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Questa feature in particolare è liberamente ispirata da The Games of a Lifetime, a cura di Julian “Jaz” Rignall.

Sono all’evento stampa di Dragon Ball Sparking Zero.

Non è un flex. Non c’è un cazzo da flexare. Questo posto non è il mio posto, l’ho capito un sacco di anni fa. Sono a disagio in mezzo alla gente normale, figurati come posso stare in una stanza dove sono ragionevolmente certo di stare sul cazzo a tutti quanti per motivi idioti. Sono qui, a disagio aspettando che inizi la fase in cui ci fanno provare il giochino o quantomeno quella in cui il PR parla, così da far finire tutte quelle small talk ipocrite tra persone ipocrite. Agli altri ho detto che sono qui per colpa di Fra, perché voleva assolutamente le carte del giochino di carte che danno con la Collector’s Edition del gioco – l’unica cosa in questa faccenda andata sold out più velocemente della mia dignità – e magari all’evento le regalano. E quindi mi ha costretto ad andare.

In realtà sono qui per colpa dell'altro fra, quello biologico

Abbiamo passato l’estate a giocare a vecchi videogiochi di Dragon Ball. Prima abbiamo ritirato fuori PS3 dall’armadio per picchiarci su Dragon Ball Z: Budokai 3.

Poi ad un certo punto eravamo saturi e la svolta è stata EmuDeck, che a dispetto del nome gira tranquillamente pure su PC. E quindi Budokai Tenkaichi 3. Non ci giochiamo da una vita, in realtà, perché a differenza di Budokai 3 non l’hanno mai rimasterizzato e tutto sommato era Budokai 3 il nostro preferito – quantomeno il mio, che sono il player 1 per diritto di nascita e quindi decido io. Sono passati anni. Siamo cambiati un sacco dall’ultima volta che l’avremo messo su. Lui non è più quel tipo di giocatore che separa con l’accetta trama e gameplay e preferisce guardarsi i filmati sull’Internet perché quando gioca deve giocare. Gli è piaciuto addirittura The Stanley Parable. Sono rimasto sorpreso.

Io vabbè, ormai è anni che gioco soltanto hipsterate indie. Eppure. Re-impariamo tutte le gimmick, tutti i limiti del gioco, tutte le situazioni in cui vale la pena o meno lanciare una Kamehameha perché se l’altro è steso per terra sappiamo che non verrà colpito. Speriamo che ‘sta stronzata in Sparking Zero l’abbiano sistemata. Sono qui per questo, perché Sparking Zero sotto sotto è la roba che stiamo aspettando di più di tutto il fottuto e orribile 2024, e metterci le mani sopra asap per qualche motivo è diventato importante.

Stacco.

Sul gruppo di Gameromancer siamo 20 stronzə. È aperto da poco e da poco abbiamo iniziato a pubblicare qualcosa tutti i giorni a tema videogiochi. Non c’è ancora coscienza sociale in quello che pubblichiamo. Sono esercizi di stile che urlano quanto ci siamo rotti il cazzo dei videogiochi raccontati in modo 1.0, trama-gameplay-grafica in quest’ordine rigoroso, quella roba che ancora oggi fanno un po’ tutti ma parallelamente ti dicono che sono il nuovo che avanza e quindi anche se è la stessa merda ma su YouTube invece che su Everyeye ci credi pure.

Succede che l’8 novembre esce Death Stranding. Di quelle 20 persone a spanne almeno una decina iniziano a giocarlo. Iniziamo a parlarne in modo ossessivo. A teorizzare, a scrivere, a mandare vocali di 10 minuti dove parliamo di queste stronzate. Fra non capisce come gestire la bomba che ad un certo punto Kojima ti aggiunge all’inventario – che è una citazione alla stessa precisa identica cosa che faceva in Metal Gear Solid. Ci montiamo anche un video su ‘sta stronzata. Trovo profondamente ingiusto l’essere ancora preso per il culo per la clip “Pietro c’è un mostro dietro di te” e che di questa roba invece si parli zero.

Siamo presi bene. Death Stranding finirà per essere una di quelle robe di cui parliamo alla morte con buona pace di Briefcade che tanto da qui al 26 giugno sa che dovrà farci delle shadow boxes. Per me è soprattutto la prima volta che mi rendo conto che le connessioni che stiamo vivendo dentro Gameromancer sono una cosa preziosa di cui non posso più fare a meno. Quella gente sta diventando “amici”, non “utenza”, non numeri sacrificabili sull’altare di qualcosa qualunque cosa sia. È ironico, se ci pensi. Ci raccontano spesso come la community tossica di quelli che vogliono morti i “giornalisti videoludici” e che portano avanti solo critiche distruttive. E invece il bastone è diventato corda mentre giocavamo Death Stranding, Helldivers 2, Monster Hunter. Pure Outer Wilds. A proposito…

Stacco.

