L’anno scorso, in occasione della recensione di
Battle of Z, avevamo esordito spendendo alcune parole sul come i tie-in videoludici di Dragon Ball avessero dimostrato la capacità di variare la formula e lasciarsi contaminare da altri generi ogni certo numero di anni, originando delle vere e proprie serie all’interno del franchise. Negli ultimi anni (diciamo dall’uscita di Ultimate Tenkaichi a questa parte) questa caratteristica è stata portata ai massimi termini, con il risultato di far venire a mancare una certa continuità tra un capitolo e l’altro. Quest’anno la palla ritorna nelle mani di
Dimps, team che storicamente è legato ad alcuni dei momenti videoludici più alti del manga di
Akira Toriyama. Saranno riusciti a mettere un po’ di ordine nel caos? La risposta è più complessa di quello che sembra, ma andiamo con ordine.
Versione testata: PS3
Robe di (Pi)Kappa
Piuttosto che raccontare di nuovo la solita storia, Xenoverse punta sui What-If, uno dei piatti forti di Dimps
Dal punto di vista della trama, come noto, Xenoverse non segue l’approccio classico dei titoli Dragon Ball e piuttosto che propinare al giocatore per l’ennesima volta vicende che ormai conosce a memoria tenta la strada del “What-if”, forte anche del pedigree di Dimps che in questo senso ha sempre regalato ottimi spunti (basti pensare alla modalità Universo del Drago di
Budokai 3 o al lavoro fatto su Dragon Ball Heroes in Giappone). La storia inizia con il Trunks della timeline della saga degli Androidi che, arruolato nella Pattuglia Temporale chiederà aiuto alle sfere del drago per evocare un guerriero abbastanza forte da dargli una mano: il personaggio creato dal giocatore con l’editor del gioco (sui cui torneremo tra un momento). Le vicende ruoteranno quindi attorno agli eventi del manga come li conosciamo che vengono di volta in volta stravolti da Towa e Mira, i due cattivi del capitolo, con la Pattuglia Temporale incaricata di rimettere le cose apposto.
Il tutto funziona ed è decisamente più interessante del dover affrontare ancora e ancora i classici Freezer e Cell nei panni di Goku e compagni, anche se si “limita” a far assaggiare le conseguenze di questi potenziali cambiamenti piuttosto che realizzare vere e proprie timeline alternative.
L’Eroe del Tempo
L’editor fa il suo dovere, però il fatto di non poter personalizzare il colore di molti degli abiti disponibili è un passo indietro rispetto a Battle of Z
Come accennavamo poco fa l’editor di gioco permette di creare il proprio personaggio con cui affrontare le missioni relative alla storia e, volendo, le Missioni Parallele che svolgono la funzione di quest secondarie. È possibile scegliere tra cinque razze ognuna dotata delle sue caratteristiche, ulteriormente ramificate poi nella scelta del sesso (disponibile su tre razze su cinque). Gli umani rappresentano la classe bilanciata, e beneficiano di un bonus all’attacco quando la loro aura è al massimo, mentre i Majin prediligono la difesa ed i Saiyan (ovviamente) sono più portati per l’attacco ma hanno meno salute, e possono sfruttare il caratteristico
Zenkai Power che ne aumenta la forza quando la salute è bassa o vengono rianimati. Chiudono la rosa delle possibilità le due razze prive del genere, ovvero i Namecciani (scarso attacco, ma utilizzo degli oggetti più efficiente e maggior vigore, oltre a poter rigenerare la salute in condizioni critiche) e la razza di Freezer, dotata di una velocità maggiore (che aumenta quando la salute scende) e capace di paralizzare gli avversari con i normali Ki Blast, pagando lo scotto con un potere d’attacco ridotto.
