Scrivere una recensione di Arranger quando il gioco è disponibile via Netflix è quasi un gesto vuoto.

Per quanto si possa giocare con le parole, beh, nulla può sostituire l’esperienza di gioco diretta. E Arranger poi è una di quelle esperienze che arriva su mobile 1:1, senza riduzioni o versioni ad-hoc e anzi, potendo sfruttare l’intuitività del touchscreen per il sistema di comandi. È davvero difficile dare un consiglio diverso da “scaricatelo da Netflix”. Specie se si considera che Arranger è una di quelle cose confezionate così a modo che è impossibile parlarne male.

Arranger è un gradevolissimo twist della formula degli Zeldini esplosa negli ultimi anni

L’indie, vero o presunto che sia, insegue The Legend of Zelda da tempi non sospetti. Ricordo di aver lasciato il cuore su Hob già nel 2017, e in generale di emuli di Link se ne rintracciano diversi anche prima (qualcuno anche più o meno nel mainstream, pensando ad Okami). Ma negli ultimi anni è una tendenza che s’è andata a sdoganare: Tunic, Eastward, Unsighted… per non citare tutti quelli usciti o in uscita quest’anno.

Arranger però è una cosa un po’ diversa. La formula è quella lì, un Viaggo dell’Eroe (che in questo caso è un Viaggio dell’Eroina – non la droga) che porta la protagonista a scoprire il mondo esterno. E chi gioca con Jemma a scoprire il mondo di gioco, il perché si sia deciso di rimanere dentro la Gabbia, cosa sia la Stasi e perché sia una minaccia. E minaccia lo è fin praticamente dall’inizio pad, tastiera o schermo alla mano, perché i puzzle di Arranger si basano in buona sostanza sulla sua presenza.

Il mondo di Arranger è una griglia, dove Jemma in realtà non si muove ma fa muovere le varie caselle ruotando in senso orizzontale o verticale. Se ai bordi della riga o della colonna che si sta spostando si trova un ostacolo (qualcosa ricoperto di Stasi, o anche solo un nemico) il movimento è bloccato. Arranger sta tutto in questa meccanica e forse il suo unico difetto è quello di non metterla mai in discussione. Arrivano nuovi enigmi per le circa 5 ore di gioco, ma la base rimane questa.

Ma si arriva comunque alla fine senza problemi grazie allo stile di Arranger e dei suoi personaggi

Non è un gioco che si prende troppo sul serio, Arranger, pur toccando tematiche che hanno una loro serietà. In questo ricorda un po’ Chicory, un altro di quegli emuli di Zelda uscito qualche anno fa e che non mi ha mai lasciato. Il merito è anche dei testi e dei dialoghi, che ammantano nel buffo e nell’assurdo problematiche che sono grandi livellatori che accomunano un po’ tutti. E proprio a questo proposito bisognerebbe spendere qualche parola sulla localizzazione italiana del gioco (che sì, c’è) a cura di Localize It!, che è riuscita a preservare l’anima di Arranger. Adattare un gioco – perché non ci si può limitare ad una traduzione 1:1 quando di mezzo ci sono citazioni e giochi di parole – è materia sempre delicata. È un lavoro ombra, qualcosa che quando è fatto bene non si nota nemmeno ed è disastroso quando invece non funziona, e forse anche per questo se ne parla poco e solo nei casi in cui ci sono da segnalare problemi.

Arranger senza girarci troppo attorno senza la cura nella localizzazione profusa da Localize It! non sarebbe così godibile nella nostra lingua. Pensaci, se decidi di giocarlo in qualcuna delle sue forme. Dovresti.

Voto e Prezzo
8 / 10
20€ /20€
Commento
Difficile non consigliare Arranger considerato quanto stile ha, quanto tempo preda al giocatore (poco, non cadendo nella trappola della longevità per il mero volume) e quanto alla fine i puzzle pur non essendoci quasi progressione siano ben congegnati. Poi appunto, il plus è che è nel catalogo di Netflix.
Pro e Contro
Stile da vendere
Ottima localizzazione

x Progressione quasi inesistente

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