Ghostwire: Tokyo è un gioco (a)tipico. Anche se con un occhio attento rispetta dei canoni tipici di alcuni generi. All’interno del calderone dei vari generi che vengono mescolati da Tango Gameworks, si alza una nebbia in cui è difficile distinguere un vero e proprio genere di appartenenza. Se una volta era facile, ora succede il contrario: oggi più che mai è difficile stabilire con cosa stiamo giocando.
O, per meglio dire, se sia il gioco a voler giocare con noi. Perché nelle fasi in cui il gioco diventa un horror, la musica e le immagini che si frappongono tra noi e lo schermo giocano attraverso vari livelli. Vedere cambiare la prospettiva, sentire lo stridio uscire dalle casse della TV, creano un senso di inquietezza e smarrimento che incute timore nel giocatore. Ed attraverso questo mix di cose Ghostwire: Tokyo mostra i muscoli, incanalando il giocatore nelle paure dell’ignoto che sono personificate nella missione di Kirito, il protagonista. Ma una volta usciti dal binario della trama, il gioco non offre grandi spunti, diventando un banale sparatutto in prima persona.
E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda
Penso che la citazione di Nietzsche possa calzare a pennello nella stesura di questa recensione. Perché sembra che, ad un primo sguardo, i ragazzi capitanati da Shinji Mikami abbiano guardato di più ad una componente open world e alle missioni secondarie che alla trama nella sua interezza. Capiamoci: lo studio di sviluppo ha cercato sempre di essere estraneo ai canoni del medium. Un esempio lampante è la serie di The Evil Within: dove ormai gli horror “vecchia” scuola trovavano la via del tramonto, la saga di Sebastian Castellanos imponeva con una forza maggiore, ma allo stesso tempo con un colpo più febbrile, la dimostrazione che il vecchio sistema alla Resident Evil 4 potesse ancora dire la sua.
Non dimentichiamoci che in quegli anni il genere horror vedeva la nascita dei vari Amnesia e Five Night’s at Freddy, giochi la cui componente horror verte sull’ansia di non poter combattere e il jumpscare facile. Con Ghostwire, invece, si cerca di trovare una nuova formula, e linfa, alla paura, incastonando, però, nel genere le componenti open world e sparatutto che minano tali promesse. Guardano ancora di più nell’abisso è facile notare come si sia cercato di rendere il prodotto più appetibile per il nuovo pubblico, rispetto a far prevalere l’anima orririfica del prodotto.
Ci si sbaglierà raramente, attribuendo le azioni estreme alla vanità, quelle mediocri all'abitudine e quelle meschine alla paura.
Azioni mediocri che si trovano nella ripetitiva del gioco, dovuta sempre a voler rincorrere per forza il Superuomo dei videogiochi, quella della longevità. Perché se esiste un eterno ritorno per le compagnie, è quello di voler tenere incollati quanto più possibili i videogiocatori. Quello di voler dare alle masse per forza elementi ad un genere che potrebbe farne a meno. Se le avventure di Kirito nel ritrovamento di sua sorella avessero seguito un binario predefinito, ci saremmo ritrovati ad una Volontà di Potenza che sarebbe stata ricordata per anni.
Ma assistiamo alla morte di Dio, per cui il genere horror per trovare nuova linfa ed ergersi trionfante dalla morte, dovrà aspettare anni. O forse non uscire più da questa situazione di morte. Ovviamente il gioco non è da buttare. Come detto in apertura di questa recensione, Ghostwire: Tokyo esibisce un notevole comparto grafico, insieme ad elementi sonori di alto livello. Ma si rimane con l’amaro in bocca quando il gioco ingrana nelle parti horror, per poi scadere nella ripetizione sistematica delle attività.
Il futuro influenza il presente tanto quanto il passato
A voler stravolgere la formula dell’horror per poterla portare ad un nuovo passo, Ghostwire: Tokyo rimane ancorato al passato, creando una formula che non riesce a trovare una sua via. Quindi un esperimento riuscito a metà, cercando di divenire un Superuomo la cui pelle è un Frankestein ma con un pensante.
Ovviamente, date una possibilità a questo prodotto, in quanto da gemma grezza può donarvi qualche ottima ora in compagnia di Kirito e KK.
Voto e Prezzo
7 / 10
40€ /80€
Commento
Ghostwire: Tokyo è un esperimento mezzo riuscito, che mostra i muscoli laddove li deve mostrare, ma quando può mostrare la sua potenza espressiva non lo fa. E non per una questione di aver osato poco, ma di aver osato tanto senza un minimo di logica,
Pro e Contro
✓ Grafica ✓ Audio
x Trama x Anacronistico nella sua rivoluzione x Ripetitivo
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