Recensione Daylight

Come primo titolo commerciale a sfruttare il nuovo Unreal Engine 4, l’horror game Daylight si è guadagnato una certa dose di attenzione da parte della stampa specializzata e degli appassionati di videogiochi. Cavalcando un po’ l’ondata di ritorno di popolarità dei survival horror, dovuta soprattutto ad indie come Slender, Amnesia ed Outlast, il titolo di Zombie Studios giunge infine sui lidi digitali di PC e PlayStation 4, pronto a terrorizzarci. Ma sarà riuscita Zombie Studios a rispettare le alte aspettative dietro al titolo? Scopriamolo insieme.

VERSIONE TESTATA: PC

Tra Paranormal Activity e Slender

Nei panni della protagonista Sarah ci risveglieremo all’interno di un ospedale psichiatrico abbandonato, armati solo di un fido smartphone, che servirà sia come torcia che come mappa nella nostra disperata esplorazione. La storia dietro al titolo è nascosta dietro ad una serie di note, lettere, fotografie d’epoca e ritagli di giornale che troveremo disseminati in maniera casuale all’interno dei livelli. Questi “remnants” non serviranno soltanto a fare luce dietro ai misteri che si nascondono in Daylight, ma saranno anche la chiave per proseguire nel gioco. In ogni livello sarà necessario recuperare almeno sei documenti, dopo di che sarà possibile ottenere un oggetto chiave che consentirà, una volta raggiunta l’uscita, di passare al livello successivo. In questo processo saremo ostacolati da presenze sovrannaturali che compariranno in maniera piuttosto casuale, ma con frequenza crescente: maggiore il numero di documenti da noi recuperato, maggiore sarà la possibilità che si manifesti una determinata apparizione. Di fronte a questi spiriti maligni avremo due sole possibili reazioni: la fuga, oppure l’utilizzo della luce di un bengala per distruggerli. Come avrete capito si tratta di una variazione sul tema della struttura di Slender e, nella prima parte del gioco almeno, Daylight riesce a sfruttarla a dovere risultando genuinamente terrificante. Gli oscuri ambienti, il sapiente uso di musiche inquietanti, di effetti sonori improvvisi, di apparizioni e oggetti che si muovono da soli riescono senza dubbio a mettere a disagio il giocatore, predisponendolo ai classici spaventi improvvisi tipici del genere. Man mano che si procederà nel gioco, l’efficacia dell’elemento terrorifico andrà però scemando. Ci si rende piuttosto rapidamente conto che, a parte le sporadiche apparizioni di fantasmi, nulla può davvero nuocere al giocatore. Anche queste ultime perderanno man mano la loro efficacia. In generale il gioco tende a costruire dei climax di tensione prima di ogni spavento, attraverso variazioni nella musica, effetti statici sullo schermo dello smartphone ed altri trucchetti di questo genere. Se il risultato è sicuramente d’effetto nella prima parte del gioco (e le vostra urla saranno quasi assicurate), man mano che l’effetto novità svanisce, ci si rende presto conto che è possibile sfruttare questi elementi per prevedere la comparsa di un’apparizione, permettendoci di evitare lo spavento e magari arrivare già con il dito puntato sul tasto per accendere un bengala. Questo è il paradosso di Daylight: proprio quegli elementi che gli sviluppatori hanno utilizzato per rendere efficace e terrificante la prima parte del gioco divengono in seguito prevedibili, riducendo il gameplay del titolo ad una sterile e noiosa esplorazione di ambienti estremamente simili tra loro.

Passiamo tutto al randomizzatore!

Una delle caratteristiche di Daylight maggiormente sbandierate da Zombie Studious durante lo sviluppo del gioco è senza dubbio la generazione casuale di ambienti, che promette degli svolgimenti diversi delle partite ad ogni nuovo avvio. Questo si rivela vero solo in parte. Le mappe dei livelli vengono effettivamente generate in maniera casuale, così come è casuale la disposizione di documenti e spaventi, ma gli elementi di base da cui il gioco costruisce se stesso sono pochi e molto simili tra loro: nel corso delle nostre partite vedremo sempre gli stessi corridoi, le stesse stanze, gli stessi oggetti, ogni volta rimescolati tra loro. Nonostante questo continuo rimescolamento è presto possibile riconoscere dei pattern nel level design, che aumentano il senso di ripetitività e prevedibilità, sia nel corso della prima prima partita che, soprattutto, nelle partite successive, comunque necessarie per recuperare i vari tasselli della trama. Un altro problema che emerge dalla generazione casuale dei livelli è lo sbilanciamento della loro difficoltà. In alcune partite potremo trovarci con una struttura della mappa talmente lineare da permetterci una fuga quasi indisturbata verso l’uscita, mentre altre volte ci perderemo in dei veri e propri labirinti. Non c’è mediazione tra i due estremi, che possono capitare a chiunque in maniera assolutamente random. In questi casi, per avere un’esperienza di gioco più soddisfacente, si rende necessario ricaricare la mappa, sperando in un miglior level design.

