Tribute Games è uno dei tantissimi studi emersi dal marasma del mondo Indie dell’ultimo decennio. I ragazzi sono bravi, bravissimi, in quello che fanno, e dopo il discreto successo di Flinthook nel 2017 e gli ottimi risultati raggiunti con Mercenary Kings hanno lanciato sul mercato Panzer Paladin come coronamento di una carriera durata un decennio. Si vede benissimo che lo studio è animato da persone innamorate del proprio lavoro, lo si percepisce ad ogni titolo rilasciato. C’è però un problema, riscontrabile anche nell’ottimo Panzer Paladin: la rincorsa a volte sterile all’innovazione del passato.
Da quando esiste, infatti,
Tribute Games ha rilasciato solo videogiochi in pixel art che strizzano l’occhio all’epoca
8-bit. Da
Ninja Senki, che era un action-platformer carino ma scontatissimo a
Wizorb, un
Arkanoid in salsa fantasy, passando per
Flinthook che era l’
ennesimo roguelike a scorrimento orizzontale coi livelli generati proceduralmente.
C’è un elemento che caratterizza tutti i titoli di Tribute Games al di fuori della grafica 8-bit: la paura di risultare mediocri. In questa recensione di
Panzer Paladin analizzerò come, anche in questo caso, la smania per l’innovazione nasconde qualche problema di fondo nell’approccio.
Un Mecha gigantesco in 8-bit pilotato da un piccolo androide armato di frusta
Sin dai primissimi istanti,
Panzer Paladin mette in mostra una lunghissima lista di influenze estetiche. Dalla coppia di protagonisti che ricorda da vicino
Musha/Aleste al mech design vicino a quel meraviglioso filone di anime sci-fi coi robottoni che hanno infiammato gli anni ’90, tutto richiama al passato.
Dopo un’introduzione molto classica che chiarisce perfettamente che ci troviamo al cospetto di un action-platformer vecchio stile, veniamo catapultati in un hub centrale da cui scegliere le missioni da affrontare in giro per il mondo. Le meccaniche su cui si fonda
Panzer Paladin sono poche, ma ben pensate.
L’avanzamento all’interno dei livelli (ispirati a diverse parti del mondo) è gestito dalla coperazione tra
Grit, il robottone gigante, e
Flame, le cui piccole dimensioni le permettono di raggiungere zone inaccessibili al compagno d’armi, una meccanica che ricorda
Blaster Master. La frusta di cui è dotata Flame le permette inoltre di usarla come rampino, una trovata che ricorda da vicino
Super Castlevania IV. Il nostro obbiettivo è quindi quello di attraversare i livelli eliminando tutti i nemici che li popolano.
La meccanica fondante di Panzer Paladin, però, è quella della raccolta delle armi. Ogni nemico sconfitto – boss compresi – potrà lasciare a terra delle armi di cui ci si può impossessare per utilizzarle contro i mostriciattoli che popolano i livelli. L’aspetto più interessante non è tanto quello del combattimento, quanto quello che ogni arma può essere
rotta per liberarne l’abilità latente.
Spade, pugnali, lance, stiletti, randelli e chi più ne ha più ne metta
Il gameplay di Panzer Paladin è quindi molto semplice, ed è focalizzato sulla continua turnazione delle armi. Ogni arma ha caratteristiche di forza e durabilità differenti, oltre che abilità secondarie di vario tipo. Rompendo una spada si potrà ottenere un bonus d’attacco, rompendo un pugnale una piccola cura e così via. La chiave di volta per entrare nelle meccaniche di
Panzer Paladin e giocarlo nella maniera più soddisfacente è proprio la scelta delle armi da equipaggiare volta per volta, tenendo conto delle abilità che potrebbero fare più comodo in ogni data situazione.
Per il resto si tratta di un titolo molto semplice, con pochissimi aspetti da padroneggiare, e con il solo obiettivo di sconfiggere tutti i boss sparpagliati in giro per il mondo.
C’è però un problema piuttosto ingombrante. È vero che la meccanica peculiare di
Panzer Paladin è effettivamente molto interessante e ben pensata, però tutto il resto non funziona come dovrebbe. Una buona intuizione, dopotutto, non trasforma un gioco mediocre in un capolavoro, e il titolo di
Tribute Games ne è la prova.
