L’1 e il 2 luglio si è tenuto, a Giffoni in provincia di Salerno, il Giffoni Good Games, una manifestazione dedicata al mondo dei videogiochi e a ciò che vi ruota attorno. Ho visitato l’area, che è la stessa del celebre festival del cinema, soltanto il primo giorno. E sono rimasto perplesso.
Perché? Perché non riesco a concepire che uno spazio dedicato al mondo videoludico (e quindi in un certo senso, a chi ci lavora: sviluppatori, publishers, e via discorrendo) debba sistematicamente riempirsi di personaggi del web che di questo mondo, in sostanza, ne capiscono quanto ne capisco io.
Non viene voglia anche a voi di strizzare quelle guanciotte?
Posso capire una fiera del mondo nerd come quella di Lucca o di Napoli, dato che questa definizione nel corso degli ultimi anni si è allargata a dismisura, rompendo gli argini del fumetto e del videogioco. Io però sono andato al Giffoni Good Games con la precisa intenzione di incontrare qualche sviluppatore indipendente, dei tanti che sono emersi in Italia di recente. Mi sarebbe andato bene anche incontrare i creatori di Baldo, e invece mi sono trovato di fronte uno streamer che mi raccontava dei suoi giochi platform preferiti, mentre ciarlava amabilmente con un paio di suoi colleghi. Un altro invece ci teneva a dire che quel gioco horror lì lo aveva traumatizzato qualche anno fa.
Con tutto il rispetto, ma cos’hanno da dire loro che io non potrei? Onestamente mi sfugge. La sala è piena di videogiocatori, di appassionati, e ognuno di loro potrebbe raccontare una storia diversa.
Di sviluppatori e di realtà “pratiche” invece non c’era traccia, ad eccezione di un game studio e di due aree in cui si potevano provare dei giochi con la realtà aumentata. Mi sembra un po’ poco, visto che la kermesse, già dal titolo, sembrava mettere i videogiochi al centro dell’attenzione. Al centro dell’attenzione ci sono, invece, quelli che i videogiochi li giocano su Twitch. E voglio anche ammettere che un po’ di spazio sia dedicato a loro: i media tradizionali hanno i personaggi dello spettacolo, l’Internet ha loro, è legittimo. Solo non è per niente giusto lasciarglielo tutto, lo spazio.
A me ad esempio sarebbe piaciuto conoscere gli sviluppatori di Soulstice. Però oh, son gusti…Mi si potrà rispondere quindi che questa kermesse, alla sua prima edizione, aveva bisogno di pubblicità, e chi meglio degli streamer avrebbe potuto assicurargliela? Ma qui, mi dispiace dirlo, si va oltre.
L’impressione è che lo spettatore sia sempre più relegato alla dimensione del consumo, e che sia sempre più alienato rispetto a chi effettivamente “crea” quel che viene consumato. Un qualunque streamer è onnipresente, e dello sviluppatore invece si avverte la presenza solo quando c’è da valutare il prodotto finale. Così ci si perde tutto il processo creativo – che può piacere o non piacere, ma resta la scintilla da cui nascono le opere che spesso ci tengono incollati allo schermo.
Citavo ad esempio i creatori di Baldo, il NAPS Team, ma senza sarcasmo: a me sarebbe piaciuto davvero conoscerli, chiedergli dei pareri, capire le loro ragioni, faccia a faccia. Altrimenti, teniamoci i gameplay su Twitch e la critica d’area, e rinunciamo a maturare un approccio diverso nei confronti di questo medium.
Il succo del discorso non è semplicemente un “Per favore, basta influencer alle fiere”; o meglio, anche quello, ma posso accettarlo. Spero tanto che kermesse come questa cambino, correggano il tiro, e diano più spazio a chi i videogiochi li fa. E forse è vano sperare, ma nel frattempo di sicuro un abbonamento per il Giffoni Good Games dell’anno prossimo me lo risparmio.
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