Una pistola per mano, Gabriel Tavareas sta in piedi sui rulli di un nastro trasportatore e inizia a sparare una devastante raffica contro le forze aliene. È uno sterminio. In questo caso sta solo svolgendo il suo lavoro presso lo stabilimento della Atari Inc. controllando che non ci fossero difetti nel prodotto, un videogioco di Star Wars, prima che venga inscatolato per la spedizione. Di recente Gabriel ha preso parte a un reale sterminio: ha contribuito ad affossare il tentativo dei sindacati di stabilirsi per la prima volta all’interno delle industrie ad alta tecnologia della Silicon Valley. Tavareas e 142 colleghi, infatti, hanno votato contro la sindacalizzazione, mentre 29 hanno votato a favore. La pesante sconfitta per il sindacato è arrivata alla fine di un anno travagliato in cui l’azienda di videogiochi e home-computer ha licenziato più di 2.500 dipendenti, alcuni dei quali praticamente senza preavviso, quando Atari ha deciso di spostare la maggior parte della sua produzione all’estero.

Si apriva così l’articolo di Kathy Sawyer pubblicato sul Washington Post del 18 marzo 1984. Il crollo dell’industria era iniziato l’anno prima lasciando strascichi pesanti, soprattutto negli Stati Uniti. La saturazione del mercato, l’ascesa dei personal computer e la produzione di videogiochi diventati famosi per l’ingegnoso smaltimento dell’invenduto, portò Atari a perdere centinaia di milioni di dollari, fallire e rinascere sottoforma di band pop-rock e catene di hotel.

Ma perché nel 1984 i sindacati fallirono? Le cause furono molteplici, ma c’entrano soprattutto la giovane età dell’industria tecnologica e la mentalità dominante, sia del management sia della forza lavoro. Stoicismo, flessibilità, competizione e volatilità, economica e lavorativa, erano e sono i fondamenti dell’ideologia dominante nella Silicon Valley.

Cos’è cambiato 40 anni dopo? Tante cose. La forza lavoro, soprattutto quella, si è accorta che le stronzate che i colletti bianchi hanno letto su aforismi.com sono, per l’appunto, stronzate. Crunch, molestie, abusi di ogni genere e paghe ridicole hanno portato a cause, dimissioni in massa e ora, finalmente, all’ingresso delle unioni sindacali all’interno di un’industria (e una società) che sembrava impermeabile al cambiamento.

Uno spettro si aggira per l'Unione

La crescita dei sindacati all’interno dell’industria videoludica segue un trend nazionale e diffuso in ogni settore lavorativo, almeno negli Stati Uniti. Stiamo parlando di un aumento significativo: +53% di petizioni per avere un sindacato all’interno delle aziende, un totale di 2510 domande rispetto alle 1638 dell’anno precedente. Questo movimento, partito da gruppi privati su Facebook, è arrivato oggi a tormentare i gruppi dirigenti delle più importanti software house degli USA.

Un fantasma s’aggira per l’Unione e questo fantasma non è un’entità astratta ma sono i lavoratori in carne e ossa. Artisti, programmatori, tester, scrittori, designer e ingegneri che, uniti, reclamano un po’ di potere. Potere per fare cosa? Innanzitutto spingere le aziende a cambiare, tutto. L’arco temporale di 40 anni che ci separa dal fallimento dei sindacati di entrare in Atari non ha portato un cambiamento della filosofia aziendale all’interno dell’industria dei video games, anzi.

Negli ultimi anni la cronaca è piena di casi di abusi di ogni genere, discriminazioni, orari lavorativi folli, deadline impossibili da rispettare e salari vergognosi. L’industria non riesce a riformarsi da sola, così i lavoratori hanno deciso che il cambiamento deve venire da loro. L’altro tema caldo è il lavoro da casa, istituzione nata per fronteggiare l’emergenza portata dall’epidemia che ora diverse aziende stanno smantellando, molto spesso senza alcun tipo di spiegazione se non quelle di avere un maggiore controllo sui corpi e sul tempo dei loro dipendenti.