Manca un buon level design che renda l’esperienza davvero interessante. Tutti gli stage si assomigliano in maniera davvero
fastidiosa e il motivo è che
Panzer Paladin soffre di un errore di game design abbastanza evidente.
Il fatto che le missioni siano affrontabili in ordine libero, infatti, rende obbligatorio che gli stage siano livellati allo stesso modo, e
questo ammazza il senso di progressione nel gioco. Non si diventa più forti e non si ha a che fare con stage che diventano via via più impegnativi, passato il tutorial è tutto uguale. Questo dimostra che per poter innovare davvero bisogna prima aver chiari gli elementi principali del genere di riferimento, e un platform senza buone idee di level design è un gioco mediocre.
Panzer Paladin è divertente, ma ce n’era davvero bisogno?
La risposta è
no.
Panzer Paladin è l’ennesimo esempio di
indie ispirato all’epoca 8-bit, e, di fatto, non serve a nessuno. Mi ci sono divertito, ne ho apprezzato tantissimo certi livelli, ne ho adorato il boss design e ho apprezzato la colonna sonora.
Poi nel giro di qualche ora dalla conclusione ho dimenticato tutto. Perché fondamentalmente non si può dire male di
Panzer Paladin, ma per quanto certi aspetti siano eccellenti sembra destinato ad un futuro di
abandonware dei nostri tempi.
Purtroppo parte del mondo indie funziona così e dopo aver riciclato il passato del gaming in quasi tutte le sue forme, oggi ricicla sè stesso. È un serpente in pixel art che si morde la coda, perché ogni tentativo di innovare le formule stabili da quarant’anni di gaming si risolve quasi sempre in un nulla di fatto.
Così come mi è successo in passato con tantissimi titoli, ad oggi mi trovo a pensare a
Panzer Paladin e faccio fatica a pensare cosa scrivere in una recensione. Perché in effetti sono un po’ stanco di elogiare la pixel art e le colonne sonore chiptune, anche se spessissimo sono fatte bene.
Il vero problema è che Panzer Paladin (e con lui centinaia di altri titoli) puntano tutto su una forma di innovazione che, di fatto, non innova nulla.
Quindi grazie Panzer Paladin, ma magari basta
Non sto assolutamente dicendo che si debba smettere di sviluppare videogiochi che strizzino l’occhio al passato, anzi. Vorrei solo che quest’ansia terribile di voler creare il nuovo giochino indie in pixel art che cerchi di innovare generi ben saldi da decenni venisse convertita in una forma di reale
creatività.
Perché non basta cambiare una meccanica per trasformare un action-platform in qualcos’altro, e secondo me anche i ragazzi di
Tribute Games ne sono al corrente.
Fatemi un favore: la prossima volta che vi viene voglia di innovare il passato fermatevi un secondo e ragionate.
Non basta ibridare generi come novelli Frankenstein per risultare freschi. E forse non è un caso che gli indie migliori degli ultimi anni si dividano tra titoli che hanno tentato di stravolgere
tutto e titoli che invece abbracciano al 100% le meccaniche del passato, dimostrando di averle comprese a fondo.
Alla fine non è colpa di
Panzer Paladin se la reazione è questa. La colpa, sempre che di colpa si possa parlare, è di chi ha voluto comunque che
Panzer Paladin uscisse in questo marasma di indie tutti uguali nel voler essere per forza innovativi. Perché in un altro contesto o in un altro momento storico probabilmente
Panzer Paladin mi sarebbe rimasto molto più facilmente nel cuore, ma oggi sa un po’ di minestra riscaldata.
Una buona minestra riscaldata, che però mi ha stancato non poco.
Verdetto
6.5 / 10
L'ansia di innovare per forza un genere senza averne compresi i fondamenti porta a fare i giochi mediocri
Commento
Pro e Contro
✓ Ottima pixel art
✓ La turnazione delle armi è interessante
x Nessun senso di progressione
x Level Design mediocre
#LiveTheRebellion