Vorrei dire che Astro è di nuovo tra noi, ma tentenno un po’. Non per chissà quale motivo, solo perché in realtà le prime due volte non era effettivamente “qui”.

Sono contento? Sì, ma no. Perché il gioco è anche bellissimo, ma mi aspettavo qualcosa di più sul punto di vista umano. Che è importante, specie in un gioco che fa del preservare il passato e la storia di qualcosa il proprio motivo di esistere. Preservare la nostalgia, in pratica, usandola contro di te per spillarti altri 80 sulla base del quanto era tutto più bello prima.

Solo che se il contesto è estremamente nostalgico da un lato, dall’altro l’esecuzione è forse più moderna di molto altro – visto e considerato che titoli che sfruttano le potenzialità di Dualsense come lo fa Astro ne abbiamo visti veramente veramente pochi. (Sarà che abbiamo visto veramente poche novità su PS5 in generale).

Uno dei pochi tasti dolenti, o forse l'unico, è grosso davvero.

In prima battuta devo dire questo: sono stato estremamente deluso da Astro Bot ancora prima di installarlo, per via di un gruppo di colleghe e colleghi del mondo della traduzione videoludica che ne hanno fatto pubblicità negativa. Nel gioco mancano i riconoscimenti a chi ha speso il proprio tempo a tradurre e dare voce ai personaggi.

Quella dei traduttori/traduttrici nei credits è una questione sempre calda, che associazioni come TRAMITI di ACTA stanno cercando gradualmente di risolvere e che merita decisamente una lettura a parte. Io che scrivo personalmente mi sono fatto la promessa di dar voce a situazioni di questo tipo, e ho preso a farle presente nell’elenco di pro e contro. Stavolta però sono un po’ più deluso, forse perché Astro Bot è un gioco che fa benissimo quello che si propone e che colpisce dritto la corda giusta – quella della nostalgia.

In Astro Bot si cerca di preservare una storia – quella dei videogiochi, con dei cameo brevi ma molto sentiti. Come Ape Escape, che s’è visto l’ultima volta in un gioco più o meno al debutto di PS4 (anche abbastanza bruttino) e poi mai più. Certo che si può avere digitale con il Plus, e certo che Sony ha tutto il tempo di presentare l’ennesimo remake o remaster sovraprezzato, ma non è questo il punto.

Il punto è che per un gioco con queste premesse ho alte aspettative, nonostante come disse qualcuno “riporre aspettative negli altri significa costringerli a deluderti”. Per un gioco che si prefigge, volente o nolente, di preservare la storia, secondo me è importante ricordare che di quella storia fa parte anche chi ha contribuito al gioco in un modo o nell’altro. E ci sono un po’ tutti e tutte nei ringraziamenti di Astro Bot, finché non si arriva a chi ha tradotto e prestato la voce che ha per sé un paio di righe di ringraziamento piuttosto che il nome. Come traduttore io stesso cose simili mi sono capitate, ma con (pare) un alibi comprovato per non avere fisicamente spazio per i nomi di chi ha tradotto. Da ignorante (e sono pronto a essere smentito) non è il caso di Astro Bot, un gioco che s’è preso già giga e giga della memoria e che probabilmente qualche byte in più per due nomi in croce se lo poteva ancora permettere.

Quindi ecco, questi paragrafi iniziali sono un sentito invito a Team Asobi e Sony di pensare che forse andava riconosciuto quello spazio a chi lo meritava di diritto. Piuttosto che a un paio di meme, come fanno notare alcuni post Linkedin (di cui condivido quello di Lucile Danilov, nome noto nell’ambiente). Vi rimando poi anche a una puntata del podcast di Gameromancer, più sotto, dove Beatrice Ceruti (traduttrice, revisora e fantastica persona) raccontava la realtà quotidiana di traduttrici e traduttori come lei.

Ci tengo ad avvisarvi che questa inaccortezza (per essere buoni) mi pesa parecchio, e che farò spesso riferimento al fattaccio come “scivolone” o declinazioni di questo.