Fabri mi rompe il cazzo da un anno. “Piè, gioca Outer Wilds”. “L’hanno messo pure su Game Pass”. Insiste pure quelle due volte che ci vediamo IRL nella Capitale della Cultura 2027 (al secolo Pordenone). Alla fine cedo. Lo gioco. È il periodo in cui la gente sta in hype per Starfield, che sarebbe uscito l’anno dopo e quindi non ha ancora deluso tutti svelandosi come il No Man’s Skyrim che poi è stato. Sono tutti arrapati all’idea di una galassia sterminata da esplorare.

Outer Wilds ha 8 corpi celesti in totale e mi fa percepire per la prima volta il volto di Dio attraverso le leggi dell'Universo

È una macchina perfetta, Outer Wilds. Un orologio che scandisce alla perfezione ogni tic e ogni tac, facendo succedere ciò che deve succedere che tu ne sia testimone o no. Parla la lingua della fisica, e devi decifrarla per riuscire a venire a capo dell’enigma e rompere il loop. Fa paura quando devi entrare dentro Rovo Oscuro e alla prima manovra sbagliata potrebbe essere Game Over. Fa una paura diversa quando capisci che la sabbia sale da Gemello Cenere verso Gemello Braci. È un miracolo che può succedere solo da quella parte dello schermo, non puoi fare altro che sederti, contemplarlo, pensare allo scorrere ineluttabile del tempo mentre il tuo, di tempo, si approssima alla scadenza.

Fabri ci gode. “Piè, ora devi giocare Mass Effect”. Prima o poi gli darò anche questa soddisfazione, proprio perché è Fabri.

Stacco di nuovo al 2024.

Si sta rivelando un anno di merda. Eppure in mezzo alle visite in ospedale una volta alla settimana per analisi che cercano non si sa bene che cosa e alla bolla giochini che ti ha mandato a fanculo alla prima occasione utile, scopri che forse di Hades non c’avevi capito un cazzo.

È una delle poche rece di cui andavi veramente fiero, quella di Hades. Zagreus odia il suo vecchio, il suo vecchio vuole prendere le decisioni che contano al posto suo perché è abituato ad essere quello più alto in grado nell’Ade dove lavora. È stato facile rivedersi in quel ragazzo che voleva solo uscir a riveder le stelle. È stata una bella botta accorgersi che Ade non si comportava così perché inebriato dal potere della divisa, ma perché dietro quella divisa nascondeva una paura fottuta.

La paura che ti succedesse qualcosa. Di perdere il secondo Pietro della sua vita, quello che ha il nome di suo fratello morto in un incidente stradale mentre stavano andando tutti ad un matrimonio. La paura di non essere capace di fare il padre, soprattutto quando tuo figlio non si fa problemi ad essere lo stronzo che ti rinfaccia ogni errore.

Alla fine era così facile. Bastava rendersi conto che quando esci dalla vagina di tua madre non c’è nessun libretto delle istruzioni, non ci sono le guide e i walkthrough e l’unica speedrun prevede un biglietto aereo per il Messico. Ade deve capire che ho tutto il diritto di sbagliare da solo. Gli fa paura non avere il controllo e deve farci i conti. Io però devo capire quella paura. La gen-z di oggi la definirebbe tossica, ma spesso la gen-z di oggi non ha figli e non è in grado di fare nessun tipo di sconto.

Non ero capace nemmeno io, finché non ho messo in discussione certe cose.

I giochi della mia vita sono all’incirca questi. Potrei aggiungere quel Puzzle Bubble su cui ho vomitato un’estate di paghette e a cui per andare a giocare una volta ho perso mio fratello nel paesino dove eravamo in vacanza. I FIFA e i PES su cui mi sono spaccato con i cugini d’estate o con gli amici dell’università, gli Halo e gli Unreal Torunament giocati in LAN Party. Modern Warfare 2 che è l’ultimo Call of Duty veramente rilevante e adesso si può tranquillamente dire. Però aggiungerei solo altri nomi e altri aneddoti che di me dicono poco.

Perché la cosa importante dei giochi della mia vita è che mi hanno portato fuori dalla zona di comfort.

Mi hanno fatto viaggiare da solo anche se sono introverso, mi hanno fatto conoscere gente e perderne altrettanta. Non mi hanno cambiato, ma mi hanno aiutato a cambiare.

Sono sempre e solo videogiochi. Finché lasci che siano solo quello.

Questo contributo è stato originariamente pubblicato come parte de La Voce della Ribellione, la newsletter di Gameromancer.

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