significhi per loro lo sviluppo.
È videogioco perché nella sua primitiva semplicità è un concentrato di piccoli frammenti di pura giocosità. È videosaggio perché al suo interno è possibile ritrovare dei concetti e delle riflessioni sul senso stesso del videogioco che raramente trovano tempo e spazio per venire divulgati con tanta franchezza.
Essays on Empathy, però, è soprattutto una raccolta di storie. Storie spesso bizzarre e stralunate, come quella di
Engolasters, oppure estremamente semplici, come quella di
The Bookshelf Limbo.
Storie che sono accomunate dal fatto di andare a scavare nell’animo umano, nella sua fragilità e nella sua natura mutevole. Piccole scheggie di vita che vanno a conficcarsi sottopelle nonostante siano relegate all’interno di una cornice ludica grezza e spigolosa, ma non per questo poco d’impatto.
Never be game over
Uno degli aspetti che Deconstructeam sottolinea a più riprese nel gioco è proprio il fatto che la loro filosofia di sviluppo si concentra principalmente sull’aspetto narrativo. Le meccaniche dei dieci titoli contenuti raccolti nel titolo sono infatti essenziali e, soprattutto, non prevedono alcun tipo di Game Over. In
Essays on Empathy non si vince, non serve.
Questo significa però che in Essays on Empathy non si può neanche perdere, perché essere costretti a ricominciare da capo un’esperienza narrativa significa ucciderne il ritmo e il senso di progressione. Tutto ciò che serve è di rilassarsi e tentare di entrare in risonanza con le dieci piccole storie narrate godendosi il viaggio.
Credetemi se vi dico che è sorprendente quanto possa essere meraviglioso trovarsi nei panni di un piccolo androide che modella impianti cibernetici per esseri umani insoddisfatti usando la creta come in Zen and the Art of Transhumanism. Rimarrete sbalorditi dalla profondità dell’intreccio narrativo di
Supercontinent LTD. che scaturisce dal suo gameplay essenziale e basato esclusivamente sull’uso di un telefono e di un’agenda. Lo stesso vale per
11:45 – A Vivid Life che racconta di una ragazza che scopre che il suo scheletro appartiene in realtà ad un’altra persona e decide di indagare sulla sua origine ispezionandolo con una macchina a raggi X, un’opera brevissima che sorpassa la narrativa tradizionale e permette a chiunque di creare la propria personale ricostruzione della vicenda.
Essays on Empathy è questo e molto altro. Basta solo essere abbastanza curiosi e coraggiosi per toccare con mano il suo approccio sovversivo.
L’empatia, questa sconosciuta
Essays on Empathy funziona solo nel momento in cui si smette di guardare alla sua forma e si guarda dentro sé stessi. Prendete per esempio
Behind Every Great One, che a mio parere è il titolo più potente di tutto il pacchetto. Racconta la storia straordinariamente ordinaria di una donna incastrata all’interno di una relazione abusiva, costretta tra quattro mura nel ruolo antichissimo di angelo del focolare. Una persona a cui viene indirettamente impedito di essere libera e a cui viene chiesto continuamente di fare sempre di più per il bene della casa, di suo marito e della propria relazione.
L’unica meccanica di gioco è quella di sopportare le pressioni finché non arriva il momento di fare l’unica cosa sensata per ristabilire l’ordine: trovare una stanza vuota e piangere.
Behind Every Great One fa male, malissimo.
Io, che mi considero tendenzialmnente una brava persona, mi sono scontrato con tutta una serie di piccole violenze psicologiche che troppo spesso non ho mai neanche preso in considerazione.
Ho dubitato di me stesso, ed è successo solo perché sono stato messo nei panni di chi quelle violenze le subisce sulla propria pelle in silenzio. A modo suo si tratta di un titolo che mi ha cambiato, o che perlomeno ha provato a farlo, e mi ha portato a riconsiderare i miei rapporti interpresonali e sentimentali.
Se li si spoglia della tecnica, del marketing e dei fronzoli inutili, alla fine i videogiochi sono essenzialmente questo. La domanda, a questo punto è una soltanto:
Sei davvero pronto a metterti in discussione?
Il messaggio a discapito di tutto il resto
Il fulcro di ognuna delle esperienze proproste qui dentro è proprio l’empatia menzionata nel titolo della raccolta.
Essays on Empathy è un piccolo tassello di una rivoluzione portata avanti senza morti. Una rivolta che si muove in punta di piedi ma che è capace di far più male di tantissime produzioni più rifinite, appariscenti e violente. Questo perché l’obbiettivo di Deconstructeam è quello di mettere il giocatore in situazioni a lui aliene proprio a causa della sua natura di videogiocatore. Lontano dagli spari, lontano dalla violenza gratuita, lontano dalla competizione.
L’unica arma a nostra disposizione per affrontare i suoi dieci tasselli è l’empatia.
Un sentimento troppo spesso svalutato dal medium, troppo concentrato nel mostrarsi sempre più appariscente, tecnologico e fondamentalmente
ricco. Una condizione che è capace di distruggere le proprie convinzioni e la propria visione del mondo, se abbracciata senza erigere barriere tra sé e l’opera.
Di fronte ad un’operazione simile non si può far altro che riconsiderare la propria percezione del medium. Smettere di viverlo come tifo da stadio, come competizione eterna tra pari o come casse di risonanza di aziende multimiliardarie ed abbracciarne la sua forma più delicata, intima e personale. Senza vincitori né vinti, senza game over e senza sovrastrutture.
Assurdo pensare che bastava una raccolta di dieci titoli così piccoli per capirlo.
Voto e Prezzo
9 / 10
11€ /11€
Commento
Pro e Contro
✓ Operazione unica nel suo genere
✓ Ti sei mai guardato dentro?
x Tocca a te farlo conoscere a tutti
#LiveTheRebellion