Un’altra di quelle giornate veramente del cazzo. Sveglia, colazione (col computer davanti), scrivania (con più di un computer davanti). Così per quattro ore, poi pranzo, poi altre quattro ore. Palestra, cena, letto. Rinse and repeat.
La stessa solfa ogni giorno, poi capita quella volta al mese che fai qualcosa di diverso. Nello specifico, uscire a giocare a Pokémon GO con altre due o tre persone in croce. Che poi gli si vuole bene, ma da rilassante momento di stacco anche quello è diventato parte della routine – anche se a cadenza ridotta. Quindi tanto per cambiare decidi che una passeggiata in solitaria non può far poi così male.
Ma che dovrò fare per sentirmi meglio.
Ho passato così tanto tempo a chiedermelo che a malapena ricordo di un tempo in cui stavo bene. Ho dovuto accettare il fatto che a un certo punto mi erano rimasti solo i videogiochi, e che anche quelli mi stavano davvero stancando. Quindi mi sono detto: ma perché non alzare l’asticella? e mi sono lasciato ispirare dalla prima boiata su cui ho messo le mani.
Era Assassin’s Creed Odyssey, un pomo della discordia videoludico che – mea culpa – sta ancora là ad aspettare che io finisca di giocarlo. L’ho già raccontata abbondantemente quella sbandata. C’era qualcosa nel mood di quel videogioco che mi ha davvero chiamato, quindi preso dalla pressante necessità di riposarmi ho deciso che la Grecia poteva essere un bel posto. Lo è stato – è stato un posto adatto e una bella avventura in tranquillità.
Volevo solo riposare un po'.
Ma non poteva bastare. Per campare devo continuare a lavorare, e continuare a lavorare significa continuare a stressarmi, farsi spuntare più peli e capelli bianchi in un paio di mesi che in trent’anni di esistenza. Se stai leggendo e mi hai detto almeno una volta “madonna ma sembri sedicenne, sei sempre uguale”, worry not: i colpi sono arrivati. Te se vuole bene lo stesso, ma un pacchettino de cazzi tua te li potevi pure fa’.
Su quella falsariga qualcos’altro doveva pur ispirarmi a perseguire il viaggio successivo, e probabilmente non poteva essere altro che Pokémon Scarlatto. La Spagna: un Paese che so per bocca d’altri essere bello e pieno di cose da fare e vedere, e che dovevo ancora visitare. Ironico che proprio mentre lo pensavo Pokémon GO ci stesse organizzando un evento, servendomi praticamente su un piatto d’argento la prossima meta. Per ben due volte di seguito. Senza nemmeno pensarci ho comprato il biglietto dell’evento, e dopo la botta di entusiasmo iniziale è partita la spirale di panico.
Ma ci arrivo laggiù o l’aereo crolla prima? E se poi lì mi accoltellano? Che poi l’Italia non è mai stata pari merito col Giappone in quanto a sicurezza. Ma non è che sto spendendo troppi soldi? Con che ci vado a vivere da solo se continuo così?
Meno male che non ho mai avuto stupefacenti per le mani.
Ma l’idea mi è piaciuta così tanto che l’ho anche rimessa in atto più volte. Barcellona prima, poi Londra per gli Europei, Madrid poco tempo fa. Un numero che si conta sulle dita di una mano, ma più che sufficiente perché chi mi sta attorno prendesse a dire “Che vai a fare? Ah vero, Pokémon” quando esco di casa. Il commento mi dà ai nervi, ma tant’è. Fa strano pensarlo: ho scoperto un tipo di turismo particolare, ma pur sempre turismo.
Disclaimer: non si intende “scoperto” nel senso Colombiano del termine.
Ma che vai a fa’?
Se stai leggendo e hai trovato da te la risposta a questa domanda, e se quella risposta è “Pokémon”, ecco evita di trovarti una risposta senza sentire la mia. Potevi anche chiedermi un po’ di più. Chi videogioca ha sempre attorno un alone particolare – per altri sarebbe di mistero, per noi no. Per chi guarda dall’esterno qualsiasi nostra occupazione non esplicitamente legata a un videogioco sarà sicuramente in qualche modo legata a un videogioco. E non prevede nemmeno deviazioni di percorso.
“Cioè, fammi capire, quindi tu vai là e vai in giro a cercare Pokémon. E basta. Veramente stai andando a Madrid a giocare a Pokémon?”
