Andrea Scibetta

Speciale Quanto vale Metroid Dread?

Dread è salito in cattedra?

Si parla spesso di videogiochi e di costi. Parlando di un prodotto di consumo di lusso, in quanto tale è normale che abbia un prezzo. Tra l’altro decisamente più elevato rispetto a quelli di altri mezzi d’intrattenimento. È un argomento che viene di frequente tirato in ballo, per lo più in polemiche sui prezzi troppo alti in relazione alla durata. Più in generale, il dibattito si concentra non di rado sul valore di un titolo in termini strettamente economici. In quest’epoca di recensioni intese come guide all’acquisto, ha assunto sempre più importanza relazionarsi al prezzo dell’opera per consigliarla o sconsigliarla.

Ad esempio, su questo stesso sito, come anche in altri, troverete in fondo alle recensioni anche il prezzo consigliato rispetto a quello di listino. Per fare un altro esempio, in un recente episodio del Cortocircuito di Multiplayer, Pierpaolo Greco ha sottolineato come il prezzo a cui si acquista Days Gone possa cambiare la percezione che si ha dell’esperienza. Alla luce di ciò, assume una certa importanza cercare di rispondere alla domanda: quanto vale un videogioco?

Quanto vale un videogioco?

Valori percepiti
Non voglio qui entrare nel merito di quanto costa produrlo, un videogioco, che sarebbe un altro argomento delicatissimo. Per approfondire questo tema, rimando alla recente intervista a Shawn Layden, ex CEO di Sony entertainment, estremamente interessante. Affrontando la questione dal punto di vista invece del consumatore finale, è evidente che scegliamo quali videogiochi comprare in base al valore economico che gli attribuiamo. Ed è altresì ovvio che il valore attribuito dipende anche dal gusto soggettivo. Eppure ci sono alcuni aspetti che fanno generalmente aumentare o diminuire il valore percepito di un titolo. Uno su tutti è ad esempio la longevità.

Un'enorme fetta del pubblico italiano è convinta che nessun gioco valga 70€

È piuttosto diffusa l’idea che un gioco che offre più ore di intrattenimento valga “di più” quei 70€ di prezzo di ingresso. Di più rispetto magari a uno che intrattiene per un tempo minore, si intende. Un’enorme fetta del pubblico italiano è convinta ad esempio che nessun gioco (o quasi) valga il prezzo pieno a cui è venduto nei primi mesi dall’uscita. E qui si potrebbe aprire una parentesi vorticosamente complessa su quanto basso sia il valore percepito dai videogiocatori del bel paese dei prodotti di intrattenimento interattivo. Un pubblico spesso pronto a spendersi in donazioni per sostenere il proprio streamer preferito, ma non altrettanto pronto a spendere per sostenere la propria software house preferita.

Tornando agli aspetti che modificano la percezione del valore di un gioco, è indubbio il fatto che i titoli bidimensionali siano generalmente considerati di valore economico inferiore. L’idea che un prodotto limitato alle due dimensioni possa costare quanto i colossal del medium è ancora inaccettabile per tantissimi videogiocatori. Questo nonostante l’esplosione di nomi come Ori, Cuphead o Hollow Knight, perle capaci di diventare in breve tempo dei veri e propri cult. Non nascondo che anche io, quando Nintendo annunciò il prezzo di listino di Dread, storsi il naso – mea culpa.

Eppure i valori produttivi di Metroid Dread sono paragonabili a quelli di Zelda Breath of the Wild? E prima ancora: cosa sono i “valori produttivi”? Parliamo di un settore in cui purtroppo i dati statistici sono materiale sostanzialmente introvabile. Per questo motivo non si può fare un discorso analitico su quanto sia costato il nuovo capitolo su Samus Aran, o quanto sia stato investito in concept art per l’ultima avventura di Link, o ancora quale sia stato l’investimento in animazione per Ori and the Blind Forest. Possiamo quindi parlare solo di valori produttivi percepiti, in modo soggettivo e, di conseguenza, opinabile.

Etichetta con il prezzo
Alla luce di tutto ciò, torno alla domanda iniziale: quanto vale Metroid Dread? Chiaramente è una domanda in parte provocatoria, la cui risposta non può essere un tranciante “non 60€”. Tuttavia, sono convinto che a posteriori sia una questione da approfondire.

Prima di tutto bisogna sottolineare che i videogiochi non sono prezzati in base al costo. Come la maggior parte dei beni di consumo esistenti in effetti, ma per qualche strano motivo in questo caso specifico va sottolineato. Il mercato dei videogiochi funziona per fasce di prezzo: le produzioni “grosse” sono messe in listino tra i 60 e gli 80€, mentre le produzioni medie sono spesso vendute a cifre leggermente inferiori, tra i 30 e i 50€. Infine, i titoli indipendenti sono solitamente venduti al di sotto dei 25€. Sto chiaramente generalizzando, ma a grandi linee si può semplificare così la suddivisione. Ovviamente le produzioni rientrano in queste fasce di prezzo a prescindere dai costi produttivi, per cui anche se Red Dead Redemption 2 è costato probabilmente molto più di Control, il prezzo a cui i due titoli sono venduti è lo stesso.

