È il 1981, il video ha già ucciso da un pezzo le radio star e un misterioso cabinato fa la sua comparsa a Portland, Oregon. Basta qualche partita per iniziare a soffrire di amnesie, stress, incubi e (soprattutto) perdita di interesse in qualunque altro videogioco. 36 anni dopo, Polybius è tornato ed è pronto a soggiogare – finalmente – tutta la popolazione videogiocante del pianeta.
Quella che avete letto qualche riga più su non è l’incipit di qualche romanzo, la trama di un videogioco in prossima uscita o uno dei nostri Racconti Ludici partito per la tangente. No, la storia di Polybius è vera, anche se non nel modo che vi aspettereste: si tratta infatti di una leggenda metropolitana che ha come ingredienti questo fantomatico cabinato capace di turbare la psiche del giocatore, una software house (dietro lo sviluppo del gioco) dall’eloquente nome di Sinneslöschen – “cancella mente”, in tedesco – e degli uomini in nero che ciclicamente raccoglievano dati e punteggi dalla macchina per scopi non meglio identificati, ma sicuramente loschi. Ma era inevitabile che prima o poi qualcuno sviluppasse davvero Polybius, e dovendo scegliere quale nome migliore di quello di Jeff Minter, dal curriculum stipato di produzioni arcade e noto per i suoi prodotti dal tratto psichedelico?
Non è un gioco per tutti – davvero
Siamo ormai abituati, dopo anni e anni passati pad alla mano, ad avvisi che una volta avviato il titolo di turno (nel caso di Sony, anche appena avviata PS4) avvisano dei pericoli che corrono giocando alcuni soggetti particolarmente sensibili. Polybius però gioca subito al rialzo: non è un gioco per tutti già dal primo avvio, visto l’utilizzo che viene fatto di forme e colori, e in buona sostanza il titolo Llamasoft chiede al giocatore un’accettazione formale del rischio, costringendolo ad aprire due pagine dedicate ai pericoli insiti in Polybius e a confermarne la presa visione in entrambi i casi. E la cosa bella è che non si tratta di un vezzo o di una trovata scenica: Polybius è davvero incasinato, coloratissimo ed allucinato, e pertanto i soggetti fotosensibili ed epilettici corrono davvero dei rischi una volta avviato il tutto.
Insomma, Polybius è stato disegnato senza il minimo rispetto per tutte le norme vigenti quando si tratta di User Experience. Ma ha anche dei difetti.
Il risultato finale? Specie se si gioca al tutto tramite PlayStation VR, quando dopo aver completato una quindicina di livelli si stacca, arriva puntuale una sensazione di vaga vertigine, di leggera sopraffazione. Un viaggio, ma più vicino a qualcosa che potrebbe suscitare una sostanza allucinogena, rispetto al significato che solitamente quando si parla di videogiochi si attribuisce alla parola “viaggio”. Proprio per questo, per quanto il gioco sia assolutamente giocabile – e folle, come accennavamo e vedremo meglio a breve – anche in modalità tradizionale, PlayStation VR nel caso di Polybius gioca un ruolo principale, diventando un valore aggiunto pesantissimo proprio perché la Realtà Virtuale catapulta il giocatore “dentro” il gioco, nel bel mezzo di questo trip fuori da ogni regola e canone. Insomma, il perfetto prodotto da utilizzare come spot per la tecnologia, per far capire a tutti gli scettici quali possono essere già da adesso i vantaggi di un matrimonio tra videogiochi e VR.
