Parlare di
Infinite Warfare senza contestualizzarne l’uscita all’interno di un franchise importante come
Call of Duty sarebbe assolutamente folle. Per comprendere a fondo cosa significa questo capitolo per la serie di Activision e per
Infinity Ward, è necessario non solo tirare in ballo il paragone un po’ scomodo con la saga-nella-saga di
Modern Warfare (
soprattutto alla luce del rilascio in parallelo della remastered di Call of Duty 4), ma anche tenere bene a mente il lavoro fatto l’anno scorso da
Treyarch con
Black Ops III e come “ci eravamo lasciati” con la stessa Infinity Ward, di ritorno dopo i tre anni sabbatici che hanno seguito un non molto riuscito
Call of Duty: Ghosts. Infinite Warfare insomma è una romanza il cui testo vorrebbe parlare di rivalsa, di come lo studio californiano voglia tornare a dettare legge in quella serie che ha partorito ed accompagnato nei suoi momenti migliori. Non ci riesce sicuramente a pieno (
d’altra parte la musica, come il filone arcade del First Person Shooter, è cambiata in questi tre anni), ma non certo per demeriti dal punto di vista ludico. Procediamo con ordine.
Versione testata: PlayStation 4
Jon Snow goes Nazi
Il
setting che fa da sfondo alle vicende è abbastanza tradizionale dal punto di vista dello Sci-Fi: le risorse presenti sulla Terra non bastano più e l’uomo si vede quindi costretto a colonizzare lo spazio. Le colonie, in un revival su larga scala della guerra di indipendenza tra la Gran Bretagna e gli U.S.A., decidono però di dare battaglia ai terrestri, rei a loro avviso di aver goduto una vita agiata che loro, nello spazio profondo, non hanno potuto far altro che invidiare. L’influenza del
Settlement Defense Front (o SetDef, abbreviando) da questo punto di vista è cruciale, visto che negli anni quelli che sono gli antagonisti della campagna hanno messo sotto il giogo della loro disciplina (una società dove la libertà è considerato un ostacolo più che un diritto e si è obbligati, a 12 anni, a prestare servizio di leva obbligatorio fino ai 27) buona parte delle colonie del sistema solare. Ne scaturisce
un attacco su vasta scala proprio nel giorno in cui le forze dell’UNSA (United Nation Space Alliance) e della SATO (Solar Associated Treaty Organization), i “buoni” della campagna, stanno festeggiando con la tradizionale parata a beneficio dei civili dove sfilano tutte le principali navi da guerra dell’unione. Il risultato? Solamente due elementi dell’arsenale, la Retribution e la Tigris, scampano alla distruzione, e loro sarà il compito di prendere tempo sul campo di battaglia mentre sulla Terra lo sforzo bellico si concentra sulla ricostruzione degli armamenti.
Meno spiegoni, più azione: rispetto all’anno scorso la campagna è riuscita meglio
Nei panni del Capitano Reyes, la campagna (della durata complessiva di sei ore circa)
scorre decisamente più fluida rispetto a quanto visto un anno fa in Black Ops III: vuoi per l’impostazione a missioni di gran parte della modalità (da che si assume il comando della Retribution in poi, il giocatore può decidere con una certa libertà come muoversi, affrontando anche missioni secondarie), vuoi per l’assenza degli “spiegoni” che Treyarch utilizzava diffusamente nello scorso capitolo, il risultato finale è più solido e si lascia giocare senza problemi di sorta, mettendo sul piatto anche qualche momento molto cinematografico e riuscendo ad approfondire, per quanto con una certa leggerezza, alcuni aspetti legati alla psicologia dei personaggi. Alla figura di Reyes va a contrapporsi quella dell’ammiraglio Kotch (interpretato da
Kit Harington, il Jon Snow de
Il Trono di Spade), che riesce a regalare allo schermo qualche momento in cui si colgono gli ideali del SetDef in tutta la loro crudezza, per quanto comunque si tratti di soluzioni già viste in larga parte e già sperimentate dal genere (impossibile non scorgere più di qualche richiamo alla serie
Gundam). Si spazia anche dal punto di vista ludico: ci si ritrova, infatti – specie se si decide di giocare le missioni secondarie –, ad affrontare delle
sezioni in cui prima di abbordare la nave nemica di turno si prende parte ad una battaglia nello spazio a bordo dei caccia spaziali Jackal (
