Eravamo abbastanza convinti che dalla tetta degli anni ’80 non si potesse mungere altro latte, visto che l’industria per tutto il 2017 non ha fatto altro che strizzare l’occhio ai nostri anni ’90. Invece? Invece poi abbiamo giocato Crossing Souls…
Potremmo aprire e chiudere questa recensione nel giro di due righe, dipingendo
Crossing Souls come l’equivalente pad alla mano de I Goonies, di Gremlins e, insomma, di
quell’immaginario tipico da film per ragazzi degli anni ’80, dalla morale un po’ spicciola e sempliciotta (ma non per questo meno efficace, quando si tratta di suscitare una certa commozione) e dalle atmosfere che richiamano elementi che ormai sono a tutti gli effetti parte di noi, in un frullatone pop di scene e citazioni con cui siamo cresciuti. Un videogioco da
Nuovo Cinema Guaglione – o, per i lettori che non avessero confidenza con il gergo
antristico (che aspettate a rimediare?), da
sabato pomeriggio su Italia 1.
Ma tolti gli 1.21 gigowatt della nostalgia, cosa rimane di Crossing Souls?
Versione testata: PlayStation 4
80 voglia di…
Domanda abbastanza banale, quella che ci siamo posti in apertura.
Lasciamo la nostalgia dov’è
A dirla tutta, domanda a cui forse
non vale nemmeno la pena rispondere: togliere la nostalgia dalle Operazioni Nostalgia è un esercizio di stile fine a sé stesso, visto che è
assolutamente inutile valutare un prodotto pensato ad uso e consumo di un certo pubblico al netto di quel piglio pensato (appunto) ad uso e consumo di un certo pubblico. Anche perché bisogna dirlo, se un giocatore del 2000 volesse giocare a qualcosa sulla falsariga di
Crossing Souls probabilmente lo farebbe anche per fini
pseudo-didattici, per capire cos’hanno di così speciale gli anni ’80 e perché, da un po’ di tempo a questa parte, sembra che tutti “i vecchi” non possano fare a meno di rifugiarsi in un decennio che è il loro decennio.
Come d’altronde ci siamo scoperti a fare
noi in questi inizi di revival per gli anni ’90 e come probabilmente faranno i 2000 quando sarà il loro momento.
Quindi ecco, la verità è che se
Crossing Souls non ha fatto nulla, nelle sue otto ore e spicci di durata, per allontanare lo spettro degli anni ’80, a maggior ragione noi dovremmo giocare
secondo la stessa regola. E senza girarci troppo attorno vi diremo che si, se siete tra quelli ancora in botta da
Stranger Things o assuefatti dalle luci stroboscopiche al neon, dall’effetto vintage delle VHS – o molto più banalmente, giocare a stanare tutte le citazioni ad E.T.,
Ritorno al Futuro e compagnia bella vi fa venire la pelle d’oca ed il
membro turgido –
Crossing Souls è il prodotto che fa per voi.
Un frullatone di citazioni, temi e trovate prese di peso dagli anni ’80 pensato per chi, di tanto in tanto, non resiste alla tentazione di tornare per qualche ora in quel decennio e non ha una DeLorean a disposizione.
E difatti come nella miglior tradizione di quell’immaginario, che ci riporta se non proprio nel 1980 quantomeno indietro di qualche primavera, il sabato pomeriggio parcheggiati davanti alla TV, la storia da raccontare serve semplicemente per presentare (sommariamente) la banda di giovincelli che si appresta ad impersonare e a
metterli davanti ad un’avventura, un’avventura che chi sta davanti allo schermo fino a quel momento poteva solo sognare, ma mai vivere al 100% in prima persona. Come
non ci si faceva troppe domande davanti alla scienza dietro la navicella di E.T. o al Flusso Canalizzatore, allo stesso modo non in
Crossing Souls non ci si deve fare troppe domande: la trama ruota attorno ad una pietra capace di mettere in contatto il nostro mondo con la Duat, la dimensione egizia dove albergano i morti, che ha però lo spiacevole effetto di assorbire la vita di chi le sta troppo vicino. A questo punto è inevitabile – cerchiamo di non anticipare troppo, ma non è semplice – che alla banda di ragazzini protagonisti delle vicende succeda qualcosa che metta la Duat a parte dell’esperienza, aprendo un altro varco (questa volta ludico) che mette la dimensione dei morti a servizio dell’esperienza pad alla mano.
Arcade?
Accessibile? Si, ma ha senso
Si controllano, uno per volta (con la possibilità di cambiare personaggio in tempo reale) cinque ragazzi, ognuno dotato di una sua caratterizzazione stereotipata e di un’abilità. Il tutto poi è infiocchettato in un mondo di gioco che sembra voler
fare il verso ai capitoli a due dimensioni di
The Legend of Zelda, proponendo la versione 2D di un mondo “open world” da esplorare sfruttando le abilità dei protagonisti per risolvere puzzle e piattaforme, richiedendo al giocatore di
miscelare astuzia e skill. Sulla carta, quantomeno, visto che il tutto dà l’impressione di arrivare sullo scaffale in versione pre-digerita, con un livello di sfida che non impegna poi troppo: vi capiterà di incappare in qualche game over e di dover ripetere qualche sezione, magari una
boss fight, un paio di volte prima di riuscire a superarla, ma
nulla di troppo frustrante o impegnativo. Anche perché difficilmente è necessario combinare i personaggi in modi intricati, ed il level (e game) design tendenzialmente si limita a suggerire le accoppiate da utilizzare senza andare poi troppo in là con lo sforzo.
Un bene? Un male? Dipende dal giocatore.
Ma considerato che il target di riferimento sta idealmente in personaggi (anagraficamente) cresciuti che non hanno più il tempo libero di una volta per cimentarsi in esperienze del genere – esperienze di cui, ricordiamolo, conservano un ricordo romanzato dalle lenti della nostalgia con cui
Crossing Souls è costretto a fare i conti – la scelta è azzeccata. Il top sarebbe stato fare il giro triplo ed inserire l’ennesimo richiamo – ludico, questa volta – agli anni ’80 e giocarsela come le avventure grafiche, inserendo
un’opzione per rendere più artificiosamente impegnative alcune sezioni, ma considerato che il genere di ispirazione non è quello che fu dominato da LucasArt quanto piuttosto quello che spopolava nelle sale giochi ce ne si può fare una ragione.
Pixel
Anche perché dal punto di vista realizzativo non si può certo dire che
Crossing Souls non sia indovinato, sia andando ad analizzare la sua pixel art in prima battuta che osservandola nel più vasto contesto del “cerchiamo di fingere che sia il 1980”. Perché i colori (e anche le sonorità)
richiamano spesso e volentieri a quella decade, e ci sono decine di citazioni sotto quei pixel anche solo dal punto di vista estetico, specie se si guarda dalle parti dei collezionabili presenti in-game.
Verdetto
8 / 10
Generic '80s new wave
Commento
Pro e Contro
✓ Tantissimi richiami agli anni '80
✓ Atmosfera colta alla perfezione
✓ Ben realizzato
x Livello di sfida non impressionante
x Non aspettatevi l'originalità
#LiveTheRebellion