Giuseppe Cammarano

Speciale Le mie prime 100 ore con Tears of the Kingdom

Inizio mettendo le mani avanti. The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è un’esperienza radicale in campo videoludico. Nel senso, radicalmente bella. Perché l’open-world si è imposto oramai da più di dieci anni come elemento di game design nei giochi d’avventura, ma quelli che siano riusciti ad implementarlo senza creare mondi vuoti e fastidiosi si contano sulle dita di una mano – e TotK è tra questi.

Riesce, peraltro, a superare il suo predecessore, Breath of the Wild, dal momento che non solo approfondisce l’area “di superficie” di Hyrule, ma addirittura aggiunge altri due piani (il sottosuolo, che fondamentalmente è una copia negativa della superficie, e le isole galleggianti nel cielo). Quello che doveva inizialmente essere un DLC di BotW si è trasformato in uno dei titoli più importanti degli ultimi anni; sicuramente, degli ultimi dieci/quindici.

Non mi dilungherò ancora sulle qualità di TotK, dato che è da un mese circa che se ne sente parlare ovunque, e sempre con toni – a ragione – entusiastici. Dal basso della mia posizione, però, sento di dover dire qualcosa alla luce di ben 100 ore e più di giocato. Questo gioco è incredibilmente bello, ma mi sembra che in giro non si dica che offre così tanto da risultare “bulimico”. Qualcuno potrà obiettare che un gioco più ha da offrire, da mostrare al giocatore, e migliore sarà l’esperienza di quest’ultimo. Giusto? Dipende.

A volte il confine tra il positivamente tanto e il troppo bulimico è davvero labile.

Dipende, perché ci sono dei momenti in cui disporre di risorse praticamente infinite può effettivamente aiutare, anche galvanizzare, il giocatore, impedendogli di sentirsi troppo frustrato. Ma in TotK il rischio è quello di perdere l’orientamento. È quello, cioè, di non sapere più quale sia il taglio che si vuole dare alla propria personale avventura ad Hyrule, e di renderla un’azione passiva supportata dagli strumenti a disposizione di Link: le armi di base e la possibilità di modificarle, i poteri derivanti dal braccio di Raul innestato sul corpo del protagonista, gli spiriti dei saggi che possono essere evocati in qualunque momento.

Per affrontare un accampamento di mostri – tra l’altro, divertentissimo – ci sono almeno tre, quattro approcci diversi. Ma sono sicuro che la stragrande maggioranza dei giocatori eviterà quelli più particolari (magari la costruzione di un robot da combattimento, come negli shorts su YouTube) per cimentarsi nella solita mischia. L’aggettivo “solita” non è usato in senso negativo: è effettivamente divertente, anche perché più immediato, sterminare una roccaforte nemica sfruttando i barili-bomba, la paravela, ecc.

Una riflessione su un cult contemporaneo

La mia non è una critica a questo gioco, che ho adorato. È più una riflessione, su quanto gli sviluppatori abbiano sentito il bisogno di aggiungere per superare, riuscendoci, tutti gli altri, e su quanto il giocatore sia capace di reagire alla quantità di stimoli presenti. Io ad esempio, credo di non essere stato capace: nonostante sia possibile realizzare un aeroplano con razzi e ventole, ho continuato a trovare più piacevole una cavalcatura per spostarmi attraverso Hyrule. Quella musica che parte quando si cavalca continua a piacermi e a rilassarmi più di qualunque congegno zonau, e devo essere sincero, un po’ mi dispiace dirlo.

Definivo “bulimica” l’esperienza di TotK perché alla ricchezza, anzi sovrabbondanza di stimoli, credo corrisponderà quasi sempre una scelta ben precisa da parte dei giocatori: quella della soluzione più semplice. Questo capitolo della saga di The Legend of Zelda effettivamente dà la possibilità ad un giocatore di cimentarsi in un’impresa senza dover sforzare troppo le meningi, ma resta sempre quel senso di disorientamento, come scrivevo sopra, che a volte rischia di compromettere una bella esperienza di gioco.

Link contempla la quantità di modi possibili per risolvere uno di quei puzzle là in fondo…
Forse il problema è questa saga, diventata così importante e qualitativamente alta da non poter più tornare indietro, ad un gameplay “semplificato”: gli ultimi due capitoli originali, Skyward Sword e A Link between Worlds, sono usciti praticamente dieci anni fa, e presentavano la tipica struttura che ha reso famosa TloZ; la rivoluzione inaugurata con BotW potrebbe aver segnato una via gloriosa ma tutta in salita, dato che i prossimi capitoli dovranno man mano alzare sempre più la proverbiale asticella.

O forse il problema sono i giocatori, che non sono capaci di gestire qualcosa delle proporzioni di TotK dopo dieci anni di Assassin’s Creed a cadenza annuale, con annesse torri da sbloccare. O forse il problema sono io, che sono pigro, e non mi cimento con le risorse che questo gioco ha da offrire.

So una cosa però. Che il mondo dei videogiochi non sarà più lo stesso dopo la coppia Breath of the Wild – Tears of the Kingdom; e non dovranno essere soltanto i giocatori a doversi sforzare per entrare al meglio nelle dinamiche di gioco, ma anche gli sviluppatori, che da ora in poi hanno un nuovo, fondamentale punto di riferimento videloudico.

Ai giocatori piace andare dritti al punto!

#LiveTheRebellion