È apatia videoludica.
Giochi, passi qualche ora del tuo tempo libero tra controller e divano, magari scrivi pure qualcosa, ma non sei davvero lì. Non al 100%, non anima e corpo, e non puoi dare la colpa alla stagione. Quando il caldo non ti fa né caldo né freddo, il biasimo è tutto per quello scaffale capace di spacciare semplici diversivi, lontani dal vero intrattenimento che ti servirebbe. L’equivalente generico in farmacia, il passare alla sigaretta elettronica sapendo che per quanto forse sia più salutare (e anche più di tendenza, a dirla tutta) il vizio del fumo, giocato così, non ha lo stesso significato rituale. Tutto questo perché Natale, quest’anno, cade l’8 agosto, e quando sta per uscire un titolo di cui in questi anni hai solo potuto immaginare la fragranza tutto il resto passa in secondo piano, scorre più lentamente. Tutto gira a trenta fotogrammi al secondo, dal tuo punto di vista, e continuerà a farlo finché il download (almeno lui) non raggiungerà il 100%.
Perché l’8 agosto finalmente uscirà Hellblade e – al solito, fate finta che qui ci siano ringraziamenti di rito e di circostanza a piacere – editorialmente Hellblade è tuo.
Grandi poteri, grandi responsabilità, eccetera eccetera. E mentre tutto scorre a rallentatore già da diverse settimane prima, davanti c’è una strada lastricata di buone intenzioni (come tutte quelle che portano all’inferno, no?), qualche scadenza e tantissimi reminder. L’equivalente digitale di post-it seminati ad intervalli regolari perché – bisogna ammetterlo – l’Operazione Eterno Peter Pan sta fallendo, e per ogni “io mai” e “quando sarò grande io” pronunciato negli anni la vita vera ti ha rifilato obblighi e verità che non avresti mai pensato sarebbero state tue. E quindi si combatte anche con i promemoria sul cellulare per ricordarsi delle scadenze, e quindi ci si dedica all’hobby a tempo pieno di scrivere di videogiochi (più tutto il carrozzone che circonda lo scrivere di videogiochi, su cui ha avuto la malsana idea di salire qualche anno fa e complessivamente ancora non essersene pentito) ricorrendo a tutti i trucchi umanamente escogitabili. Quelli, un po’ di ansia – ma di quella positiva, quella che ti dà la spinta giusta, come il soffio dentro una vecchia cartuccia che non voleva saperne di partire – e qualche ora di sonno in cui in realtà si dorme meno del dovuto. Tutto perché poche cose ti ripagano di questi natali anticipati in occasione dei vari day one – o meglio ancora, della scadenza degli embarghi. Ed è a questo punto che Dio, il karma, un tizio di nome Franco che si diverte a lanciare i dadi (dategli un po’ il nome che vi pare, io continuo a scegliere il sacrilego. E forse è per questo che poi mi succedono ‘ste cose) si mette di mezzo, e nonostante tutti i promemoria, le mail inviate e quant’altro poi quel maledetto codice, a ridosso del day one non arriva. Capita, è un rischio abbastanza calcolato e ogni tanto tocca star sotto.
La cosa alla fin fine non è che t’abbia mai davvero fermato, vuol dire semplicemente una giornata in ufficio passando a guardare ad intervalli irregolari il quadrante dello smartwatch (sì, spendi male i tuoi soldi. Accettiamolo e andiamo avanti) sperando che ogni email sia quella email, in una versione un po’ nerd e fuori tempo massimo di una canzone che avrebbe potuto scrivere Max Pezzali. Non è un dramma – fossero questi i drammi, anche solo nel contesto redazionale, uno ci metterebbe anche la firma – una volta arrivato a casa basta aprire PlayStation Store e tirare giù il gioco pagando come un comune mortale. Qualcuno più furbo direbbe perché ti sei preso l’incarico, hai pianificato un paio di articoli a tema Hellblade che mica puoi scrivere senza aver giocato ad Hellblade o perché tieni al progetto e vuoi che la recensione ci sia per chi ti legge, per chi vi legge. In realtà è per semplice e sano egoismo, è perché al di là dell’introduzione romanzata qui sopra Hellblade te lo vuoi giocare, e magari ci vuoi anche scrivere due righe. Stic*zzi se più o meno chiunque ti ha consigliato di aspettare, che non si sa mai e magari poi domani mattina ti ritrovi il codice lì ad aspettarti nella casella di posta. La scimmia vede, la scimmia fa, la scimmia (lo avrete capito) è tanta e ci hai messo una pietra sopra: PS Store e poi un cazzeggio mentre il download procede. Bel programmino, ma Franco – ancora lui – evidentemente non era tanto convinto che fosse la serata giusta per mandar giù un paio di pillole dal catalogo di Netflix tranquillamente. Perché arriva il messaggio.
Piè, non aprire la mail.
Vabbè, ci hai provato Guido. Non fosse che è la millesima volta che ci facciamo reciprocamente ‘sto scherzo ed è tutto il giorno che continuiamo a dire “vedrai che appena lo compri arriva il codice” sarebbe anche una cosa credibile. Lo mando a fanc*lo dopo, tempo di finire l’episodio. Solo che poi il Pebble dà un’altra vibrata – metterlo in silenzioso mai, eh? – e ti cade l’occhio. È una notifica di Gmail. Anzi, è la notifica di Gmail, quella che stavi aspettando da tutta la giornata. Piccolo dettaglio: è arrivata tipo venti minuti dopo aver deciso che tanto non arrivava più. In una versione edulcorata della vita, la reazione sarebbe stata una risata, una scrollata di spalle, un vabbè. Tu bevi Coca-Cola Zero e hai vissuto la tua vita tra il Veneto ed il Friuli, per cui la reazione si ricollega al sacrilego di cui sopra.
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