Stefano Calzati

Speciale Io, Dio e Bin Laden ammutolisce perfino Rambo

Irresistibili eccessi di patriottismo.

Durante le grandi cacce all’uomo, seguite di TG in TG, c’è sempre il brillantone che le intervalla con uscite del tipo “si va bè, se vado li io lo trovo in 5 minuti“, in barba a tutti gli specialisti armati fino ai denti intenti a fare il loro lavoro. Uno di questi è proprio Gary Faulkner, ex carcerato, disoccupato, aspirante alcolizzato ma soprattutto grandissimo patriota (tutti elementi in grado di conferire un’aura di estrema libertà allo spirito di un soggetto, frenato, ma non troppo, solo dai cicli di dialisi), segnato da quell’11 settembre 2001 e fuorioso, incredulo nel vedere i buchi nell’acqua delle migliaia di militari impegnati nella ricerca dell’asso di picche nel mazzo dell’FBI: Osama Bin Laden. Tra il lamentarsi e il fare c’è però di mezzo Dio, “l’Onnipotente, proprio lui, incredibile“, come direbbe Piccinini, pronto a manifestarsi in una versione sospettosamente filo-statunitense proprio agli occhi di Faulkner, dando la spinta decisiva a un’impresa folle, insensata, assolutamente vera, e a un triangolo che nessuno avrebbe mai considerato: Io, Dio e Bin Laden.

Islamabad Caput Mundi
Una storia assurda, che non poteva che ingolosire lo spirito satirico di Larry Charles, autore di due cult moderni del politically incorrect quali Borat e Brüno e raccontando già il post 11 settembre ne Il Dittatore (trittico co-sceneggiato dallo stesso protagonista, Sacha Baron Cohen), dall’altra parte della barricata, o dell’etnia se preferite, scegliendo un’approccio cinematografico e abbandonando il suo mockumentarismo travolgente. Io, Dio e Bin Laden continua su questa falsariga, pescando ancora una volta un soggetto clamorosamente adatto al suo stile, aggiungendoci l’esplosivo ingrediente religioso (già trattato senza filtri in Religiolus), e lasciando gli interpreti liberi di pascolare sulla scena senza essere recintati in una sceneggiatura dalle battute scritte a tavolino. Sarà per questo che lo spettatore si trova davanti ad una delle performance più travolgenti di Nick Cage da anni a questa parte? Vai a sapere, ma sicuramente inventarsi la caricatura di un personaggio come Faulkner (autoproclamato “re degli asini”), così avulso dal buon senso di chi si definisce “normale”, ha permesso al nipote di Coppola di esprimersi al meglio, e lo si vede proprio raggiante, coinvolto, divertito da un’escalation di azioni apparentemente insensate, preda della più accecante crisi mistica. Perché se Cage non fa rimpiangere assolutamente la verve comica di Cohen, anche Nostro Signore alias Russel Brand ci mette tanto del suo nel diventare la personalissima incarnazione divina degli ideali di Faulkner. Un Dio narcisista, sarcastico, autoritario, scurrile, protagonista di alcune delle scene più riuscite e dannatamente divertenti.

Ma è il modus operandi completamente improvvisato con cui Gary cercherà di obbedire all’Onnipotente che riesce a dare vita a scene memorabili, sullo sfondo della caotica e curiosa Islamabad, che vedrà un americano passeggiare armato di katana (anch’essa acquistata post-allucinazione mistica… Non fatelo mai) superare le barriere culturali e linguistiche solo con l’intraprendenza e l’incoscienza, inserendo il pilota automatico sicuro che “tanto sono creta nelle mani di Dio, da qualche parte arriverò“, ritrovandosi però senza possibilità di dialisi, allucinato, fumato e con degli agenti della CIA indispettiti alle calcagna, preoccupati che quel matto possa davvero arrivare al barbuto prima di loro, cosa che sul piano onirico sarebbe già avvenuta (esilarante), se solo valesse nell’economia di una caccia all’uomo. E nonostante questa missione, e i continui viaggi avanti e indietro tra U.S.A. e Pakistan che ciò comporta, Faulkner trova anche il tempo di coltivare una relazione sentimentale con l’ex compagna delle superiori Marci Mitchell (la bravissima Wendi McLendon-Covey), unica prospettiva di una vita regolare, costantemente messa in secondo piano rispetto a faccende di ben altro spessore avventuroso.

Dio agisce in modi misteriosi, si sa, tipo convincere un ex galeotto squattrinato a partire per il Pakistan, sorvolarne le catene montuose in deltaplano, trovare e consegnare Osama Bin Laden alla giustizia statuinitense.

Certo, è anche una produzione che mostra il fianco ad un bugdet ridotto, nato come progetto destinato all’home video e quindi con una limitata distribuzione nelle sale (a partire dal 25 luglio), una pellicola che termina anche troppo frettolosamente, sensazione direttamente proporzionale alla bontà di quanto visto nell’arco dei suoi, genuinamente divertenti, 92′. Charles riesce a ridicolizzare il patriottismo esaltando però gli intenti eroici di Faulkner, sminuendolo e ammirandolo al contempo, lasciandosi però alle spalle, almeno questa volta, quegli eccessi satirici che ne hanno caratterizzato la carriera. A me dispiace perché personalmente vado pazzo per quella sfrenata scorrettezza verso tutto e tutti ai fini comici, mentre per altri può invece essere tutto molto più digeribile e assimilabile, senza ovviamente rinunciare a una comicità brillante, di quelle capaci di far detonare una sala e alzare l’asticella qualitativa di un film che fa del cast capitanato da Nicolas Cage il suo vero punto di forza. Un piccolo, piccolo cult, capace di raccontare una storia incredibile nel migliore dei modi, caricaturale e iperbolico.

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