Dai joystick alla console, tutto si può personalizzare. Ma ne vale la pena?
L’evoluzione del console gaming è accompagnata da tempo da un evidente bisogno di personalizzare la propria pargola e i suoi accessori, dal joystick alle cuffie. Ce lo dicono non solo i progetti Kickstarter, ma anche la grande Sony – che non si fa mai sfuggire l’occasione di compiacere l’occhio dei fan. Il design di PS5 rivelato nemmeno una settimana fa ha fatto parlare di sé, forse ancor di più della rivale Series X. Tempo il giorno successivo ed ecco i fan cimentarsi nel reimmaginare la console tra meme e design personali, capeggiati dal noto BossLogic.
Insomma, è di nuovo ora della solita console war PS5 vs XBox Series X, ma stavolta il pomo della discordia è il design. Ci garba il frigorifero? Lo Shellder elettronico ci attizza? Boom, basta un’immagine che scoppia il finimondo – perché se il design della console non ti piace ti senti come un coltello al petto. E ovviamente non bastano i temi, se vogliamo personalizzare la console deve essere così radicale da renderla irriconoscibile agli occhi di Sony stessa. Quindi quel design è un tradimento a tutti gli effetti, un voltafaccia imperdonabile che ti porterai dietro fino alla tomba. Fino al giorno prima arringavi la tua schiera di seguaci sui social, invocando finalmente al cambiamento. Eppure è bastata un’immagine e tutto è finito.
Il problema di fondo è l'archetipo di gamer dentro ognuno di noi.
Trasandato e puzzolente, seduto sul divano patatine al fianco e joystick unto alla mano, con le lacrime agli occhi perché la saga che adora è stata rovinata. Ma no, il problema non è l’aspetto esteriore – chi se ne frega di giudicarlo quello, che tanto siamo tutti attrezzati nello stesso modo. Quello che rovina la community è il carattere tossico, che ci viene fuori di natura quando qualcosa non ci piace. Ci disperiamo, ci chiediamo perché e non troviamo una ragione. Un po’ come Gollum: il tessoro non è come ce lo aspettavamo. Ci hanno rubato quel sogno.
L’archetipo di gamer è quello che nell’immaginario collettivo (o nell’isteria di massa) si trasforma nello stereotipo più pericoloso. Il volere una console come la sognavamo – a costo di doverla personalizzare spendendo soldi – è solo l’inizio. La società finisce per percepire il gamer come un personaggio che pretende un’esistenza intera personalizzata alle sue esigenze. Lavoro da casa, zero contatti sociali, mammà che lava i panni, prepara il pranzo, pulisce la stanza. Insomma, l’idea (distorta) che la mente italiana ha di uno streamer. Incapace di provvedere a sé stesso se ne sta seduto sul divano, con l’Unico Joystick in mano che lo intitola a commentare il mondo esterno senza effettivamente contribuirvi attivamente.
Ma forse vi sta sfuggendo qualcosa...
Se c’è un motivo – uno soltanto – per cui lamentarsi fa bene è perché in questo caso dà lavoro a qualcun altro, o più lavoro a chi ne ha già. Vogliamo personalizzare la console, ed ecco che Sony ci legge nel pensiero e ci tira dietro le edizioni limitate di PS4 e joystick: Death Stranding, Kingdom Hearts, Destiny. E siccome il design di PS5 non ci è piaciuto granché arriva l’eroe del giorno, che con una campagna Kickstarter ci mette in mano proprio l’Unico Anello in grado di dominare tutti i design. L’unico modo per fare le cose “come dico io” è farmele da solo? Bene, allora fatevelo da soli il joystick, personalizzatelo come vi pare. Prendetevi uno sticker, smontate il controller e immergetelo nella vernice che pare a voi: eccovi sistemati.
Lamentarsi troppo, ogni volta e per qualsiasi cosa, di sicuro non fa bene a voi né al lavoro degli altri. Il bene del voler personalizzare una console però è che qualcuno ne farà un lavoro, occasionale o a lungo termine. Se sostenere Sony sembra aver pietà di un colosso multinazionale, allora diamo una mano ai piccoli creator, che hanno avuto un’idea e sperano venga sostenuta dal consumatore. L’archetipo di gamer viziato e lagnoso alla fine è servito a qualcosa di buono. Assurdo, vero?
Sembra quasi che i consumatori servano, a questo mondo.
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