Sono ormai passati undici anni dall’uscita del primo Dragon Ball Z: Budokai su Playstation 2 (sbarcato nel 2003 anche su Nintendo GameCube), titolo che ha goduto di un generale successo di critica ed ha inaugurato la serie Budokai di picchiaduro legata all’opera di Akira Toriyama. Passando per un secondo capitolo abbastanza controverso e per un terzo capitolo spesso definito come uno dei migliori videogiochi ispirati al franchise di Dragon Ball, la serie è poi arrivata su Playstation Portable nel 2006 con due spin off: Shin Budokai (la cui modalità storia è basata sul movie “Il Diabolico Guerriero degli Inferi”) e Shin Budokai 2, ambientato nel futuro alternativo di Trunks. Dopo queste ultime apparizioni nella generazione precedente la serie, però, non ha più trovato spazio ai giorni nostri, almeno fino all’annuncio di questa Dragon Ball Z: Budokai HD Collection, che contiene il primo ed il terzo capitolo della serie Budokai principale. Namco Bandai si sarà limitata solo a seguire quella che sembra ormai una moda, lanciando sul mercato delle vecchie glorie, oppure ha fatto per bene i “compiti a casa”, lanciando sul mercato dei titoli restaurati ed adeguati alla corrente generazione?
VERSIONE TESTATA: PlayStation 3
C’è subito da premettere una cosa: definire Dragon Ball Z: Budokai HD Collection una “collezione” vera e propria sarebbe sbagliato, in quanto il secondo capitolo non è presente, ufficialmente perché questo rappresenta una sorta di punto di rottura all’interno della serie e quindi a Namco Bandai pareva più opportuno inserire solamente il primo ed il terzo capitolo, che di fatto è il vero “sequel” di Dragon Ball Z: Budokai. Per quanto Budokai 2 rappresenti per la serie un po’ quello che è stato Devil May Cry 2 per l’omonima ssaga, ovvero la classica pecora nera della famiglia, sarebbe stato interessante vederne una riproposizione soprattutto per l’elevato numero di personaggi “what if” giocabili in questo capitolo (come ad esempio la fusione tra Yamcha e Tenshinhan oppure Majin Bu dopo aver assorbito Freezer o Cell) o di costumi speciali introdotti (tra tutti va sicuramente ricordato Creeza, il figlio di Freezer tratto dal manga comico Nekomajin). Insomma, nonostante non sia tra i punti più alti della serie, Budokai 2 avrebbe impreziosito questa collection con un titolo al cui richiamo i fan della saga non avrebbero probabilmente resistito, anche solo per la semplice curiosità di vedere e provare questi personaggi inediti.
Dragon Ball Z: Budokai presenta diverse modalità di gioco. Oltre alla modalità Storia, è possibile giocare contro la CPU o un altro giocatore selezionando la voce Duello (è anche possibile assistere al combattimento tra due personaggi comandati dalla CPU in modo da imparare a giocare osservando), oppure affrontare il classico torneo di arti marziali alla voce Scontro mondiale, oltre alle modalità Allenamento e Modifica Abilità, che permette di acquistare e personalizzare le mosse dei personaggi. La modalità Storia copre le prime tre saghe di Dragon Ball Z, ovvero quella dei Saiyan, quella ambientata su Namek e la saga degli Androidi e Cell. Ognuna di queste saghe è suddivisa in capitoli, composti da una sequenza animata iniziale, una sessione giocabile (solitamente un combattimento ma talvolta anche dei minigiochi, come ad esempio caricare l’energia del Cannone dell’Anima di Piccolo o trattenere Radish in modo che possa essere colpito) ed un filmato finale. I filmati sono generalmente tratti dall’anime originale e sono fedeli a questo nella rappresentazione, per quanto soffrano di alcune incertezze (e anche qualche svarione) nell’adattamento dei sottotitoli, problemi presenti fin dalla versione originale del titolo. Una volta completata la modalità Storia per la prima volta è possibile giocare dei capitoli aggiuntivi che se completati sbloccano dei filmati what if o dei finali alternativi per le saghe corrispondenti.
