Ho scritto questa recensione di Chronos: Before The Ashes, giocato nella sua versione per Xbox One, perplesso e un po’ dispiaciuto. Sarà che nelle conversioni “forzate” ci credo poco, visto che il gioco usciva nel 2019 in versione VR. E si sa, quando un gameplay viene costruito per assolvere un determinato compito, poi devi essere bravo a far sì che abbia un senso sempre e comunque. Il disco comincia a stridere già dopo i primi 10 minuti. Tralasciando il prologo iniziale, che se non si mastica un po’ di inglese diventa incomprensibile, le dinamiche di gioco non sono molto chiare. Mancano hint e consigli. Non vi è una sessione preliminare di “how to play”. Si va avanti e si fanno cose a caso.
Ok, è un ARPG. Ok, vi è una progressione dove i punti esperienza si “dovrebbero” guadagnare con il numero di nemici uccisi, visto che ogni tanto il personaggio diventa luminoso. Ma sono aspetti che ho dedotto giocando. Dedurre equivale a fare delle supposizioni sulla base di un gameplay poco chiaro nel suo insieme. E se un videogioco è “poco chiaro”, non attrae un interesse sincero e rischia di essere disinstallato dopo la prima ora.
Parole pesanti per un inizio, e di questo mi rendo conto scrivendo. Purtroppo non è stata una bella esperienza, nonostante conoscessi già Remnant: From the Ashes. Gunfire Games mi aveva fatto divertire, con uno shoot’emup vestito da RPG. Chronos: Before The Ashes è il prequel rispetto a quelli eventi narrati, con un misto tra sogno e realtà. A tratti sembra quasi di essere in un episodio della serie Lost, dove quando ti convinci di aver capito qualcosa, ti accorgi, l’istante dopo, che non hai capito una “mazza”.
Questo è stato il leitmotiv della mia esperienza con Chronos: Before The Ashes e, per osmosi, la recensione ha assorbito questo mio malessere.
All’interminabile elenco degli ARPG usciti in questo 2020, si aggiunge anche l’ultima (ri)creazione di Gunfire Games. Avendo alle spalle un Unreal Engine ci aspettavamo faville, sia dal punto di vista grafico che di gameplay. Il primo aspetto è un grande “NI”, nel senso che vi sono alcuni elementi interessanti e altri da dimenticare. La gestione dell’illuminazione globale, cosi come quella di alcuni effetti particolari, è gradevole. Le texture e il design dei personaggi, così come le animazioni, si potevano realizzare decisamente meglio.
I pattern di attacco e di difesa dei nemici sono “sgamabili” facilmente. Una volta appresi si “rusha” come se non ci fosse un domani (a patto che capiate cosa dovete fare). Segno, questo, di una AI approssimativa. I movimenti del personaggio principale, intesi come corsa e combattimento, sono legnosi e ripetitivi. Non vi aspettate le pose alla soulslike. In Chronos: Before The Ashes si attacca in due modi e ci si difende con lo stesso numero.
Lo sviluppo del personaggio si basa su un sistema numerico dove i punti abilità guadagnati vanno ad inficiare in alcuni aspetti del personaggio. In perfetto stile Dungeons&Dragons, si deve bilanciare e/o sbilanciare la build al fine di specializzare il guerriero di turno. Ovviamente, il tutto deve rispecchiare il nostro stile di gameplay. Il ne carne e ne pesce, in ogni ARPG che si rispetti, non esiste. La build, inoltre, deve essere coerente con armi e armature equipaggiate, considerando che, di base, lo stile di combattimento è un “melee type”. Tradotto, smashing buttons a go-go.
La storia, invece, ha dei profili interessanti. La “cazzata” è stata non localizzare il gioco in italiano, visto che ci sono molte lingue, alcune di queste vicine a noi. Ora, è vero che siamo nel 2020 e tutti devono conoscere l’inglese. Ma, se permettete, la fetta di gamer italiani merita considerazione da parte dei Dev, per cui non credo che inserire l’italiano costava vite umane. Sicuramente ha un “prezzo”, in termini di risorse e nell’economia dello sviluppo di un videogioco, è sempre quell’aspetto che si taglia se si sfora il budget previsto.
Dopo aver appena scalfito il muro dell’incomprensione, il resto è stato un continuo convincermi.
L’unico grande difetto di Chronos: Before The Ashes è la mancanza di una chiarezza di base. Di primo acchito sembra quasi un videogioco realizzato di fretta. La grafica è bella per metà, visto che il design dei personaggi è molto approssimativo. Non vi sono hint e aiuti di alcun tipo per instradare il gameplay. Tolto il filmato iniziale, in cui viene narrato il contesto del gioco, si va per tentativi. Non vi nascondo che la prima ora l’ho passata per capire cosa fare della mia vita. Appena mi appariva il messaggio “press B” mi ci fiondavo senza capire il senso di quello che dovevo fare. E non lo capivo nemmeno mentre lo facevo.
Dopo aver appena scalfito il muro dell’incomprensione, il resto è stato un continuo convincermi. “Dai il titolo adesso decolla”, “Adesso vedrai succederà qualcosa”, “Ma sì, è tutto fatto apposta”. Niente di tutto ciò, anche se l’alone di mistero attorno al gioco è lievemente funzionale al contesto narrativo. Ma tra mistero e nulla cosmico ci passa un abisso. Questo deve di servire di lezione a Gunfire Games. Quando si realizza un videogioco, la chiarezza funziona come una bussola. Se non ci capisco una mazza di quello che devo fare e dove devo andare, lo “scazzo” si presenta e mi offre da bere.
Non puoi non includere una mappa di gioco se, poi, il level design è multipiano e, per giunta, ricorsivo. Se mi includi gli enigmi senza un minimo di contestualizzazione, capisco il voler rendere le cose difficili, ma così sono vicine al prive di un senso logico. E poi, dulcis in fundo, non vi sono obiettivi, missioni, quest. Ora, in tutto questo c’è un senso ma non si può inseguire il momento in cui tutto questo diventi sensato. Un giocatore ha bisogno di conoscere prima di poter fare. E come si ti mettessi davanti il monopoli e ti dicessi “ok queste sono le pedine e questi i dadi”. Si ma le istruzioni?!
E ritorniamo quindi al famoso concetto della chiarezza. In VR funzionava perché se vivi in prima persona un mondo cambiano tutte le logiche e dinamiche in gioco. Movimenti e ragionamenti sono diversi. Con un joypad in mano, beh, la prospettiva è completamente diversa. Il cervello filtra e comprende in maniera molto più distaccata rispetto al VR, dove viene richiesto un approccio quasi istintivo. Il pad è come se fosse un interruttore della coscienza, un firewall che si attiva solo quando qualcosa non quadra. Noi non ce ne accorgiamo ma è così. È questo è un bene, fidatevi.
Verdetto
6.5 / 10
Solo se non avete di meglio
Commento
Chronos: Before The Ashes era interessante in versione VR, e come tale doveva rimanere. Il bel ricordo si abissa per colpa di un snaturata versione dedicata al pubblico del pad. Un vero peccato. Vi è un problema di chiarezza di base del gameplay, che come un fiume in piena si trascina quelle poche cose buone. Troppa approssimazione.
Pro e Contro
✓ Storia a tratti interessanti ✓ Ambientazioni originali
x Gameplay poco chiaro x Assenza di una mappa x Niente di originale
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