Una volta scelta la razza è possibile “giocare” con alcuni parametri come ad esempio l’altezza e la corporatura del personaggio, oltre a cambiarne colore della pelle, degli occhi, fisionomia e capigliatura. Eccettuate alcune limitazioni (
per esempio selezionando un Majin maschio è possibile solo dargli una corporatura alla “Fat Buu”, rispetto alle diverse forme del cattivo originale) l’editor si comporta in maniera più che adeguata: il problema principale relativo alla personalizzazione è però dal punto di vista del vestiario, visto che eccettuati un paio di costumi
non è possibile personalizzare i colori di battle suit, tute ed uniformi tratte dal manga segnando un deciso passo indietro, da questo punto di vista, rispetto a Battle of Z. Dimps si fa perdonare però inserendo un numero dannatamente elevato di possibilità di abbigliamento, “coprendo” tutti i principali outfit comparsi nel manga (inclusi i vestiti di Yardrat indossati da Goku al suo ritorno sulla Terra dopo la saga di Freezer). Per concludere, il personaggio è personalizzabile anche dal punto di vista delle statistiche, grazie ad un sistema di progressione in stile GDR che ad ogni level up regala tre punti da spendere per potenziare le caratteristiche, un po’ sulla falsariga di quanto avveniva nell’Arena del Drago di Budokai 3.
Picchiaduro o MMO?
Qualche assente ingiustificato nel roster, ma il battle system ci ha convinti e fa il possibile per evitare lo spam selvaggio di onde energetiche
Fin da quando
Dragon Ball Xenoverse è stato presentato la “
doppia anima” ludica del titolo è sempre stata messa in evidenza: la base è quella di un picchiaduro tridimensionale in stile Budokai Tenkaichi, su cui però si innestano alcune componenti legate all’online a dare continuità con l’esperimento portato avanti l’anno scorso con
Battle of Z. Gli aspetti legati al battle system sono sicuramente quelli più convincenti del prodotto: ogni personaggio può equipaggiare quattro Super Attacchi (
che includono oltre alle varie Kamehameha e Big Bang anche i vari livelli di Kaioken e le pose di combattimento della squadra Ginew), due Attacchi Supremi (
le classiche “finisher” come il Final Flash e le varie forme di Super Saiyan presenti) e un’abilità evasiva, che spazia dalle capacità telecinetiche di Freezer alle classiche esplosioni e barriere difensive. I due parametri principali oltre alla salute sono l’aura, che permette di eseguire gran parte di queste tecniche, ed il vigore, che consente invece di mantenere attivo il Kaioken e di sfruttare i teletrasporti quando si viene sopraffatti dalle combo avversarie. La presenza di questi indicatori va a risolvere uno dei problemi tipici dei capitoli tridimensionali di Dragon Ball, ovvero l’utilizzo selvaggio e fuori dalle regole di base del manga delle tecniche a distanza,
con il risultato di rendere il tutto più in linea a quelli che sono i combattimenti nella serie regolare (per caricare l’aura, a meno di equipaggiare una tecnica che permetta di caricarla da fermi, è necessario attaccare l’avversario, limitando quindi lo “spam” delle tecniche energetiche e incoraggiando gli scontri più fisici). L’albero delle combo poi, pur non arrivando alla profondità raggiunta ai tempi della citata serie Tenkaichi, è sufficientemente profondo e riesce quindi nel suo scopo di intrattenimento, oltre a regalare qualche chicca per veri appassionati presa dal manga (
i guerrieri della classe di Freezer per esempio, provando a colpire un nemico alle loro spalle, ripropongono il pugno sul volto che l’Iperatore della Galassia utilizzò contro Nail su Nameck).
L’unico neo da questo punto di vista è qualche assenza ingiustificata di troppo nel roster messo a disposizione, con defezioni come il Dr. Gero o l’Androide 16 e le forme intermedie di Cell e Freezer.
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Meno riuscita la parte MMO: la base c’è, ma alcune ingenuità di fondo rovinano la festa al giocatore
Dove invece si poteva far meglio è su tutto quello che riguarda gli aspetti MMO del titolo: per accedere a tutte le funzioni di gioco è necessario utilizzare l’hub offerto da Toki Toki City, che ricopre più o meno il ruolo che in
Destiny era svolto dalla Cittadella. Il problema però è che il tutto appare inutilmente dispersivo, costringendo il giocatore a spostamenti frequenti in base all’attività che vuole svolgere (
Toki Toki City è suddivisa in tre macro aree, una per i negozi, una per le missioni parallele e l’ultima per accedere alla storia e al Torneo Mondiale).