Il pacchetto videoludico confezionato da Dragon Ball Z: Budokai 3 ha alcuni punti di contatto con quello dell’altro titolo, ma presenta non poche differenze. Rimangono sostanzialmente invariate la modalità duello e allenamento, viene aggiunta la possibilità di affrontare il torneo mondiale in multiplayer locale con altri sette giocatori e viene pesantemente modificato l’approccio alla modalità storia. Innanzitutto questa, qui ribattezzata “Universo del Drago”, non è più strutturata in saghe e capitoli, ma è composta da diverse campagne associate ognuna ad un personaggio del roster (con le eccezioni dei villian e di qualche altro personaggio minore, ad esempio Goku ragazzino, tratto dalla prima serie di Dragon Ball), che copre praticamente tutta l’opera e sfiora anche la prima serie e Dragon Ball GT. Giocando una prima volta una campagna sarà possibile affrontare la storia classica di Dragon Ball dal punto di vista del personaggio principale, sbloccare nuovi personaggi, mosse, oggetti e trasformazioni per lui e aumentarne il livello per poi “spendere” i punti esperienza al fine di aumentare alcune caratteristiche di questo, come l’attacco o l’abilità nel gestire la forza spirituale, conferendo qualche pennellata stile gioco di ruolo al gioco. Giocando nuovamente la campagna vengono poi introdotte alcune variazioni a livello di trama e what if, che possono avere effetti diversi: alcune si limitano semplicemente a rendere meno ripetitiva la storia, altre invece permettono di accedere a nuove abilità e personaggi. Il tutto è affrontato con un approccio quasi open world, dove il protagonista scelto vola sopra la mappa (che riproduce la Terra di Dragon Ball anche nelle ambientazioni e negli edifici, come la Kame House o la Città dell’Ovest, oppure in alcuni momenti della campagna rappresenta il pianeta Nameck) visitando i luoghi che permettono di trovare oggetti, raccogliendo le sfere del drago (che permettono di sbloccare collezionabili ed oggetti speciali) o di proseguire con la storia. Lo scotto da pagare per tutta questa varietà è la totale assenza di sequenze animate, di conseguenza la storia è raccontata da sequenze statiche in cui i personaggi parlano tramite delle nuvole di testo. Altra aggiunta è la modalità “arena del Drago”, in cui i personaggi possono accumulare punti esperienza combattendo con avversari via via di livello più alto controllati dalla CPU o contro i personaggi di altre persone, inseriti tramite delle apposite password.
Dragon Ball Z: Budokai sente tutto il peso dei suoi undici anni, sia dal punto di vista del gameplay che dal punto di vista grafico. Il gioco è invecchiato davvero male: I menu appaiono vuoti e troppo essenziali, le ambientazioni di gioco sono spesso spoglie e le animazioni dei personaggi appaiono legnose e a tratti quasi innaturali. Il lavoro di rimasterizzazione peraltro accentua ancora di più questi difetti, visto che Dimps si è praticamente limitata ad aumentare la risoluzione del gioco, utilizzando ancora i vecchi poligoni. Il risultato è, in definitiva, al limite del grottesco, con Goku e compagnia che sembrano delle bambole costruite in pongo. Altra nota dolente sono i menu e i filmati di intermezzo, che oltre a patire di questo “effetto plastilina” non sono state convertite in 16:9, e vengono quindi visualizzate in un 4:3 in cui le bande laterali sono coperte da delle “tendine”. Ma lasciate da parte le questioni meramente estetiche (dove come detto la “faccia” del gioco appare solcata da non poche rughe) anche il battle system appare abbastanza datato, specie se confrontato con quello di altri picchiaduro a incontri o, banalmente, ai successivi capitoli della serie. Giocando si intravede lo scheletro di base che contraddistingue la serie Budokai, ma a questo mancano svariate costole, come la possibilità di lanciare gli attacchi energetici e le mosse finali a piacimento (prima di eseguire queste è infatti necessario mettere a segno la combo di calci e pugni corrispondente) o quello di eseguire le schivate da fermo in luogo delle comuni parate, e manca inoltre la possibilità di evitare gli attacchi dei nemici “teletrasportandosi” alle spalle di questi. A tutte queste defezioni va poi ovviamente aggiunto quanto detto sopra rispetto alle animazioni dei personaggi, che accentuano ulteriormente la sensazione di ingessatura generale che da il gameplay, ed un roster limitato alle prime tre saghe dell’anime, escludendo praticamente tutti i personaggi della saga di Majin Bu (eccetto Mr. Satan e Great Saiyaman, che in questo senso sono degli infiltrati). D’altra parte quasi tutti i personaggi presenti posseggono varie trasformazioni, alcune delle quali non sono poi più comparse nei successivi titoli della serie Budokai (come la forma perfetta di Cell con i muscoli gonfiati o i vari livelli di Kaiohken per Goku). Tirate le somme questo non giustifica le mancanze del titolo o lo rende meno datato, ma può sicuramente essere un incentivo per il giocatore a provare comunque il gioco, ben sapendo comunque a cosa va incontro. In definitiva Dimps comunque si è limitata ad un mero restyling grafico, senza peraltro compiere nulla di memorabile, non aggiungendo nessun extra nuovo né al livello di funzionalità (e a questo proposito un multiplayer online avrebbe magari invogliato di più a giocare il titolo) né a livello di contenuti, riproponendo di fatto la stessa offerta di undici anni fa, inclusi anche i difetti legati alla localizzazione occidentale dei sottotitoli delle cutscene.
