Luca D'Angelo

Speciale Perché anche i videogiochi devono sensibilizzare?

Sto pensando che per questo mondo io non sono abbastanza. Io non mi metto in pratica per migliorarlo, le occasioni di sensibilizzare le evito tutte per partito preso. Parto dall’assodato che farò qualcosa poi, non in una settimana messa lì per far soldi. Dimostrerò a me stesso che mi interessa e che lo farò di mia iniziativa. Ma poi non succede quasi mai.

La riflessione autocritica scaturisce da una notizia piuttosto recente, ovvero che tra tante Ubisoft si è (relativamente) svegliata. Niente date, a malapena un periodo orientativo, ma avvisa che prima o poi accadrà qualcosa. Riders Republic prenderà fuoco. Vi ha dato fastidio portare una mascherina? Bene, avrete di default una maschera antigas. Pesante essere bloccati in casa? Allora proverete anche cosa vuol dire non aver accesso a tutta la mappa di gioco.

E l’unico modo per riprendersi i propri spazi (di gioco) è agire. Fare qualcosa, una buona volta. Accorgersi che c’è qualcosa che non va e che gli unici a poter limitare i danni sono quelli che li stanno osservando e commentando. È ora di fare qualcosa, e i videogiochi (leggi “le persone dietro il gioco”) stanno cercando di farcelo capire.

Una volta l’anno anche Niantic prova a puntare i riflettori sui problemi dell’ambiente. Una call to action anche meno implicita, fatta di eventi di persona e bonus sbloccabili.

La sensibilizzazione deve passare anche dai videogiochi

Ma mi fermo qua. No, questo non è un pezzo per inneggiare alla storiella delle software house buone. Il vizio delle aziende di lucrare offrendo voce a un problema solo quando lo dice la data sul calendario non c’entra sotto il tappeto. Ma la sensibilizzazione resta tale anche quando il dio denaro ha deciso di istituire una giornata dedicata. Soprattutto in quei giorni, a cui si dovrebbe guardare sì con l’occhio un po’ critico ma senza dimenticare che tutto sommato esistono per un motivo.

Il punto è che la sostenibilità non si limita a una settimana sola, e non dovrebbe. E c’è un bisogno malsano di ricordare e sottolineare questa cosa, è evidente che quanto già si fa non sia abbastanza. Eppure è difficile riuscire a renderlo uno sforzo costante – specie perché spesso la sensibilizzazione si fa solo e soltanto nelle date commerciali, appunto.

Il problema è che a certe questioni non si può dar voce una sola settimana l’anno. O meglio: è bene dargli voce almeno quella settimana, ma non è servito a un granché se dopo un paio di foto su Instagram si è perso l’interesse. Per risolvere quel tipo di problemi bisogna ricordare alle persone che esistono, e non una sola volta l’anno.

Le questioni vanno aperte per essere affrontate, e affrontate per essere quantomeno portate sul tavolo di discussione. Senza discussione e confronto non c’è modo di risolvere un problema, semplicemente perché non verrebbe riconosciuto come tale.

“E che fa se butto una cartaccia per terra? Si biodegrada subito”

Il fatto è che gli enormi problemi nascono dai più piccoli gesti. Un po’ come buttare un pezzo di carta in terra, “perché tanto si biodegrada subito” – o peggio una cicca di sigaretta, che tanto è piccola. Ancor prima di accorgercene siamo passati a buttar giù in strada bottiglie di plastica, vetro, batterie. Siamo arrivati a pisciarci, in strada, che tanto è liquido e non causa problemi all’ambiente. Ma che schifo la gente all’estero che non ha il bidet…

Probabilmente tutto questo sarà “ingigantire la questione”, forse sì. Ma non serve farne una tragedia per far capire che l’abitudine genera altre abitudini. E una volta diventata normalità è difficile poi liberarsene.

Difficile mollare le abitudini negative, a meno che non si sensibilizzi.

Ed è questo il punto da sottolineare. Le corporate cattive cavalcano l’onda, macinano soldi e ingannano i giocatori. Ma per quanto involontariamente una cosa la fanno bene: sensibilizzano. Portano in tavola problemi, di modo che siano visibili. Il loro errore sta nel farlo soltanto una volta l’anno, decretare un periodo di sensibilizzazione e lucrarci pure sopra.

Il nostro errore sta nel dare ascolto soltanto una volta l’anno, dimenticandoci della questione una volta usciti da quel periodo di sensibilizzazione aziendale. Il nostro errore sta nel lamentarci solo che “il gioco funziona male, aggiustatelo prima” (sacrosanto, per carità), piuttosto che implorare altre occasioni di sensibilizzazione ad un problema. Oppure, piuttosto di agire noi anche dopo quella settimana l’anno.

È questa la nostra metà di colpa, prima ancora del banale aver sbolognato la colpa a chi vuole fare soldi su una problematica delicata. “Nostra” in quanto giocatori, che storie con questi background le viviamo di continuo ma chiudiamo continuamente gli occhi per goderci il gioco.

Certe questioni fuori dai videogiochi proprio non possono starci. Banalmente perché dietro a un videogioco ci sono comunque persone che abitano il nostro stesso mondo, ed è giusto che lo dipingano con le lodi e moralità del caso. È deprecabile per davvero usare una questione seria solo per il marketing, ma è altrettanto deprecabile non cogliere l’occasione di mettersi attivamente in pratica per il mondo, e per le persone che lo abitano.

Tanto più che io questo articolo l’ho abbozzato un mese fa, e ho deciso di concluderlo comunque nonostante fosse piuttosto impolverato. (E non è comunque molto di più del proverbiale minimo che si possa fare)

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