le cui meccaniche sono poi riprese anche dal contenuto per PlayStation VR rilasciato gratuitamente stand-alone), realizzate con la tipica impostazione molto arcade cui Infinity Ward ci ha abituati in scenari del genere ma, in ultima analisi, sicuramente divertenti da affrontare. Anche una volta nel cuore della nave nemica, poi, gli approcci sono mutevoli, visto che i nemici si dividono in due categorie (umani, più sensibili ai colpi tradizionali, e robotici, vulnerabili agli attacchi ad energia) e l’arsenale a disposizione abbraccia diverse possibilità, dalle granate-ragno che inseguono il bersaglio alla possibilità di prendere il controllo, similmente a quanto visto in Black Ops III, di alcune truppe robotiche nemiche per qualche istante. Mecha nemici che fungono da tank e nemici dotati di scudi frontali (e da colpire quindi alle spalle) fanno il resto, regalando un pacchetto che, anche se non può giocarsela ad armi pari con l’intreccio fantapolitico di Modern Warfare narrativamente,
sul piano ludico invidia veramente poco al suo illustre predecessore, specie se poi si va ad analizzare l’offerta cui si può accedere dopo la prima run. Completata l’esperienza una volta, si accede alla modalità Specialista, dove sparisce il recupero automatico della salute ed il gioco tiene conto dei danni subiti nelle varie parti del corpo (si viene feriti ad un braccio? La mira diventa molto più difficoltosa), e l’interfaccia in-game è completamente alloggiata nell’elmetto, che può essere distrutto se si ricevono troppi colpi. Aggiunta pregevole, come d’altra parte si può dire per la modalità YOLO (You Only Live Once, “si vive una volta sola”) che introduce il concetto di permadeath nella campagna.
Peccato che, come detto, sia necessario completare il gioco una volta per sbloccare Specialista e poi portare a termine quest’ultima per giocare la seconda, e che entrambe non trovino posto nell’offerta ludica al di fuori della campagna stessa.
True Survivor
Infinity Ward reinterpreta un classico. Peccato manchino le spec-ops
Da questo punto di vista infatti spiace che, in un certo senso, per una volta sia Infinity Ward a seguire Treyarch per quanto riguarda la seconda portata del titolo: con Infinite Warfare il team californiano propone una sua versione dell’ormai iconica modalità Zombie, abbandonando (
più nel concetto che nelle meccaniche, ma ci arriveremo tra qualche riga) l’Estinzione proposta in Ghosts e soprattutto le Operazioni Speciali “alla Modern Warfare 2”, che in una cornice come quella presentata nella campagna principale (specie poi in modalità Specialista) avrebbero rappresentato un’esperienza dannatamente appagante da giocare in cooperativa, locale o online che fosse, visto che rispetto al capitolo scorso la campagna è affrontabile solo in solitaria.
Come detto, però, Infinity Ward reinterpreta il canovaccio tipico della modalità, che più che puntare sugli elementi survival cerca di far giocare i quattro malcapitati (si vestono i panni di attori chiamati a girare un film di Zombie spiccatamente anni ’80, con stereotipi quali il nerd, il rapper ed il giocatore di football) con il fucile in mano, alla ricerca dei punti necessari a sbloccare le varie location del luna park infestato che fa da sfondo alle vicende e per attivare le carte Fato e Fortuna, modificatori che conferiscono dei bonus durante il corso della partita. In caso di Game Over poi è possibile tornare in campo accumulando abbastanza energia spiritica giocando i vari
minigame presenti nella sala giochi del luna park, che spaziano dallo Skeet Ball a qualche cabinato vintage dove fa bella mostra di sé il logo di Activision. Pad alla mano, insomma, ci si diverte anche in questo caso (
e non si può che apprezzare, visto il setting molto anni ’80, il cameo di David Hasselhoff nei panni del DJ del parco), ma
rimane un po’ di amaro in bocca nel constatare che quest’anno Infinity Ward abbia deciso di seguire Treyarch sedendo al suo tavolo da gioco, piuttosto che andare alla ricerca di un’identità più forte e precisa per Infinite Warfare.
Ma è sempre lo stesso gioco!
Gli appassionati di Call of Duty avranno ormai perso il conto delle volte in cui hanno sentito dire da qualcuno come la serie, fondamentalmente, si riproponesse uguale a sé stessa ogni anno senza aggiungere novità di sostanza. Affermazione senza dubbio falsa (
e quest’anno ne abbiamo la controprova visto che basta avviare Modern Warfare Remastered, ma ne parleremo meglio nella recensione dedicata al titolo),
che invece quest’anno non si può negare vada a concretizzarsi. Dal punto di vista delle meccaniche di gioco, infatti, Infinite Warfare è un parente molto prossimo di Black Ops III, riproponendone la struttura in massima parte e lasciando veramente poco spazio a modifiche e aggiustamenti.
