Matteo Pastori

Speciale Di telecamere fisse e paura dell’ignoto

Modernizzare. La chiave è stare al passo con i tempi, guardare in alto: in cima alle classifiche, tra i tripla a più venduti. Cercare e trovare il gioco a cui fare il “verso”. E se sei un souls like devi assomigliare a Dark Souls, se sei un open world a Zelda, se sei un FPS piaci competitivo.

E se sei un horror? La risposta è più o meno la stessa dal 1996: Resident Evil. Dopo la craze indie causata da Amnesia e gigantificata da Outlast, la fonte d’ispirazione torna ad essere RE. Con il quarto gioco numerato anch’esso “modernizzato”, la sfilza di remake si allarga. Eppure nessuno è arrivato a toccare la qualità del remake del primo capitolo (di ben 20 anni fa).

Resident Evil 1 Remake mi dà sempre un sacco da pensare. È scuola su level design, sull’atmosfera, su come fare un remake ad hoc. Non c’è un secondo sprecato, non dura ne troppo ne troppo poco. E soprattutto sfrutta la scelta stilistica delle telecamere fisse al massimo del suo potenziale. Quando dopo circa metà del gioco gli Hunters affollano Villa Spencer, il solo battere degli artigli off-camera è abbastanza per tirare i nervi dell’appassionato di horror più temerario. Senza contare sapere dell’esistenza di un Crimson Head nel corridoio che devi percorrere. O quel maledetto ragno nella casa del guardiano.

Forse il pubblico più moderno non è abituato ai comandi tank, ma alla fine nessuno nasce con il pad in mano. Come ormai abbiamo imparato che levetta destra = guardarsi intorno e levetta sinistra = camminare, il d-pad non dovrebbe essere troppo ostico da insegnare. Eppure le telecamere fisse sono ormai obsolete per il publisher medio odierno. Il che, se chiedete a me, è criminale.

Da soli nel buio

È risaputo ormai che la nascita di questo stile di terza persona è legata alle limitazioni dell’epoca. In primis, avere la telecamera ferma dava la possibilità ai designers di implementare sfondi in 2D, senza dover stretchare texture in bassa risoluzione su assets con geometrie semplici. Non a caso, giochi come Dino Crisis sono noti per essere invecchiati molto meglio di buona parte dei coscritti. Almeno graficamente. Però come in tutte le leggende che si rispettino è quello che ne consegue a rimanere nella storia. Non è la causa, ma l’impatto.

Fu come se i pianeti si allineassero. Da una scelta volta a facilitare lo sviluppo, nonché abbellire i giochi, nasce una sfilza di caratteristiche che si sono perse negli anni. Il modo in cui un gioco con questa prospettiva ti obbliga ad attivare tutti i sensi, per esempio. Vuoi sapere se dietro all’angolo c’è uno zombie? Ascolta attentamente. E questo spaventa molto più che trovarselo in faccia, IMO. La posizione delle telecamere può anche essere un ottimo tool per trasmettere le emozioni bersagliate. Nascondi un volto, inquadra determinati dettagli nel mondo di gioco. È un modo per elevare la regia del medium.

Tutto ciò non vuole essere un’ode ai tempi che furono, non ho neanche trent’anni, non fatemi sentire vecchio. Sarebbe però bello far luce su alcuni titoli che del publisher medio odierno se ne sbattono altamente. Dio benedica gli indie. 3 giochi, tutti disponibili su console e pc senza dover emulare o spendere un rene nel mercato del retrogaming. Tutti, vista la natura “obsoleta” del gameplay, anche relativamente economici. Niente più scuse per non addentrarsi in questo scorcio di gaming.

Anime tormentate

Tormented Souls è un gioco del 2021 pubblicato da PQube e sviluppato da Dual Effect ed Abstract Digital. Inutile soffermarsi troppo sulla trama, che in questo caso non è il selling point. La struttura è sfacciatamente Resident Evil. Telecamere fisse, esplorazione incrementale, combattimento anacronistico. Il level design è un filo troppo dispersivo anche per un survival horror vecchia scuola, ma la bellezza degli assets compensa le ore di confusione. Si può comandare Caroline sia con i controlli Tank, il metodo corretto per quanto mi riguarda, o con i controlli 2D introdotti con Silent Hill 3. Parlando del diavolo, il monster design è chiaramente ispirato a Silent Hill. Insomma, un figlio inaspettato tra i due franchise horror più grandi nella storia del medium.

Parlando di medium, The Medium è un gioco sviluppato e pubblicato da Bloober Team, il team dietro a Layers Of Fear e Observer. Il gioco è un’avventura che rasenta il walking sim, in cui il gameplay fa da sfondo a una storia e un comparto visivo veramente di alta classe. Le telecamere non sono completamente fisse ma seguono Marianne da un punto preciso per variare ogni qualvolta la scena lo chiama. Un po’ come Code Veronica per intenderci. Il vero punto di forza dell’esperienza è la cinematografia gestita alla perfezione. I cambi di inquadratura, quello che il gioco vuole che tu veda o meno. È tutto calcolato al millimetro, anche quando sullo schermo i mondi di gioco si duplicano.

Dove risiede il male

Ho parlato di indie, ho mentito. È però impensabile consigliare horror a telecamera fissa senza parlare di Resident Evil Remake. Portato su console current gen nel 2015, il capolavoro di Shinji Mikami è un must se interessati all’approccio in questa prospettiva. Non c’è molto da dire, RE è un’esperienza più che un videogioco del quale discutere meccaniche e gameplay. È sempre bene ricordare quanto è memorabile il level design, o quanto è dannatamente difficile da finire se aracnofobici. La trama è surface level, non è fino a capitoli più in la che il franchise di Capcom si è sviluppato nello storytelling. Però resta tutto quello che gira intorno alla trama ad essere imperdibile.

Come pubblico abbiamo deciso che le telecamere fisse non vendono, ma restano uno spaccato della cultura dei videogiochi non da poco. Ci si può anche trovare al di fuori dell’horror, ma la sensazione di paura dell’ignoto lega strette le due entità. Una paura che è innata nell’essere umano, la xenofobia. Ciò che non si conosce spaventa in linea di massima, e questa specifica branca di horror ne fa il suo perno.

Fu Alone In The Dark ad ispirare Mikami quando nel 1996 diede vita a quello che tutt’oggi è il franchise horror più iconico del medium. Ed è allo stesso Mikami ed al suo Resident Evil Remake che oggi si discute di quanto sia importante la prospettiva negli horror. Da Alone In The Dark a The Medium, camere fisse e controlli tank rappresentano uno scorcio di gaming che merita di essere approfondito.

Ciò che è dietro ad una porta o alla fine di una rampa di scale non è mai tanto spaventoso quanto la porta o le scale stesse.

Stephen King, “Danse Macabre”

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