È probabilmente molto più facile associare
Techland a quel riuscitissimo trailer d’annuncio di Dead Island che al gioco (
e relativo seguito) vero e proprio. Il motivo principale, al netto della questione che riguarda le aspettative createsi nei giocatori dopo quel filmato, va ricercato in una serie di problemi tecnici capaci di azzoppare letteralmente l’esperienza e di non permettere a quanto c’era di buono nelle intenzioni degli sviluppatori di dire la sua, catapultando il risultato finale nel limbo degli eterni incompiuti.
Dying Light si è trovato quindi inevitabilmente ad essere “vittima” di questa nomea fin dall’annuncio, e suo malgrado adesso che è sul nostro banco di prova dovrà rispondere a questa domanda: ennesimo prodotto acerbo o questa volta il team polacco è riuscito a riscattarsi?
Versione testata: PC
Z per Zombie, S per Stereotipo
Il giocatore è chiamato a vestire i panni di Kyle Crane, agente al soldo del GRE (Global Relief Effort) inviato in missione nella città di Harran, messa in quarantena a causa di una misteriosa epidemia che ne sta trasformando gli abitanti in zombie. Lo scopo di Crane è quello di recuperare un file (
che pare contenere informazioni su una possibile cura per il virus scatenatosi in città) caduto nelle mani di un politico locale, Kadir Suleiman, che ritiene il GRE colpevole per la morte del fratello avvenuta in un “incidente collegato agli infetti”. Crane però una volta in città verrà attaccato da un gruppo di banditi e tratto in salvo da Jade, una ragazza che fa parte di un gruppo di runner che lottano con l’obbiettivo di aiutare gli infetti non ancora trasformatisi e i sopravvissuti rimasti, in opposizione alle forze al soldo di un uomo chiamato Rais.
La narrazione non è il piatto forte
L’aspetto narrativo non è (
e non vuole essere) sicuramente il piatto forte di Dying Light: le vicende infatti seguono abbastanza fedelmente il canovaccio “tradizionale” legato al genere e si evolvono in modo tutto sommato prevedibile.
Discorso simile può essere fatto anche per i personaggi, capaci di fare il loro dovere ma in generale mai memorabili.
Parkour!
Se le prime ore ricordano Dead Island, col passare del tempo Dying Light riesce a differenziarsi dal “cugino”
La scelta di non puntare forte sulla narrazione lascia il peso della produzione tutto sulle spalle del gameplay. Da questo punto di vista, se è vero che nelle prime fasi di gioco sembra di trovarsi davanti ad un altro capitolo della serie Dead Island (
complice uno scheletro di base ripreso fedelmente dall’altra serie survival made in Techland, sia per quanto riguarda il giocato che il sistema di crafting)
man mano che le ore di gioco aumentano Dying Light inizia ad assumere connotati diversi da quelli del “cugino”. Il merito va ricercato in alcune “limature” che rendono la formula di gioco un po’ più snella (ad esempio, non è più necessario recarsi ad un tavolo da lavoro per riparare le proprie armi, ma se ne può annullare l’usura durante l’esplorazione fino ad un certo numero di volte) ma soprattutto nello skill tree “Agilità” di Crane: queste abilità, legate a doppia mandata con il parkour, rendono l’esperienza più frenetica ed adrenalinica, ampliando le soluzioni a disposizione del giocatore sia (in parte) per l’offesa che per quanto riguarda la fuga quando si è circondati da infetti. Crane sbloccando il potenziamento giusto può ad esempio sfruttare la scivolata in corsa per colpire le gambe degli zombie e fargli perdere l’equilibrio (
o addirittura spezzargli le ossa e lasciarli a terra), o ancora sfruttare i nemici come “trampolino” arrampicandoglisi sopra e poi saltando, o ancora durante un inseguimento girarsi e (
sempre continuando a correre) fare ricorso ad oggetti da lancio come molotov e shuriken per ostacolare gli inseguitori. Soluzioni non propriamente originali, ma funzionali all’economia di gioco e come detto capaci di far uscire il tutto dall’ombra dei due Dead Island. Gli altri due alberi delle abilità, a riprova che l’ossatura è ripresa dall’altro franchise di Techland, si concentrano più direttamente sulle capacità offensive di Crane con il ramo “Attacco” (
aggiungendo colpi caricati, attacchi in salto e bonus su salute e resistenza) e sull’arte di arrangiarsi con le abilità “Sopravvivenza”, che spaziano da un maggior potere contrattuale quando si acquistano armi ed oggetti dai venditori ad un utilizzo più efficiente delle risorse e del crafting.
Ogni skill tree si potenzia sul campo, in modo che per ottenere punti abilità per il ramo “Agilità” sia necessario utilizzare il parkour per spostarsi ad Harran e per potenziare il ramo “Attacco” sia necessario affrontare ed abbattere gli zombie che incappano sulla strada del giocatore, mentre le capacità “Sopravvivenza” si affinano completando le tante missioni (
principali e secondarie) o una serie di eventi secondari, quali portare in salvo sopravvissuti o recuperare le scorte che il GRE sovente lancia per via aerea in città prima che cadano nelle mani dei banditi (
con cui è necessario combattere nel caso arrivino prima di Crane sul posto).
