Praticamente ogni recensione di God of War Ragnarok l’ha definito monumentale. E c’è del vero, a patto di limitarsi ad un singolo aspetto: solo che è l’approccio peggiore al videogioco.
C’è un unico aspetto sotto il quale posso accettare – no, capire – l’aggettivo “monumentale” applicato all’ultimo God of War. Quello dei contenuti. La formula di base è rimasta la stessa, ma ci sono più missioni secondarie, più collezionabili, più attività collaterali. Insomma c’è più di tutto. Solo che l’aggettivo “monumentale” ha di solito una connotazione positiva. E sinceramente non sono convinto che sia stato un bene riempire Ragnarok di così tanti contenuti. Ragnarok c’è stato spacciato da more of the same, quasi fosse un peccato di cui vergognarsi. Specie in un’epoca dove i primi 5 videogiochi di ogni anno sono letteralmente more of the same quando non sono the same e basta, volendo cadere nella fallacia logica di legittimare un discorso attraverso il successo commerciale come insegna il migliore dei sistemi possibili.
Il problema di Ragnarok non è essere more of the same, ma avere more in the same
È inevitabile. Se devi competere con l’RPG Open World di moda adesso non puoi fare altro che puntare sui contenuti. E così Assassin’s Creed da Origins a Valhalla raddoppia le ore in-game per arrivare al finale. E così Todd Howard prova a convincerci ad andare a letto insieme sussurrandoci delle migliaia di pianeti presenti in Starfield. Solo che God of War Ragnarok non è un RPG Open World come quelli che vanno di moda adesso. Al netto di alcune sezioni più aperte (battendo la stessa strada di Uncharted 4, più che quella del The Last of Us eretto a pietra del paragone senza apparente motivo) la struttura è la stessa del capitolo 2018. Ragnarok è un gioco essenzialmente lineare. Laddove il resto del mercato abbandona il giocatore sulla mappa riempiendo la bussola di indicatori, Santa Monica mette dietro lo schermo una o due strade da seguire e basta.
Nel 2018 funzionava, perché questa ritrovata linearità con la posa da mondo aperto era l’ideale punto di incontro dei due mondi. Lasciava agli sviluppatori le redini della storia, il controllo su quello che stava succedendo e su come il giocatore poteva arrivarci. Ma allo stesso tempo dava a chi stava giocando l’illusione del libero arbitrio, esattamente come quelle profezie che in Ragnarok sono il motore della storia. Quattro anni dopo il problema sono proprio i contenuti. Per far convivere storyline principale e missioni secondarie con questa struttura è stato necessario aggiungere dei dialoghi a fare da raccordo. Dialoghi che più che parlare a Kratos però si rivolgono quasi sfacciatamente al giocatore, arrivando alle soglie della quarta parete e rompendo l’idillio con la narrativa.
Si arriva a momenti in cui il dialogo è "vai a destra per le secondarie e a sinistra per la main quest"
Anche God of War 2018 aveva qualche intermezzo da alternare alla storia principale. Ma erano pochi momenti, e soprattutto in una cornice che era quella di un viaggio padre-figlio che non hanno fretta di arrivare a destinazione. In Ragnarok, beh… Sta arrivando il Ragnarok. La fine del mondo così come lo conosciamo. Lo sterminio degli Aesir. L’Apocalisse di San Giovanni. E Kratos e Atreus decidono che è una buona idea andare a soccorrere un animale ferito.
Non solo, ma per soccorrerlo iniziano a sterminare qualunque nemico li attacchi nonostante nella sezione “di trama” immediatamente prima si spendessero dieci minuti buoni di dialoghi su quanto non esista una parte giusta in una guerra e fosse sbagliato schierarsi. Su quanto avessero sbagliato Kratos e Atreus a farlo indirettamente qualche anno prima, viste come sono andate le cose nel Regno. Momenti di questo genere in Ragnarok non sono un’eccezione ma quasi una fastidiosa regola. Inevitabile finire dalle parti della dissonanza ludonarrativa, quando in una storia pensata per essere lineare – inserita poi in un design che la sostiene essendo a sua volta lineare – si inseriscono queste digressioni.
È inevitabile soprattutto quando il protagonista parla per tutta l’esperienza di non violenza, di quanto sia cambiato e di quanto non voglia più essere quel dio della guerra mentre in parallelo il battle system è divertente come non mai. Anche qui, sulla base di quanto visto nel God of War per PS4 si è costruito qualcosa di più stratificato, allargando anche la telecamera cercando di – ma non riuscendo a – risolvere il problema principale dell’altro capitolo, il non vedere i nemici alle spalle.
Insomma spesso c'è la sensazione che manchi un collante
Probabilmente è una riduzione eccessiva, ma nelle 40 ore passate tra Asgard e gli altri Regni spesso e volentieri ho pensato una cosa. “Si sente che manca la mano di Barlog“. È qualcosa che avevo già sperimentato con No More Heroes, che nel secondo capitolo diventa orfano di Suda51 e di conseguenza perde la noia che caratterizzava Santa Detroy, ma perdendo quella perde anche la sua anima. Che sia una coincidenza o no God of War Ragnarok si perde, mentre GoW 2018 non lo faceva. Si perde come abbiamo visto per colpa delle missioni secondarie, si perde perché quello che viene detto a schermo non combacia sempre con le azioni che il gioco poi ci richiede. Si perde ed è un peccato, perché poi la sostanza sotto questo strato di problemi c’è, ed è quella di una degna conclusione di questo ciclo norreno.
Kratos finisce il suo arco di maturazione. Nel primo capitolo aveva imparato ad amare Atreus, adesso deve imparare a lasciarlo andare, a lasciargli lo spazio di sbagliare. Nel primo capitolo era in fuga da sé stesso e dai suoi sensi di colpa, qui alla fine accetta il suo ruolo all’interno della profezia per quello che è ma allo stesso tempo decide di agire per essere migliore, non per assecondare il fato. Ricordando come tutto è iniziato, che personaggio era su PlayStation 2 e poi in God of War 3, l’evoluzione è incredibile. Ragnarok è dissonante anche in questo, perché mentre i suoi personaggi crescono lui regredisce, in un certo senso si piega ai desiderata del mercato.
Chiaro, sempre se non guardiamo solo al contenuto. In quel caso allora Ragnarok cresce di pari passi a Kratos.
Voto e Prezzo
8 / 10
60€ /80€
Commento
Ragnarok va giocato. Va giocato per dare una conclusione a questo arco norreno che a portato Kratos dall'essere un personaggio per proto-adolescenti figlio di PS2 ad un uomo in cui possiamo riconoscerci noi che adesso su PS4 e PS5 siamo oltre la trentina. Va giocato per rendersi conto di dove sta andando il mercato, di come questa fregola per il contenuto ad ogni costo stia facendo del male alle storie che il medium vuole raccontare e che ne sono il vero tesoro, perché un battle system più divertente non è necessariamente migliore se fa a pugni col messaggio e se c'è una cosa che Kratos ci ha insegnato in questi due capitoli è che dobbiamo essere migliori. Va giocato per capire cosa succede a un titolo quando lo togli dalle mani del suo demiurgo e insomma, va giocato anche se non è capolavoro, perfetto, monumentale o 10/10.
Pro e Contro
✓ Gran storia ✓ Degna chiusura della saga norrena ✓ Battle System più divertente...
x ... Ma con gli stessi problemi del primo x Spot per la dissonanza ludonarrativa
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