Tratto dall’omonimo caso letterario di Patrick Ness (basato su un’idea di Siobhan Dowd), “Sette minuti dopo la mezzanotte” approda nelle sale cinematografiche diretto da J.A. Bayona dopo aver trionfato ai Premi Goya, per portarci in un turbine di fantasia dark e terribili realtà.

Tra un acquazzone e l’altro, giovedì scorso sono riuscito ad arrivare sano e salvo al cinema Anteo di Milano, per assistere alla proiezione dell’adattamento  cinematografico del pluripremiato romanzo “Sette minuti dopo la mezzanotte” (A Monster Calls), fiaba oscura che rappresenta una sottilissima lastra di vetro tra speranza e disperazione, fantasia e realtà, dove i mostri incutono molto meno timore rispetto ai drammi della vita. Una pellicola dalla potenza terribile, in grado di emozionare e far riflettere, grazie soprattutto a un cast capitanato dal talentuosissimo enfant terrible Lewis MacDougall, apprezzato ancor di più grazie alla proiezione in lingua originale, e a una regia di alto livello, a firma del catalano Juan Antonio Bayona (The Impossible). Buona lettura.

Mostri ambigui e bambini fortissimi
La sceneggiatura (scritta dall’autore del romanzo, Patrick Ness) che scandisce gli eventi di “Sette minuti dopo la mezzanotte” è terribilmente drammatica, ancora più shockante perché plausibile, a causa di eventi che sarebbero potuti capitare a tutti noi, se la nostra buona stella si fosse eclissata sulla spensierata infanzia. Spensieratezza che ormai non vive più dalle parti della periferia inglese di Conor O’Malley (Lewis MacDougall), ragazzino (troppo grande per essere un bambino e troppo piccolo per essere un uomo”) tormentato da un branco di bulli a scuola e soprattutto dalle incerte condizioni dell’amata e giovane mamma Lizzie (una straordinaria Felicity Jones), artista di grande talento in lotta contro un gigante subdolo e minuscolo, un cancro che la sta lentamente allontanando dal suo ragazzo. Senza contare la situazione familiare, con un papà che ha deciso di iniziare una nuova vita a Los Angeles (Toby Kebbell) e una nonna severa (Sigourney Weaver) e in costante conflitto col ragazzo. Nel mezzo della disperazione giornaliera, a cui ormai Conor riesce a far fronte grazie a un’incrollabile speranza, ecco che qualcosa scatta, insieme alle lancette dell’orologio che segnano mezzanotte e sette minuti.

ore 00.07, la terra trema e un mostruoso albero decide di aiutare, in un modo ambiguo e tutto suo, il giovanissimo Conor

Il pavimento trema, gli oggetti cominciano a rotolare come se la casa si fosse spontaneamente inclinata, portando il ragazzo ad affacciarsi verso la finestra. Quello che vede ha dell’incredibile, l’imponente tasso (conosciuto nella realtà come “albero della morte”, una scelta non casuale) che domina la collinetta del cimitero comincia a liberarsi dal terreno in cui affondano le sue radici, prendendo la forma di un gigante dalla pelle di corteccia, che minaccioso si avvicina alla villetta della coppia. Il mostro (Liam Neeson), senza tanti convenevoli dice al ragazzino che nell’arco di tre notti, alla stessa ora, gli racconterà tre storie, al termine delle quali la quarta dovrà raccontargliela il giovane O’Malley. Qui inizierà un’altalena di emozioni, tra flebili speranze e schiaffi emotivi, alleggeriti da atmosfere fantasy integrate a regola d’arte.