In questo panorama, Nintendo ha scelto di porre Metroid Dread nella fascia di prezzo più alta, al pari di altre produzioni come il già citato Breath of the Wild o Super Mario Odissey. Produzioni che sono state sviluppate da team interni più grandi per numero di dipendenti, che sembra lecito supporre avessero alle spalle investimenti più consistenti. Anche qui purtroppo non esistono dati statistici da riportare.

Problemi di genere
Dread ha colto il periodo di rinascita del metroidvania e si è appoggiato sulla popolarità che il genere ha di recente acquisito, per raggiungere risultati economici soddisfacenti. Popolarità per lo più ottenuta grazie a svariate produzioni più o meno grandi, la maggior parte indipendenti. Su tutte, i due titoli probabilmente più rappresentativi della nuova presa sul grande pubblico sono Ori e Hollow Knight. Proprio in relazione a questi due titoli si può fare un discorso riguardo il valore dell’ultimo Metroid. Del valore, non del prezzo.

La mia domanda è: il lavoro svolto su Dread vale effettivamente di più di quello su Ori and the Will of the Wisps? La concept art dietro le ambientazioni del titolo Moon Studios è meno folgorante di quella del pianeta ZDR? Il level design delle aree di gioco è meno curato? è meno ludicamente funzionale? O ancora: le animazioni del piccolo Ori sono state fatte più frettolosamente di quelle di Samus Aran? I power up architettati dai game designer sono meno fantasiosi? Realizzati peggio? Meno integrati nel mondo di gioco?

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Potrei andare avanti ancora, ma evito di sciorinare un elenco di domande retoriche fini a sé stesse. Ci tengo a dire che io ho apprezzato Metroid Dread, mi sono divertito a portarlo a termine e trovo che sia un buon gioco e un ottimo metroidvania. Eppure per me la risposta a tutte queste domande è no, anzi. In alcuni casi trovo che la cura dietro Ori sia superiore. Ad esempio, i power up di Samus nella sua ultima avventura penso siano un lavoro piuttosto pigro, sia in termini di game design che di realizzazione. Svariati potenziamenti del razzo, della bomba o del salto rendono sì accessibili nuove zone, ma cambiano marginalmente il modo di giocare e sono stati realizzati per lo più riciclando i power up precedenti.

Ah sì, Metroid Dread, quel gioco dove i power up sono quattro diversi razzi (che usi allo stesso modo e hanno la stessa animazione), quattro diverse bombe (che usi allo stesso modo e hanno la stessa animazione) e tre diversi doppi salti (che usi allo stesso modo e hanno la stessa animazione)

La versione polemica di me stesso
Anche sui nemici da combattere, la quantità di riciclo di mid boss e mostri vari è abbastanza evidente. Discorso analogo potrei fare per il design delle aree, che non trovo sia particolarmente ispirato o diversificato, salvo piccole eccezioni. Se paragonate alla varietà di Ori, alla sua tridimensionalità e brillantezza, Dread non ne esce benissimo, a mio avviso. Anche la grande novità di Dread, ciò che doveva giustificarne il titolo: gli EMMI. Risultano presto un pigro riciclo che funziona in modo pesantemente randomico in base alla posizione del nemico quando si entra nella sua area d’azione.

Ok, qui si esagera e su molte cose sono in disaccordo, ma aiuta a guardare Dread da una prospettiva diversa
Sovrapprezzo?
60€ per un giochino 2D? Se pensi che 60€ per Metroid Dread siano troppi sei un parassita che i videogiochi non li ha mai davvero capiti. O almeno, così dice il podcast videoludicamente scorretto.
Il punto del discorso non è se Metroid Dread mi è piaciuto oppure no, né che voto si meriti. Ori and the Will of the Wisps di listino viene venduto a 30€ su Xbox. Nonostante sia il seguito di un titolo che si era già affermato sul mercato, ricevendo quindi un ovvio rialzo di prezzo. Hollow Knight, la cui cura nel design dei vari elementi trovo pure superiore a quella riposta in Dread, è arrivato sul mercato al prezzo irrisorio di 15€. Anche in questo caso è probabile che il venturo Silksong verrà venduto a un costo diverso, quando finalmente uscirà, ma sono pronto a scommettere che sarà comunque nettamente inferiore ai 60€ di Dread.

Si parla sempre di videogiochi in relazione al loro prezzo. Magari non sempre lo si fa in sede di recensione, ma è un parametro di cui si tiene conto quando si consiglia (o sconsiglia) l’acquisto di un gioco. Dread non può fare eccezione. Quando lo si paragona a congeneri di qualità pari o superiore, bisogna tenerne conto. Per tutti questi motivi, secondo me il gioco di Mercury Steam non vale il doppio di Ori and the Will of the Wisps e il quadruplo di Hollow Knight.

Se è vero che il ruolo della critica non può essere solo quello di guidare negli acquisti, deve sicuramente essere anche quello. Perciò, se un giocatore che non sente il peso del nome che il titolo porta mi chiedesse se vale la pena di acquistare Metroid Dread, la mia risposta sarebbe un secco no. Non perché Dread non sia un buon titolo, ma di metroidvania paragonabili o superiori ne esistono svariati sul mercato, a prezzi molto più abbordabili. Il fatto che il gioco non si schioderà mai di molto da quei 60€ (brava Nintendo, che tanto vende comunque, però…) non aiuta a rendere il ritorno della serie appetibile per un pubblico fresco, giovane e spesso dalle tasche leggere.

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