Per il resto Astro è Astro

Lungi da me cadere nel review bombing, devo (e voglio anche) dare ad Astro quel che è di Astro – ricordando con non poco amaro in bocca che Astro Bot non ha esattamente dato a Cesare quel che è di Cesare.

Il robottino bianco un gioco tutto suo se lo meritava. Sì, alla fine Astro’s Playroom ti teneva impegnato qualche ora e aveva anche dei trofei propri, ma io l’ho sempre visto come una tech demo estesa della nuova pargola di casa Sony. Un flex, letteralmente, in cui il protagonista è il Dualsense che tieni in mano mentre tanto per cortesia ti fanno vedere com’è fatto l’hardware PS5.

E per la sorpresa di nessuno il Dualsense è di nuovo il protagonista. Una gioia per le mani, anche se meno duraturo di batteria con tutta quell’attività tellurica, che brilla davvero praticamente solo quando è su schermo Astro. Non ne abbiamo visti tanti di videogiochi che lo usano così in cinque anni – tecnicamente, nessuno – ed è una parte così integrante dell’esperienza che si potrebbe dire quasi che hai speso 70 euro per sentire il controller vibrare di più. Spiegare a parole il ticchettio dei piedi di Astro sui pavimenti di vetro, ferro, legno, il battere della pioggia sull’ombrello, l’avvio di un motore, sarebbe purtroppo difficile. Ma tant’è: il Dualsense prende vita.

Fondamentalmente anche il gioco ha preso vita, reso una versione espansa della breve tech demo del 2020. Con la scusa dell’ennesima rottura dell’astronave-PS5 e del recupero dei pezzi, Astro in sella ad un Dualsense esplora varie galassie alla ricerca sì dei pezzi ma anche di altri bot sperduti da salvare. Roba da fare ce n’è in buona quantità, di cameo una marea. E già che l’ho citato c’è anche un intero mondo dedicato ad Ape Escape, uno dei primi giochi della mia infanzia. Una piccola chicca sconosciuta, che Astro Bot sa riportare in vita insieme a molti altri titoli del nostro passato.

L’ho già accennato e lo ripeto: lo scopo di Astrobot come videogioco è quello di preservare la storia. Che Team Asobi se lo sia posto volutamente o solo ritrovato per le mani non ha troppa importanza, perché questo traspare di prepotenza. Di preservazione del videogioco credo abbiamo bisogno a iosa, perché la storia dei videogiochi a un certo punto si è intrecciata alla nostra legandosi sempre più stretta. È poetico a pensarci: sono passati dall’essere un medium un po’ nascosto nelle ombre della società a essere uno dei pilastri portanti anche della nostra economia. Un po’ come noi che giochiamo siamo passati e passate dal nasconderci, al far capolino timidamente mentre ci additavano, al camminare all’aria aperta nella quasi libertà di farci finalmente piacere quel che ci pare.

Anche se la libertà totale ancora manca…

Che cosa ha fatto bene come gioco?

Come già detto i cameo vincono da sé. Anche solo una comparsata del beniamino del proprio gioco preferito sa illuminare alcune delle giornate più buie. Immaginate la mia gioia quando non solo ho visto Kakeru inseguire una scimmia, ma me lo sono anche ritrovato davanti a boss fight completata in un livello interamente dedicato ad Ape Escape, iper IPER nostalgico e che richiamava non solo l’ambientazione ma anche le meccaniche.

Questa è una novità da Astro’s Playroom. Il gioco è diviso in varie galassie, al termine di ognuna delle quali si sblocca un nuovo livello interamente dedicato ai cameo di un singolo videogioco. Per il bene di chi vuole giocare Astro Bot e non lo ha ancora fatto non scenderò nel dettaglio, ma è una delle cose più fottutamente nostalgiche e meglio riuscite dell’intero gioco. Almeno per me, ma forse mi hanno comprato con il cameo di Ape Escape.