Ti svelo un segreto: ‘sta cosa dell’Allenatore/trice di Pokémon è roba fittizia interna al franchise, o tutt’al più una piazzata di marketing. Perché così i bambini dicono a mamma “guarda che figo, voglio esserlo anch’io! Comprare!”. Ma – suonate le trombe – noi persone cresciute che giochiamo “ancora” a Pokémon siamo sorprendentemente persone adulte. Giochiamo ai videogiochi ma siamo cresciuti e cresciute. C’è chi studia, chi lavora, chi ha addirittura una famiglia e se l’è portata tutta in Spagna a giocare assieme.
Starete immaginando quest’ondata di centinaia di persone chine sullo schermo, a picchiettare e lanciare Pokéball in silenzio tirando dritto – e rischiando pure di farsi investire. Questo è quel che vedi se ti giri a guardare altrove mentre accade altro. Un peccato: nel frattempo parlavamo, ci raccontavamo i mesi trascorsi dallo scorso evento, ci fermavamo a far foto o a salutare qualche content creator arrivato dall’Indonesia o dalle Americhe o dall’Australia. Cose da persone, insomma, ma non te ne accorgi se giudichi tutto con il filtro “picchiettano sullo schermo, ‘sti scemi”.
Quindi sì, la scusante è che c’è l’evento di Pokémon GO. Ma c’è un sacco di persone attorno a te, e una città nuova, che sono parte integrante di ciò che aspetti fremente dell’esperienza. Il che è un problema, perché Madrid è davvero bellina. Tra l’altro invece di farmi staccare un attimo la spina da casa mi ha pure dato l’ennesima scusa per chiedermi perché io ci stia ancora vivendo, nel posto in cui vivo.
Aspetta! L'erba alta è pericolosa!
Sembro un disco rotto a parlare sempre di Pokémon, ma quando giochi a GO ogni giorno non è che hai tanto modo di metterli da parte. Però il punto è questo: mi ricordo quanto figo era quando ogni nuova generazione era una sorpresa. E non è un inneggiamento ai “bei vecchi tempi”, solo un modo di introdurre il fatto che quel che ci tiene a galla è proprio quella sensazione di nuovo, di riscoperto, di sorpresa in un modo o nell’altro.
L’ho pensata più o meno così la dipartita verso lidi sconosciuti con la scusante dei mostri tascabili. Se ogni giornata si copia-incolla su quella dopo un modo per spezzare devo trovarlo, e qual modo migliore del cambiare completamente scenario ogni tanto. In solitaria, poi, per quella sensazione aggiuntiva di completo controllo su ciò che stai facendo versus un mondo del lavoro che il controllo e la libertà sembra volerteli togliere.
Non lo ammetto che sono andato lì “apposta”, mi spiace per chi ha sbirciato qui e si aspettava qualcosa di simile. La mia mente contorta la vede in un altro modo: Pokémon GO mi ha quasi letto il pensiero e ha deciso che dovevo andare via per davvero. Stavolta non per quell’appuntamento mensile dietro casa – a migliaia di chilometri da qui, in un posto per me nuovissimo.
Non che abbia viaggiato molto, ma in quelle poche occasioni ho trovato un equilibrio delicato – quello tra il bisogno di avere attorno altre persone e la necessità di stare in armonia solitaria con il mondo che mi circonda. La necessità di osservare le persone, capire il posto in cui vivono e la voglia di guardare di tanto in tanto lo schermo per scoprire come posso interagire virtualmente in una riproduzione 1:1 di quella mappa ma abitata da Pokémon.
La voglia matta e disperatissima di fare una passeggiata di trenta chilometri studiando un posto che non conosco, senza l’eventualità di venire interrotto giacché nessuno mi conosce. Il sapore dolce e amaro dell’aver preso nuove abitudini, lasciandoti dietro quelle che avevi e le persone che ad esse erano inevitabilmente e indissolubilmente legate, pur sapendo che un po’ ti stanno mancando e che alcuni momenti li avresti condivisi volentieri.
Per quanto cerchi di restare coi piedi per terra, tutto questo in effetti fa molto Pokémon. Ma sì, è proprio la stessa sensazione di quando lasciavi il laboratorio di Biancavilla con un Pokémon in tasca per andare chissà dove…
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