Igno

Speciale Non-Binary: La Frattura dello Specchio

Parole che sono proiettili. Che sono catene, lacci emostatici. Parole che ingabbiano, che giudicano, strozzano. Che etichettano. Parole che sono lunghe dita chirurgiche, che fanno scorrere il tuo corpo sotto il loro freddo tocco: analizzano, tastano, affondano, stringono, lacerano. Che ti inchiodano sul loro tavolo operatorio, che entrano sottopelle. Parole che decidono per te. Parole che non sono mai soltanto parole.

Provo sempre un po’ di disagio quando tocco certi temi. Nonostante i complotti cosmici che tendo a vedere nei miei confronti da parte dell’esistenza, rientro in una categoria estremamente privilegiata all’interno della nostra società. E dunque, come maschio bianco etero e cis, trattare tematiche della sfera queer mi pone sempre sotto un certo timore. Il timore di non riuscire a cogliere le sfumature, di essere poco empatico, di arrogarmi il diritto di parlare a nome di persone che in me non si potrebbero mai identificare. Al tempo stesso, ci sono casi in cui mi sento troppo coinvolto per non dire nulla e Non-binary è uno di questi.

Azzuroerosa

L’opera prima di Owof games, nata durante una game jam, si presenta semplice, spartana, quasi fredda. Ti affida casualmente uno dei personaggi e di conseguenza un sesso e il genere che il mondo gli associa. Rimarca così come il proprio corpo non si scelga, e ti lancia per il loro percorso: la loro vita. Non-binary è un gioco che in gran parte si “subisce”, in cui vieni bombardato sin dalla tua nascita da aspettative, giudizi sul tuo aspetto, la tua forza, sul divenir cavaliere o principessa.

Ed ecco, la prima grandinata di proiettili che cerca di travolgerti e che schivi a stento, forse. Parole che rimangono aggrappate allo schermo, al tuo subconscio. Ti delineano, ti delimitano, ti comprimono: sei A o B, sei uno 0 o un 1, sei rosa o azzurro. In tutto questo la tua voce non ha peso, né quando puoi solo urlare per affermare l’esistenza in un mondo nuovo, né quando calchi il campo di calcetto nel cortile della scuola, al posto di stare con le altre ragazze.

Empatia subottimale

Non sono cose che posso comprendere appieno, non in questi termini. Credo che chiunque in un modo o nell’altro sia vittima di stilemi e gabbie sociali che cercano di incasellarci in ogni modo, un’infinità di piccoli e grandi stigmi con pregiudizi annessi che mi son beccato più o meno tutti sulle gengive, dal non giocare a calcio ai capelli troppo lunghi, il “come ti vesti”, eccetera eccetera. Insomma, tutto quel pacchetto di cliché che da una parte sembra davvero troppo banale perché qualcuno lo sfrutti come metro di valutazione, dall’altra appare un muro con il quale devi per forza scontrarti e a cui nessuno vuole dare troppo peso in fondo, perché quello strano sei tu.

Ma al netto di tutto questo e di tutti i modi in cui posso mettere in discussione la mia persona, i contrasti che posso avere con il mio corpo e il mio aspetto, le difficoltà – se non l’impossibilità – di rapportarmi con la mia immagine, non ho mai messo in discussione di essere altro al di fuori di un ragazzo. In quel binario io ci sono e per quanto rigetti ogni etichetta, ogni incasellamento, è una definizione nel quale mi sono sempre riflesso. Non sarò mai in grado di capire davvero cosa sia la disforia di genere, cosa significhi al di là della sua definizione, quanto possa essere dilaniante non riconoscersi nel proprio corpo, esserne prigionieri.

Posso ammassare diecimila caratteri nel delineare quella che è la mia prospettiva, che sicuramente si è arricchita di una nuova sfumatura grazie al gioco di Owof, ma comunque non arriverò mai a cogliere veramente questo concetto.

Ma non credo sia questo il punto.

Schermi come Specchi

Forse il punto è accettare che ci siano sfumature di dolore che non si possono capire. E al tempo stesso che alcune di quelle sfumature siano dolore solo perché noi come società abbiamo deciso che lo siano. Abbiamo deciso che non ci riguarda, che non è un nostro problema. E ancora prima, abbiamo deciso che non c’è un problema, che non c’è niente di cui parlare, niente da vedere. È un tema ad ampio spettro quello dell’inclusività, che non coinvolge solo le persone non-binarie. Nonostante il gioco di Owof parli espressamente di questo aspetto, non riesco a non vederci un messaggio che coinvolga chiunque venga ostracizzato dalla nostra società.


Io non posso certo fornire una soluzione al problema ma so per certo che parte di essa comincia dalla rappresentazione. Credo che la società sia formata da un’infinità di specchi, sotto forma di input e media che costantemente ci influenzano, ci contaminano. Specchi che riflettono solo ciò che arbitrariamente si è deciso esser bello, esser comodo, esser giusto o di prestigio. Che sia il tuo aspetto, il modo in cui pensi, vivi, il modo in cui lavori, poco importa. E importa ancora meno se non hai avuto nessuna scelta in questo. Sul tuo corpo. Diventa un calderone, un cumulo di persone che vengono ammassate insieme perché non rientrano in quello che – sempre arbitrariamente – abbiamo deciso essere normale.

Che tu sia strega cattiva o principessa immacolata non importa, finché con quello specchio puoi dialogare, finché ti ci puoi specchiare rispettando i suoi standard. Tutti gli altri non vengono rappresentati, in quello specchio non vedono il loro riflesso. Sono vampiri, sono reietti. Tutti gli altri non esistono, in una società sorretta sugli specchi. Forse il nostro scopo è romperli, questi specchi. Anche solo incrinarli. Non dobbiamo solo guardare, dobbiamo vedere.

Something Must Break.

Giochi come Non-binary necessitano di essere conosciuti, di essere giocati. L’opera prima di Owof Games è estremamente didattica nel modo in cui presenta il suo discorso. Ha un alto valore propedeutico sul tema LGBTQI+, ed è uno di quei giochi che andrebbero portati sui banchi di scuola.

Del resto, il gioco può essere – e già lo è – uno strumento educativo eccezionale. Forse allora la rappresentazione può partire anche dall’aspetto ludico della nostra vita. Perché qualcosa deve cambiare. La frattura dello specchio dev’esser la frattura di noi stessi. Deve portarci a dare una nuova definizione di noi, plasmarci su quello che vogliamo essere e non sulle forme nel quale vogliono incastrarci. È quello che succede in Non-binary, in cui il momento di rottura è l’inizio di una nuova vita. È un’epifania.

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