Diversi come il giorno e la notte
Il gameplay diurno e quello notturno sono molto diversi, quasi due anime della stessa esperienza
Altra grossa differenza con Dead Island (
e praticamente una seconda anima per quanto riguarda Dying Light) è la presenza del ciclo giorno/notte, che
oltre ai cambiamenti dal punto di vista dell’illuminazione impatta con prepotenza anche su quella che è l’esperienza di gioco. Il gameplay in notturna è infatti diverso da quello “alla luce del sole”: alcune specie di infetti sono infatti solo notturne e si differenziano dalla classica “fauna zombesca” diurna (
corrispondente grosso modo allo stereotipo di non morto inaugurato da George A. Romero, con l’eccezione di qualche corridore capace di arrampicarsi). I notturni sono decisamente più agguerriti e coriacei, oltre ad essere capaci di cacciare in branco e quindi di aumentare in numero quando l’inseguimento si protrae troppo a lungo. La loro vulnerabilità alla luce ultravioletta d’altra parte li rende vulnerabili ad alcune trappole disseminate dai runner della Torre in giro per Harran e ad una pila in dotazione a Crane, che utilizza in combo con l’abilità di girarsi continuando a correre riesce ad aggiungere ulteriore adrenalina a queste fasi, che alternano quindi inseguimenti e spostamenti furtivi (
magari sopraelevati sfruttando il parkour). Muoversi di notte comporta il raddoppio dei punti abilità accumulati, permettendo una progressione più rapida e premiando la difficoltà extra aggiunta e “semplifica” gli eventi secondari di recupero visto che i banditi si recano sui siti di atterraggio delle provviste solo con la luce (
la criticità in questi casi sta nel raggiungere i rifornimenti e tornare alla base senza farsi ammazzare dagli infetti, pena la perdita di diversi punti abilità).
Quando sta per calare la notte insomma è meglio recarsi al rifugio più vicino e riposare li (
saltando direttamente la fase di buio), almeno che non si voglia correre qualche rischio in più o completare le missioni che necessitano di essere svolte in assenza di luce.
Che lo Zombie sia con te
Be the Zombie è un signor extra, peccato sia disponibile solo per chi ha effettuato il preordine
Ad aggiungere ancora altra variabilità all’esperienza ci pensa la modalità “Be the Zombie”, che prende ispirazione dal Player versus Player visto nella serie
Souls e permette al giocatore di vestire i panni di un infetto notturno. A
nche in questo caso l’adrenalina è alla base del giocato: pur non disponendo del parkour di Crane il cacciatore è in grado di spiccare balzi di considerevole elevazione e di spostarsi a mo’ di Spider Man lanciando i suoi tentacoli contro le superfici, oltre a poterli utilizzare per attaccare in volo i giocatori umani e annientarli in un colpo. L’arma secondaria (
utile per finire nemici già feriti) è rappresentata dagli artigli, che possono essere caricati per lanciare un “colpo martello” utile quando si viene circondati ed è necessario tentare la fuga. Permane d’altra parte la debolezza ai raggi UV e di conseguenza alle torce degli avversari umani, che possono utilizzarli per sottrarre energia al mostro e debilitarne molto i movimenti mentre lo abbattono. Lo scopo di questi ultimi è quello di entrare in alcuni nidi di infetti e distruggerli, giocando da soli o in collaborazione con degli amici questa partita al massacro ambientata completamente di notte.
È infine possibile giocare in cooperativa anche la campagna principale, come d’altronde si poteva fare anche nei due Dead Island.
Tecniche di sopravvivenza
I bug di Dead Island sono ormai un lontano ricordo
Come si accennava in apertura, sicuramente i “pregiudizi” maggiori che si possono avere su Dying Light riguardano la sfera tecnica del titolo.
Questa volta Techland non si fa cogliere in fallo e anzi, oltre ad una resa visiva davvero buona e curata nei dettagli (i volti dei personaggi principali ad esempio sono molto convincenti) il tutto non presenta bug clamorosi o problemi gravi: freeze, oggetti che spariscono misteriosamente dall’inventario oppure morti improvvise dopo le cutscene insomma sono un lontanissimo ricordo e l’esperienza in definitiva scorre tranquillamente sotto il punto di vista tecnico. Anche per quanto riguarda l’audio nulla in particolare da segnalare, se non qualche sottotitolo non omogeneo a quanto poi i personaggi dicono, e anche il doppiaggio italiano fa il suo dovere nonostante qualche voce sia stata riciclata in più ruoli (Claudio Moneta ad esempio presta le corde vocali sia a Rais che al fornitore della torre).
Verdetto
8 / 10
Quello che volevamo vedere in Dead Island
Commento
Pro e Contro
✓ I bug di Dead Island sono un ricordo
✓ Tantissimi contenuti
✓ Divertente e vario
✓ Be the Zombie è un ottimo extra...
x ... Peccato sia disponibile solo col preordine
x Non molto originale
x Narrativamente sottotono
#LiveTheRebellion