Dragon Ball Z: Budokai 3 di contro non è praticamente invecchiato nonostante siano passati ormai nove anni dalla data di uscita: anche a distanza di tutto questo tempo rimane una delle migliori esperienze videoludiche con tema l’opera di Akira Toriyama, ed è senza dubbio il miglior capitolo della serie (non è un caso se i due Shin Budokai per Playstation Portable si rifacciano praticamente in toto a questo). Nel passaggio all’alta definizione la qualità grafica del gioco, pur non toccando livelli eccellenti o raggiungendo i risultati di Dragon Ball Z: Burst Limit (l’unico altro picchiaduro di Dragon Ball con un’impostazione simile di questa generazione, peraltro sviluppato sempre da Dimps) si presenta all’altezza della generazione in corso, anche grazie alla scelta originaria di realizzare il tutto in cel shading invece di utilizzare modelli poligonali. Da questo punto di vista l’unico neo rimane il pessimo trattamento ricevuto dai menu di gioco, riproposti come nel caso di Dragon Ball Z: Budokai 1 con risoluzione 4:3 e bande nere mascherate da “tende digitali”. Andando al “cuore pulsante” dell’esperienza , ovvero il gameplay, questo risulta notevolmente migliorato rispetto all’altro capitolo presente nella collection, introducendo diverse migliorie (schivate, teletrasporti, la possibilità di eseguire mosse speciali come la Kamehameha in qualunque momento del combattimento…) ed aggiungendo altri aspetti tratti dai giochi di ruolo come l’utilizzo di oggetti (come i Senzu, i fagioli magici che ripristinano aura e salute) o di abilità passive, che possono avere i più disparati effetti, come aumentare il consumo di aura per entrambi i giocatori o aumentare le statistiche di base del personaggio. Per quanto tutto questo non sia un aspetto fondamentale del gioco, aggiunge altro divertimento all’esperienza, soprattutto perché si sposa quasi alla perfezione con le differenze che vi sono tra i vari personaggi a livello di aura disponibile ad inizio incontro e moveset: il giocatore più “hardcore” è chiamato non solo a trovare il personaggio con cui ha intesa maggiore e a potenziarlo secondo il suo stile di gioco, ma deve tenere conto anche delle capsule (gli oggetti e le abilità passive) disponibili, e amalgamarle assieme alle tecniche del personaggio, anche queste realizzate come capsule da equipaggiare, tenendo conto degli slot dell’inventario occupabili con queste. Alla fine della fiera anche qui Dimps si è limitata a riproporre una trasposizione con risoluzione maggiorata del vecchio titolo, non aggiungendo nulla a livello di contenuti (qui l’assenza di multiplayer online appare addirittura più grave, in quanto combinato con l’arena del drago avrebbe potuto regalare non poche soddisfazioni agli appassionati), ma a differenza del caso di Dragon Ball Z: Budokai riesce ad evitare la bocciatura netta grazie al grandissimo lavoro svolto ormai nove anni fa.
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