I gadget Una meccanica fantastica che in alcuni casi “sdoppiano” letteralmente un livello, consentendo ad Astro di percorrerlo in più modi diversi.
Posso argomentare oltre ed aggiungere che ognuno di questi livelli si impernia su una meccanica differente a tema. Di base ce ne sono di un po’ ogni tipo, da utilizzare su vari livelli fino al traguardo: spostarsi velocemente, arrampicarsi, fermare il tempo in stile The World. Non è nemmeno scontato che ogni galassia ne scelga uno soltanto. Semplicemente ne vengono introdotti di nuovi una tantum, dopodiché potrai trovarti a usarli anche altrove. Apprezzo molto, perché contribuisce a rendere il design abbastanza vario (piuttosto di scegliere uno stampino e applicarlo su tutta una sezione di impasto per poi buttarlo).

Nel frattempo c’è da tenere gli occhi aperti sui dintorni a caccia di bot o pezzi del puzzle, che possono nascondersi un po’ ovunque anche in determinati punti prima che il livello inizi. Addirittura nella mappa dell’universo, aggiungo, scoperta che ho fatto accidentalmente e che ha aggiunto punti al giudizio sul gioco e rabbia per il grosso scivolone finale.

Anche l’hub centrale della partita è in realtà una mini-area da giocare tutta, ma gradualmente man mano che si salvano i bot. Astro Bot sfrutta tutto ciò che gli è possibile per far provare a chi gioca la gioia di tenere in mano il controller il più a lungo possibile, un punto di forza secondo me più che encomiabile. Il mondo di gioco è vivo, da esplorare in lungo e in largo (al netto del non essere un open world) e con un po’ di commissioni da fare per chi gioca per il bene del completismo.

Astro Bot è la celebrazione somma dei trent'anni con PlayStation

Io sono contentissimo che Astro si sia guadagnato un gioco intero tutto per sé, perché già la “tech demo” di debutto mi era piaciuta da impazzire. Aveva fatto impazzire anche mia madre, che un joystick praticamente non lo ha mai toccato.

Ovvio che una parte cruciale dell’esperienza è il controller Dualsense, un terremoto da tenere in mano mentre Astro scorrazza qua e là nel suo mondo. Che, di contro, è anche molto godibile: colorato, variegato, divertente e con le sue sfide da affrontare. Di per sé il gioco non ha grosse pretese come un The Last of Us, non vuole far altro che divertire e meravigliare chi sta di fronte allo schermo. E se riesce anche fargli provare un po’ di nostalgia di un’altra epoca. Un sentimento in cui innegabilmente cadiamo con tutte le scarpe se c’è la possibilità – magari a un po’ meno di 70 euro.

Sulla nostalgia ho calcato già parecchio, ma che devo fare – volente o nolente un po’ ce ne è stata versata in Astro Bot. Un po’ tanta. Se mi riporto a casa un grosso dispiacere è che un gioco che mi ha fatto sorridere così tanto abbia commesso uno “scivolone” con i credits di chi lo ha portato alla luce. Le apprezzo sempre le battute, anche nei ringraziamenti, ma non se si mangiano quelli di chi li meritava di diritto.

Purtroppo chi videogioca spesso pecca di non fare molta attenzione a queste cose e girarsi dall’altra parte, e come detto fino a un certo punto non c’è nemmeno niente di male. Combattere per una causa non vuol dire far lo sciopero di [qualsiasi cosa] finché il problema non è risolto, ma almeno aiutare a far sentire una voce che chiede aiuto soffocata. Che so, portando megafoni o qualche storia Instagram.

Voto e Prezzo
7 / 10
50€ /70€
Commento
Astro resta Astro: il solito mix di colori, svago e Dualsense che fa follie inspiegabili a parole. Ma di inspiegabile a parole c'è anche l'assenza di gratitudine.
Pro e Contro
Ottimo svago
Beh, il Dualsense

x #locinthecredits
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#LiveTheRebellion