Il gameplay è in pratica lo stesso visto l’anno scorso in Black Ops III
Torna quindi l’ormai abusatissimo Pick 10, che permette di creare la dotazione con cui il giocatore scende sui campi di battaglia proposti quest’anno spendendo dieci punti abilità come meglio crede piuttosto che obbligare a scegliere arma primaria, secondaria, granate e perk passivi. Campi che, va detto, rispetto allo scorso anno non presentano i fastidiosi muri invisibili, e, sul fronte del design, alternano situazioni più claustrofobiche sulla falsariga del filone Arena a spazi dal respiro più ampio
. Segnali di progresso, che però non rendono meno evidente che il gameplay vada a riproporre praticamente in toto lo scenario dell’anno scorso: ritmo decisamente elevato, time to kill in genere molto bassi (incrociare un avversario vuol dire che molto probabilmente uno dei due finirà ammazzato nel giro di pochi istanti), arsenale tutto sommato abbastanza classico pur con qualche new entry a far capolino e, soprattutto, la presenza dei Kit da Battaglia, grossomodo assimilabili agli Specialisti di Black Ops III. I sei personaggi proposti infatti sono dotati di un’abilità Super che si attiva dopo aver accumulato un certo numero di punti, oltre che di due abilità passive che alterano leggermente l’esperienza del soldato base. Il resto dell’arsenale, con l’unico vincolo di dover sbloccare le armi, è liberamente fruibile indipendentemente dal Kit scelto, lasciando quindi fondamentalmente solo il “trio” di abilità esclusive a far la differenza tra una o l’altra classe. Lo Spettro per esempio incarna il classico cecchino (
a nostro avviso, poco utile in un gioco così mobile e frenetico come Infinite Warfare) capace di occultarsi ed efficace sulla lunga distanza, mentre il mercenario funge in pratica da Tank con la sua arma pesante e la possibilità, sbloccata una particolare abilità, di utilizzare una siringa per accelerare il ripristino della salute. Il Guerrigliero è invece il classico compromesso ottimo sulla media distanza, tanto più che con la sua Super Abilità può colpire i nemici anche con il rimbalzo dei suoi proiettili sulle superfici di gioco; Sinapsi, infine, è una classe più improntata sul mordi e fuggi, potendo sfruttare le sue due velocissime mitragliette o l’abilità di Rewind. Prendendo spunto da altri sparatutto, poi,
in-game è possibile affrontare anche alcune missioni di squadra, che elargiscono ricompense se si gioca completando particolari task (per esempio, uccidere dei nemici con un certo numero di armi diverse). Nulla di inedito insomma, ma, se la minestra dell’anno scorso vi era piaciuta, difficilmente vi alzerete dalla tavola di Infinity Ward insoddisfatti, se non per la mancanza di coraggio del team di cui sopra. Tanto più che, come l’anno scorso, il sistema di crafting (quello su cui in pratica le temute microtransazioni andranno ad impattare) non sembra avere un impatto così totalizzante in partita: sì, le armi in pratica compaiono nella loro incarnazione comune, rara o leggendaria, ma le statistiche non aumentano (nella maggior parte dei casi) in modo così drastico e, considerato che, come detto, il
time-to-kill è tendenzialmente al ribasso,
il bilanciamento attuale sembra abbastanza al sicuro.
Mars Aeternum
Fluidità, al solito, batte impatto visivo
Dal punto di vista tecnico, Infinite Warfare ci costringe ad aprire questo ultimo paragrafo con una nota dolente: dopo essere infatti tornato in auge l’anno scorso con Black Ops III,
il multiplayer locale per quattro giocatori, come
confermato sul forum ufficiale della serie
, torna nuovamente in panchina e non trova il suo posto nell’offerta confezionata da Infinity Ward. Un peccato, che indubbiamente toglie qualche punto di appeal al capitolo di quest’anno e lo regala all’edizione passata a cura di Treyarch. Il versante visivo invece, al solito, non impressiona e non vuole impressionare (per quanto non manchi qualche scorcio interessante sia durante la campagna che nei filmati pre-partita dedicati alle varie mappe online),
puntando forte (come è giusto che sia) sulla fluidità della manovra, indispensabile a maggior ragione oggi vista la direzione che il brand (e il filone arcade dello sparatutto in generale) sta decidendo di intraprendere, andando a mutuare e sovrapporre aspetti che qualche anno fa affollavano i vari shooter Arena come Quake ed Unreal.
Verdetto
8 / 10
Tu non sai niente, ammiraglio Kotch
Commento
Pro e Contro
✓ La campagna funziona
✓ Al solito tanti contenuti
✓ Modalità Specialista indovinata...
x ... Ma da sbloccare
x Poche novità
x Rimosso lo split screen per 4
#LiveTheRebellion