La sensazione di frustrazione generale viene aumentata dall’assenza di un’opzione riprova alla fine delle missioni parallele (
presente invece nelle missioni relative alla storia), che costringe ogni volta il giocatore a rifare la strada fino allo sportello delle missioni parallele per poterle riaffrontare. Assenza assolutamente ingiustificata, considerato che in partita dal menu di pausa è possibile riavviare la missione senza problemi. La mappa infine non è di particolare aiuto, dato che si limita a segnalare le attività principali con un’icona (
senza alcuna legenda) ma trascura tutte quelle secondarie, come alcune missioni extra e la posizione dei Maestri di cui è possibile diventare allievi per apprenderne le tecniche. Insomma, la sensazione è che il tutto avrebbe funzionato in modo molto più snello se invece di un hub di questo tipo ci si fosse affidati a dei menu, e ora come ora l’unica cosa che giustifica la presenza di Toki Toki City è la possibilità di eseguire alcune pose tratte dall’opera di Toriyama come quelle della squadra Ginew o la danza di Metamor (
la Fusion). Trovate sicuramente simpatiche, ma che dopo qualche interazione tendono ad essere seppellite dai difetti elencati. Per chiudere, a nostro avviso andrebbe rivisto in parte il sistema relativo al drop di oggetti ed equipaggiamento per quanto riguarda le missioni parallele:
l’idea di inserire alcune condizioni nascoste che “sblocchino” il “vero finale” della missione è intrigante e aumenta la valenza ludica delle missioni, ma la scelta di non far dipendere completamente questo dalle azioni del giocatore ed affidarsi in parte alla casualità (anche soddisfacendo le condizioni nascoste non è detto che si riesca a far scattare l’evento) rovina un po’ il gusto della cosa. E anche alcune probabilità legate al drop delle ricompense forse sono state pesate un po’ male, visto che nella maggioranza dei casi dopo aver completato un certo numero di missioni della storia queste poi compaiono nel negozio in gioco (
come nel caso di Kaioken e Super Saiyan).
Tecnica della Gru contro Scuola della Tartaruga
Qualche calo di frame-rate sulle console old-gen, ma per il resto nulla da segnalare
Dal punto di vista visivo Dragon Ball Xenoverse ci ha decisamente convinti, confermando le buone impressioni già espresse
in fase di anteprima: il colpo d’occhio è, come d’altronde tipico dei tie-in videoludici della saga, davvero riuscito ed adatto e anche le cutscene (alcune presentate col motore di gioco, altre proposte seguendo lo stile dell’anime) fanno davvero il loro dovere.
Le uniche perplessità riguardano i cali di frame rate che affliggono le versioni per le macchine della scorsa generazione, a volte veramente troppo presenti laddove invece su PS4, One e PC la situazione è decisamente più rosea (avrebbe forse più pagato imitare quanto fatto da Techland con
Dying Light e rinunciare alle versioni per console della vecchia guardia). Al netto di questi problemi legati alla versione comunque il rammarico più grande è quello, già evidenziato durante l’anteprima, legato alla distruttività dell’ambiente: questa è si aumentata, ma i danni in massima parte non sono persistenti (ad eccezione di case e rocce) e dopo qualche secondo vengono “resettati”. Per concludere, come al solito è presente il doppiaggio in doppia lingua (inglese e giapponese), che oltre ai doppiatori originali nelle due lingue, per quanto riguarda la versione anglofona può contare sulla “guest star” Takahata101 del Team Four Star, che
permette di fatto ai giocatori di creare un personaggio con la voce di Ghost Nappa (direttamente da Dragon Ball Z Abridged).
Verdetto
7.5 / 10
Space Australia
Commento
Pro e Contro
✓ Un must per i fan della serie
✓ Battle system equilibrato e solido
✓ Tecnicamente convincente...
x ... A parte i cali di frame-rate su Old Gen
x Qualche ingenuità nella componente MMO
x Alcune assenze nel roster
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