Torniamo al potere. Il potere reclamato dai dipendenti non è il potere del singolo amministratore delegato o del manager incravattato, ma il potere collettivo dato dall’unione della forza lavoro – uno ben più ampio e che permette di affrontare in maniera decisiva tutti i problemi che possono nascere all’interno del luogo di lavoro, dagli abusi da parte del management o di altri colleghi, alla questione retributiva. Supportarsi, creare delle reti di appoggio e di mutuo aiuto sono tra i motivi principali che hanno spinto i lavoratori ad unirsi in sindacati, che in una parola possiamo riassumere in solidarietà.

Microsoft guida il popolo

“I nostri dipendenti non avranno mai bisogno di organizzarsi per dialogare con i leader di Microsoft“

Invece, con un plot twist che ha del clamoroso, il 2 giugno 2022 Microsoft decide che i suoi dipendenti potrebbero aver bisogno di organizzarsi. Tramite un post del vicepresidente Brad Smith l’azienda di Redmond si cosparge il capo di cenere e ci tiene a far sapere a tutti che è pronta a imparare, mettendo sul tavolo ben quattro principi su cui verteranno i rapporti con i lavoratori (organizzati e non). Ascoltare le preoccupazioni dei dipendenti, riconoscere l’esigenza da parte di quest’ultimi di organizzarsi in sindacati, avere un approccio creativo e collaborativo con le sigle sindacali e non ostracizzare in alcun modo chi decide di essere rappresentato da un sindacato. Aria fresca, buoni propositi, un sacco di belle parole a cui fanno seguito, finalmente, i fatti.

Il 13 giugno Microsoft e CWA (Communication Workers of America, uno dei sindacati più grandi degli USA) firmano un accordo di neutralità. Microsoft si impegna ad agevolare la formazione di sindacati all’interno dell’azienda e nelle sue controllate in cambio dell’appoggio di CWA nell’affaire Microsoft-Activision Blizzard. I sindacati, che erano stati molto critici verso l’operazione, con un passo di danza e una capriola diventano i più grandi sponsor dell’acquisizione. È politica e la politica non guarda in faccia a nessuno, soprattutto se ci sono milioni di dollari in ballo da una parte e migliaia di posti di lavoro dall’altra.

Il 3 gennaio del 2023 l’accordo tra CWA e Microsoft porta i suoi primi frutti. La maggioranza dei 300 impiegati di ZeniMax Studios, una holding che controlla tra gli altri anche Bethesda, sviluppatore e publisher di Doom, Fallout e The Elder Scrolls acquistata da Microsoft nel 2021, ha votato a favore della sindacalizzazione del luogo di lavoro, decisione immediatamente avallata dalla dirigenza della casa madre. La speranza dei lavoratori è che questo accordo si traduca in un cambio di rotta per l’intero settore, aprendo una stagione di lotte e di contrattazione su salari, diritti e futuro.

Il 6 gennaio Microsoft compra uno spazio pubblicitario sul Washington Post per ribadire il suo assenso alla formazione del sindacato all’interno dell’azienda. Nel comunicato, firmato anche da CWA, si legge quanto segue.

“Mentre entriamo in un nuovo anno, continuiamo a impegnarci per creare il miglior ambiente di lavoro possibile per le persone che si guadagnano da vivere nel settore tecnologico. Quando i lavoratori e i dirigenti portano la loro voce al tavolo delle trattative, i dipendenti, gli azionisti e i clienti ne traggono beneficio […]. Nel corso del 2023, speriamo di portare lo stesso accordo e gli stessi principi ad Activision Blizzard”.

Insomma Federal Trade Commission, avete capito? Noi siamo i buoni che vogliono comprare i cattivi per farli diventare buoni, anche perché i cattivi, cara FTC, stanno facendo di tutto per risultare ancora più cattivi.

È politica e la politica non guarda in faccia a nessuno.

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