Conclusa l’ideale trilogia sugli eroi americani moderni, Eastwood torna davanti alla macchina da presa con un capolavoro che esalta tutta la sua poetica.
Clint Eastwood è arrivato in quel momento della carriera dove non si vogliono più restrizioni, e lo si capisce perché non sembra neanche recitare, e probabilmente non ci prova neanche. È un Eastwood divertitissimo quello di The Mule (Il Corriere) sopra le righe nell’interpretare un personaggio ugualmente incredibile, Earl Stone, alter ego di Leo Sharp, corriere della droga novantenne per necessità. Il fatto stesso di ripercorrere le sue orme senza doverle ricalcare in copia carbone ha dato a Clint la possibilità di metterci molto di sé nel personaggio, arrivando a regalarci una prova straordinaria, sontuosa, senza freni, perfino autoironica. E a dispetto di quanto non si veda nei trailer, impostati per mostrare più che altro il lato drammatico della pellicola, si ride tantissimo, vuoi per la genuinità di Earl, per il suo cinismo e senso dell’umorismo, o per l’assurdità della situazione in cui si troverà invischiato e del modo in cui la vivrà.
Dopo una vita di successi nel campo della floricoltura, sul cui altare ha sacrificato anche l’affetto di moglie e figlia (“sono i tuoi amici che hanno potuto vivere l’Earl brillante e divertente”), la crisi economica gli porta via il vero amore della sua vita, la sua attività, la sua casa. Solo ma mai abbattuto, anzi sfacciato, decide di andare a trovare la nipote, unica donna della sua vita a non disprezzarlo. La festa di fidanzamento che anticipa il prossimo matrimonio, che diventa un’opportunità quando un amico della nipote lo avvicinerà fornendogli dei contatti, in caso volesse guadagnare un po’ di soldi guidando, lui che non ha mai preso una multa in vita sua macinando migliaia di chilometri sulle strade di 48 stati su 50. Stone non si fa molte domande, neanche quando sul posto di lavoro, un garage adiacente un distributore di benzina, si vede accolto da tre uomini ispanici, armati, chiaramente affiliati al cartello di Sinaloa. Le regole sono semplici: porta questa borsa in questo hotel senza sbirciarne il contenuto per nessuna ragione, scendi, lascia le chiavi nel cruscotto e torna dopo un’ora per trovare una busta colma di contanti. È meravigliosa la nonchalance di Earl, la certezza di avere poco da perdere e uno spirito da avventuriero. Quello che comincia da quel momento è un road movie brillantissimo, incalzato dalle indagini di Colin Bates (un ottimo Bradley Cooper giustamente in secondo piano per gran parte dei 116′), agente della DEA, sulle tracce del “mulo” più attivo e sfuggente del cartello, e spezzato perfettamente da intermezzi familiari in cui Earl si renderà conto di avere poco tempo per recuperare l’affetto e i rispetto delle sue donne.
È fantastico come si passi con naturalezza, e mantenendo tutta la classe dell’Eastwood regista, da scene tesissime di stampo poliziesco a esilaranti festini privati in Messico, organizzati nella villa del boss Latòn (Andy Garcia) con Stone ospite d’onore, attorniato da prostitute, alcool e droga. Eastwood ironizza anche sul suo essere repubblicano, incontrando sulla sua strada una coppia di colore, motocicliste lesbiche, e soprattutto lavorando per messicani perfettamente integrati nel tessuto criminale statunitense, con siparietti deliziosi e di grande sensibilità. La tensione cresce però costantemente, forse in maniera un po’ ripida, fregandosene dei tempi cui ci ha abituati il cinema, dando molto più spazio alla commedia di quanto ci si aspetterebbe, ma è bellissimo così. I brividi del finale, che ricorda per pathos quello di Un mondo perfetto, sempre diretto e interpretato da Eastwood, sono qualcosa che non ci si scrolla di dosso appena usciti dalla sala.
Quello sguardo lì, quello del texano dagli occhi di ghiaccio, è oggi più penetrante e fiero che mai, sottolineato dai segni dell’età, da un’apparente fragilità che serve solo a mimetizzare una verve e un talento immutabili. È la Storia del cinema, e Clint Eastwood con The Mule ne ha scritta un’altra pagina. Eccezionale, emozionante, scintillante, forse il film più libero che abbia mai girato e interpretato, sicuramente uno dei suoi capolavori.
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