Una tecnologia in arrivo a passo non troppo lento.
Possono sembrare una novità, ma di occhiali AR si vocifera da tempo immemore. In tempi relativamente lontani Google fu il primo ad osare, e dei suoi Google Glasses si parlò parecchio. Il prototipo prometteva una rivoluzione, in un momento storico in cui la tecnologia indossabile stava ancora tastando il terreno. “Ok Google Glasses, portami da Starbucks!”, e una mappa veniva proiettata ad una lente appena visibile. “Ok Google Glasses, scatta una foto!”, e senza bisogno di usare le mani la telecamera avrebbe scattato una foto.
Le rivoluzioni però non arrivano mai senza intoppi, e Google evidentemente non ne stava tenendo conto. Il
prezzo troppo elevato sicuramente è stato un inizio, perché spendere più di mille dollari a unità è impensabile in certe circostanze. Proprio le circostanze sono state il colpo di grazia. La mancanza di
un business case a cui applicare il dispositivo per risolvere un problema è forse la ragione principale del fallimento. Senza una vera ragione di vita, il dispositivo si riduceva a un mero
accessorio di moda, con (pochissime) funzionalità aggiunte che non ne giustificavano nemmeno il costo vertiginoso. L’hype generatosi intorno al prodotto aveva raggiunto vette incontrollabili, e il
colpo di frusta è stato spietato.
Per gli occhiali AR però non era ancora la fine.
Il lascito è stato raccolto nel tempo da altri, che dal fallimento di Big G hanno voluto trarre insegnamento per migliorare la tecnologia. Non poteva ovviamente farsi sfuggire l’occasione
Apple, del cui
prototipo si sta parlando giusto di recente. I loro occhiali AR propongono un dispositivo con meno componenti fisici – più improntato quindi all’utilizzo di
ologrammi proiettati direttamente sull’occhio. Emerge quindi un quadro in cui si toccano accuratamente le falle di Google Glasses, per migliorare a livello fisico ed economico il prototipo. Altri colossi (e meno) seguono a ruota, sviluppando prototipi dalle specifiche e aspetto decisamente variegati. Non meno importante poi la collaborazione tra
Niantic e Qualcomm, per una tecnologia indossabile da utilizzare – si direbbe – nei giochi in realtà aumentata del produttore americano. La notizia fa chiacchierare, specie considerando la
nuova modalità rilasciata giusto ieri su
Pokémon GO.
Il passo è breve, da “moda indossabile” a “tecnologia indossabile”. Se gli occhiali AR di Google insegnano davvero qualcosa è che è necessario tenere a mente questo labile (ma essenziale) confine. Da una
tecnologia, appunto, ci si augura che possa apportare un
aiuto sostanziale alla vita dell’uomo, e tutto sommato il colosso di Mountain View non era partito male con l’idea di mostrare le mappe direttamente di fronte l’occhio. Tuttavia non è stato sufficiente. Gli occhiali AR possono però essere visti come
potenziamento di un caschetto VR, che hanno fatto scalpore di recente per l’applicazione in
campo medico. È facile immaginare come dei semplici, leggeri occhiali possano essere un upgrade a quel tipo di applicazione: gravano meno essendo più leggeri, ingombrano meno in termini di spazio.
Ne abbiamo davvero bisogno?
No: degli occhiali AR, come degli headset VR,
non c’è stretta necessità nella vita dell’essere umano. La tecnologia in generale, in realtà, è pensata come un aiuto per facilitare la nostra vita nel pratico. I telefoni rendono le comunicazioni una passeggiata (
quando hanno campo), di applicazioni ne abbiamo per tutti i gusti. Di oggetti che simulino
una realtà che abbiamo già davanti quindi non c’è necessità – se non pensiamo a come potrebbero essere utili. Mettere in comunicazione due chirurghi a distanza di continenti durante un’operazione, ad esempio, può essere uno di quei casi d’uso in cui la tecnologia può
salvare una vita.
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