Uno dei fattori più caratterizzanti – e al tempo stesso meno studiati – nei videogiochi, è l’estetica. Essa non ha necessariamente a che fare con la potenza grafica, a cui pure spesso è associata, ma nel corso del tempo si è imposta come elemento distintivo.

Per fare un esempio chiaro, oggi, soprattutto dopo Breath of the Wild, sarebbe impossibile pensare a The Legend of Zelda senza i suoi stilemi – la predominanza del verde, strutture abbandonate, e in generale un immaginario high-fantasy che affonda le sue radici nella letteratura di genere del secolo scorso.

Allo stesso modo, sarebbe difficile allontanare la maggior parte delle avventure grafiche contemporanee (à la Life is strange, per intenderci) dalle tematiche giovanili e di vita vissuta. Perché si, anche elementi di narrativa sono parte dello “stile”, perlomeno nel suo senso più lato.

Certo, esistono sempre delle eccezioni, ma in realtà esse finiscono per confermare la norma. L’importanza di alcune saghe videoludiche, o anche di singoli videogiochi, ha finito per dettare uno stile che si è tradotto in norma. È possibile citare decine di epigoni più o meno riusciti della serie di Zelda, e nella maggior parte di questi si potranno osservare elementi estetici talmente vicini all’immaginario Nintendo, che definirli “citazionistici” sarebbe eufemistico.

Questo inevitabilmente porta a un senso di “déjà vu” che può creare anche fastidio nel giocatore. Non si vuole qui dare un’accezione negativa al fenomeno: piuttosto, esso va preso come tale, per certi versi accettato. Del resto, ciò non accade soltanto nel mondo videoludico: da quasi un secolo Il signore degli Anelli detta la linea su ciò a cui, esteticamente, dovrebbe somigliare un modo fantastico.

Ma è possibile, allora, uscire dagli schemi, e produrre un nuovo canone estetico, capace di sconvolgere gli equilibri?

È possibile rinnovare uno stile già definito?

Il maggiore problema alle nuove soluzioni viene dal rapporto dialettico che si instaura tra l’immagine e la sua percezione. La saga dei Souls è un esempio particolarmente calzante per questo discorso, avendoci essa abituato a mondi simil-medioevali decadenti, popolati di creature che fanno capo a un filone “revisionistico” dell’immaginario fantasy. L’estetica delle serie di From Software, col passare del tempo, si è saldata con le peculiari innovazioni del gameplay, e il risultato è che oggi tanti videogiochi prodotti con l’intenzione di ripresentare elementi di game-design delle serie dei Souls, ne assumono anche l’estetica. L’immagine condiziona la percezione, dunque, ma a sua volta la percezione in un momento successivo condiziona l’immagine, e così via.

Risolvere questo problema, che come si è detto è presente in genere in tutte le attività umane che abbiano a che fare con l’estetica, non è affatto una cosa semplice. Ma i tentativi non mancano: Enotria The last song, un videogioco affine al genere dei Souls, sembra voler andare nella direzione di un deciso rinnovamento dell’estetica.

Il caso Enotria

Al di là delle definizioni (come quella di “primo tripla A italiano“) affibbiate ad un prodotto che non è neanche stato ancora pubblicato, è interessante notare, già dai primi trailer, una serie di richiami all’immaginario del Rinascimento italiano. A partire dai toni dei colori, caldi e “mediterranei”, è chiara la volontà di appellarsi ad ispirazioni ben lontane da quelle che hanno influenzato con tanta forza la nascita di Demon’s Souls, e di ciò che è seguito.

Se l’operazione riuscirà, il suo impatto non sarà relegato alla qualità del titolo in sé, ma avrà la possibilità di cambiare alcuni equilibri estetici che hanno avuto un ruolo fondamentale nei processi creativi. Fino ad oggi le regole, assolutamente non scritte, sono state piuttosto rigide: al gioco con un gameplay à la Super Mario Bros corrisponderà un estetica da cartone animato, mentre in un gioco ispirato a Dark Souls le atmosfere predominanti dovranno essere tetre e deprimenti.

In Dark Souls quella particolare atmosfera aveva uno scopo narrativo e meta-narrativo ben preciso, ma non deve per forza essere sempre così. In altri titoli che ne hanno imitato l’estetica, le forme narrative che hanno contribuito a rendere famoso Dark Souls non sono presenti.

Ad essere imitata quindi non è la struttura complessiva, ma soltanto alcuni elementi di facile richiamo, come i toni, le scenografie, e così via. Da queste basi il cambiamento è possibile, e partendo dall’estetica potrà coinvolgere anche altri aspetti sia del processo creativo, sia del prodotto videoludico finito, sia della sua stessa ricezione.

Questo, chiaramente, dipende dalla riuscita di un titolo come Enotria. Bisogna sempre tener conto del fatto che i prodotti vengono inseriti in un mercato, ovvero una dimensione ben lungi dall’essere ideale. E nei meccanismi della società di mercato, in effetti, bisogna ricercare almeno in parte l’origine delle regole dell’estetica. Il discorso è molto lungo ed esaurirlo qui sarebbe pressoché impossibile, ma già da ora, come si è visto, si può immettere qualche elemento nella discussione. Si può affermare che le innovazioni, nel mondo videoludico, sono sempre possibili.

A dispetto delle condizioni sociali all’interno delle quali si muove il lavoro creativo, oggettivamente non facili, il proposito di un cambiamento – sia anche graduale – non deve mai mancare. La sua esistenza rappresenta la vitalità di un settore che, a volte, sembra far torto alle sue potenzialità. L’operazione che si accinge a tentare Enotria, era stata compiuta da Dark Souls oltre un decennio fa, e da The legend of Zelda prima ancora. Staremo a vedere.

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