Unreal Engine 4 al varo

Il motivo per cui Daylight verrà ricordato negli anni a venire è senza dubbio l’utilizzo del motore grafico next-gen di Epic Games, l’Unreal Engine 4. Si tratta infatti del primo gioco Unreal Engine 4 a venir rilasciato in assoluto. Grazie ad una buona ottimizzazione ed a geometrie dei livelli non troppo complicate il titolo gira fluidamente anche su sistemi modesti, anche se, a dire il vero, non si rivela un buono showcase per il blasonato engine. Le tinte scure e le tenebre quasi costanti che permeano il gioco non hanno infatti permesso a Zombie Studios di mettere in mostra le vere potenzialità del motore. Anche per via della estrema ripetitività degli ambienti e di una direzione artistica nella media e non particolarmente ispirata l’aspetto generale del titolo è anonimo e non colpisce lo sguardo del giocatore, se non per alcuni piccoli particolari. Tra questi meritano senza dubbio una menzione la gestione degli effetti di luce, con luci che rimbalzano dinamicamente dalle varie sorgenti alle pareti ed alle superfici degli ambienti, oppure gli effetti particellari, con nuvolette di polvere che si sollevano in maniera realistica all’apertura di porte o al compimento di varie azioni. Sono dei tocchi assolutamente piacevoli, ma che stridono con una realizzazione tecnica altrimenti deficitaria. Ci dispiace per Unreal Engine 4, il motore meritava sicuramente una occasione migliore per mettersi in mostra alla sua prima uscita pubblica. Decisamente competente è invece il comparto sonoro, con musiche che contribuiscono in maniera eccellente all’atmosfera e tutti gli effetti sonori che ci si potrebbe attendere da un horror game. Fa sollevare un sopracciglio il doppiaggio della protagonista Sarah, che a volte proferirà frasi a caso, senza una reale attinenza con ciò che sta succedendo nel gioco in quel momento. Ad esempio, sarà abbastanza comune sentirla esclamare “Cosa è stato quel rumore!?” in risposta al silenzio più assoluto. Si tratta comunque di casi isolati, che non rovinano l’immersione, ed in generale l’intero comparto audio contribuisce in maniera estremamente positiva all’esperienza di Daylight.

Streaming che passione!

Al netto della variabilità introdotta dalla generazione casuale dei livelli, Daylight è un gioco molto corto e può essere finito in 2 – 3 ore al suo primo playthrough. I giocatori che sono interessati a scoprire i dettagli ed i retroscena della trama del titolo saranno costretti a molteplici partite, anche se in questo caso la ripetitività e la scontatezza di molte situazioni faranno sentire il loro peso, spostando l’ago della bilancia verso la noia. La promessa di un gioco diverso ad ogni playthrough non può dirsi davvero mantenuta, e nonostante le piccole differenze, le varie giocate a Daylight tendono ad assomigliarsi un po’ tutte, tagliando le gambe alla longevità del titolo. Da apprezzare, invece, l’integrazione con i servizi di Twitch TV del titolo. Gli sviluppatori hanno evidentemente pensato alla fiorente comunità di streamer che condividono le loro partite sull’ormai celebre servizio, ed hanno deciso di implementare una funzione che consente di trasmettere direttamente le partite sui canali personali dei giocatori. Interessanti anche le possibilità di interazione con il pubblico: gli spettatori potranno interagire con il gioco scrivendo alcuni comandi nella chat di Twitch, attivando alcuni effetti sonori ed alcuni spaventi nel gioco. Forse è proprio questo il modo migliore di giocare Daylight, affidandosi al sadismo ed alla burloneria di qualche spettatore, che magari saprà regalarci qualche spavento più genuino di quelli pianificati da Zombie Studios.

Verdetto
6 / 10
Paura, eh?
Commento
Tra le sue buone intuizioni ed i suoi numerosi difetti, Daylight riesce a strappare una sufficienza risicata. Tanto è divertente, terrificante, efficace la prima parte del gioco, quanto è noiosa, prevedibile, ripetitiva la seconda. E questo, in un titolo che si può completare in un paio d'ore è un grosso problema. L'errore di Zombie Studios è stato quello di creare troppi pochi ambienti e troppe poche situazioni, lasciando al gioco il compito di "costruire se stesso". Nulla di male nella scelta di utilizzare la generazione casuale per aumentare la rigiocabilità, ma con così pochi elementi a disposizione, Daylight fatica a rendersi diverso ed interessante ad ogni partita (ed anche all'interno di una stessa partita). Per rendere davvero efficace questa scelta di design gli sviluppatori avrebbero dovuto creare molti più elementi di base con cui costruire il gioco: più stanze, più corridoi, più oggetti, più spaventi, più effetti sonori. Sul fronte grafico il titolo delude ulteriormente, dimostrandosi incapace di sfruttare le potenzialità di un motore come Unreal Engine 4. Alcune idee del gioco sono tuttavia vincenti, come l'integrazione con Twitch, e ci piacerebbe vederle espanse ulteriormente. A chi consigliare quindi Daylight? Strettamente ad appassionati di giochi horror, ed a streamer e youtuber vari, che dal titolo potranno trarre sicuramente del buon materiale.
Pro e Contro
Genuinamente terrificante nelle prime fasi di gioco
Qualche bell'effetto di luce e particellare
Buona idea l'integrazione con Twitch

x Diviene in breve prevedibile e ripetitivo
x Pessimo showcase delle potenzialità di Unreal Engine 4
x Longevità quasi inesistente

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