Fantastico e realistico in punta d’acquerello
Il sottilissimo confine tra credibile e incredibile porta subito alla mente una produzione certamente diversa ma per certi versi molto simile, che ci raccontò il dramma della Seconda Guerra Mondiale nella Spagna franchista filtrata attraverso allucinazioni e occulto, il capolavoro visionario di Guillermo Del Toro “Il labirinto del fauno“, con cui “A Monster Calls” condivide lo scenografo, il messicano Eugenio Caballero (vincitore infatti del Premio Goya 2017 per la miglior scenografia). Proprio come in quella sua prima opera, lo scenografo riesce in questo film a replicare un costante cambio di ambientazione, dalla cruda e desaturata realtà fino alle ambigue e inquietanti storie del mostro, in cui la regia lascia spazio a meravigliose sequenze animate dipinte ad acquerello, che poi sfumano in ambientazioni fantasy poco prima del ritorno alla realtà, in un cerchio artistico che si compie in maniera perfetta, lasciando attonito lo spettatore, già accerchiato da un turbine di contrastanti emozioni.

La pellicola è un costante mix di reale e fantasy, tra la grigia periferia inglese e storie dipinte di mille sfumature

Proprio l’incontro tra arte dipinta e arte cinematografica è ciò che visivamente fa spiccare questa produzione, lasciando impresse soprattutto le due storie (su quattro) raccontate tramite acquerello animato, non solo grazie all’incredibile stile visivo ma anche e soprattutto a quello narrativo. In queste scene un perentorio Liam Neeson in veste di mostro, ci racconterà oscure fiabe di regni prosperi, guidati da saggi re e minacciati da veleno, sangue e streghe cattive bramose di potere, per poi rivelare aspetti che stravolgeranno totalmente il punto di vista di Conor e dello spettatore. Il mistero che circonda queste vicende, così come il dubbio che tutto si una proiezione mentale del ragazzo, anch’esso abilissimo disegnatore come la madre, per proteggersi dalla realtà, si protrarrà fino al finale, tutto da vivere e da ricordare. Un terremoto emotivo che esploderà improvvisamente, rilasciando tutta l’energia accumulata fin dal primo minuto, facendoci tremare come solo un bel film sa fare.

Un cast “mostruoso”
Ma abilità registica, sceneggiatura e scenografia da sole non fanno un grande film, non senza un cast all’altezza che sappia reggere l’imponente impatto delle vicende di cui sono protagonisti. I personaggi di “Sette minuti dopo la mezzanotte” hanno uno spessore eccezionale e un copione intenso, da cui traspare tutta la perizia e la ricerca di una produzione letteraria. Lewis MacDougall, già apparso in “Pan – Viaggio sull’isola che non c’è“, è un vero prodigio, assolutamente a suo agio tra le vicende drammatiche che coinvolgono il suo Conor, tra tenerezze, amore, paure e attacchi d’ira, sostenuti da un’espressività talmente naturale da lasciare di stucco.

Felicity Jones, ex-astro nascente e ormai attrice affermata dal talento cristallino, è una giovane ragazza madre che non ha intenzione di arrendersi al male oscuro che la sta portano a fondo, aggrappandosi con grande ottimismo all’amore per il suo bambino e per l’arte; un personaggio toccante e profondo a cui è impossibile non affezionarsi. Un mostruoso Liam Neeson a cui i prodigi della computer grafica hanno donato le fattezze di un albero vivo, terrificante eppure saggio, e una Sigourney Weaver nonna e madre d’altri tempi e costumi, troppo rigida ma pronta a tutto per sua figlia e suo nipote chiudono un quadro di livello assoluto.

Il cast è il pilastro su cui si poggia l’intero film, con interpretazioni commoventi e intense

In definitiva “Sette minuti dopo la mezzanotte” è un film da vedere, assaporare e custodire nel proprio cuore, capace di raccontare una storia struggente e non banale, impreziosita da un’atmosfera fiabesca in contrasto con la durissima e purtroppo realistica vita del giovane Conor. Nonostante il romanzo da cui è tratto sia indicato come letteratura per ragazzi, le tematiche e le scelte stilistiche della pellicola esulano, come avrete capito, dal mero contesto fantasy, con situazioni adulte e crude, secondo me poco adatte ad un pubblico di giovanissimi.

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