Eviteremo di dire che I Simpson avevano predetto anche questo
Non so cosa sto facendo, ma il punteggio sale
Com’è Polybius pad alla mano? Non ne siamo sicuri. Davvero
Ma cosa succede una volta che si inizia a giocare a Polybius? Dopo aver passato più di qualche ora in compagnia della creatura di Jeff Minter, non siamo ancora sicuri di essere in grado di rispondere. Si, si tratta di uno sparatutto vettoriale (c’è qualcosa che grida arcade più di queste parole?) dove si controlla una navicella all’interno di uno scenario muovendola a destra e a sinistra, o sparando. Però ogni livello – il gioco ne propone 50 – è un mondo a sé, con un design e delle regole interne diverse, dove lo sviluppatore ha inserito praticamente qualunque cosa gli passasse per la mente, dalle citazioni a Neuromante di William Gibson a delle uova fritte che bisogna inseguire e distruggere. E come se questo non bastasse, come se il fatto che lo schermo sia letteralmente stipato di poligoni, linee e colori (tanto da nascondere spesso e volentieri gli indicatori a schermo) non fosse già abbastanza destabilizzante, Polybius per sua stessa natura lascia trapelare solo una vaga percezione di quello che sta effettivamente succedendo a schermo, lasciando che il giocatore si approcci ai vari livelli non del tutto consapevole di quello che sta facendo. In teoria lo scopo è quello di sparare agli ostacoli che compaiono a schermo (o di evitarli) mentre al contempo si passa attraverso alcuni portali che aumentano la velocità della navetta. In realtà però già attraversato il primo portale la velocità del mezzo diventa tale da non riuscire a rendersi conto – non con il livello di “consapevolezza” cui i videogiochi di solito si presentano – di cosa sta succedendo. In pratica si prosegue sparando, in modo da tenere alto l’indicatore del punteggio (Polybius di tanto in tanto ci informa di quella che è la percentuale di accuratezza raggiunta) e soprattutto di andare a sbattere. Perché ogni volta che si sbatte, oltre a perdere uno scudo (l’equivalente del concetto di vita) la velocità crolla drasticamente, dando davvero la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato e destabilizzando in modo uguale e contrario l’esperienza di gioco. E la sensazione di essere quindi all’interno di un’allucinazione continua, in un continuo uno-due tra grafica e gameplay che lascia solo tanto spaesamento, ma in qualche modo coltiva un fascino misterioso e perverso a cui qualcuno difficilmente può resistere. Definizione che non a caso calza alla perfezione anche per le droghe.
Lucy in the Sky with Diamonds
Dal punto di vista delle performance, eccettuato l’atteggiamento dissoluto e irrispettoso nei confronti dell’interfaccia tenuto dalla produzione, Polybius è impeccabile: la promessa dei 120 frame al secondo (si, 120) viene mantenuta tanto in modalità classica quanto in VR, ed il tutto è “scalabile” fino ai 4K sul fronte della risoluzione. È un po’ vincere facile, visto che si parla di un titolo dalla grafica vettoriale che sicuramente non impegna l’hardware di PlayStation 4, ma è tutto al servizio di quello che è l’umore della produzione, e di conseguenza non si può non dire che il sogno allucinato di Jeff Minter non compaia in modo straordinariamente lucido sulla tv di casa.
Verdetto
8 / 10
Ma a cosa c***o sto giocando?
Commento
Fino ad oggi abbiamo già utilizzato l'espressione "non è un titolo per tutti", e sicuramente continueremo a farlo. Eppure siamo sicuri che molto difficilmente qualche altro titolo incarnerà il concetto meglio di Polybius: è un gioco "sporco", fuori da ogni logica e che non ha il minimo rispetto per le retine del giocatore, ma nonostante questi difetti voluti ed esaperati - o forse, proprio grazie a questi - è un gioco che lascia dietro una forte impronta di sé, che non si limita ad avere carattere ma che riesce davvero a portare il giocatore in un mondo allucinato ed allucinante che non ci si lascerà mai del tutto alle spalle. Tutto utilizzando solo 172 MB, circa 10 centesimi per ogni megabyte che noi vi raccomandiamo di spendere senza dubbio. Magari poi Polybius non fa per voi, ma andava provato almeno una volta.
Pro e Contro
✓ Assolutamente folle ✓ Nessun rispetto per le retine del giocatore ✓ Dà il suo meglio con PlayStation VR
x Assolutamente folle x Nessun rispetto per le retine del giocatore x Dà il suo meglio con PlayStation VR
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