Negli ultimi giorni si è acceso il dibattito attorno al valore delle recensioni in ambito videoludico. Tutto nasce da un articolo del Washington Post che prende una posizione piuttosto netta sull’argomento. Nell’editoriale scritto da Mikhail Klimentov sulla testata generalista statunitense, partendo da un malcelato risentimento nei confronti dei tempi stretti per analizzare il recente Far Cry 6, si afferma in modo chiaramente provocatorio che il sistema delle review è rotto. Secondo il redattore, allo stato attuale delle cose le recensioni non giovano a nessuno. Né a chi scrive, né a chi legge, né al gioco stesso.
Le valutazioni considerate autorevoli sono per lo più figlie di un approccio insensato
La fretta con cui il recensore è normalmente costretto a giocare è innaturale, non dà il tempo di approfondire, di analizzare con calma e soppesare i vari aspetti dell’opera. Inoltre, l’esperienza che ne risulta è profondamente diversa da quella del giocatore medio, che procederà a ritmi più compassati. Perciò le valutazioni considerate autorevoli sono per lo più figlie di un approccio insensato, che non porta ad analisi genuine. Cosa che impedisce al redattore di godersi l’esperienza, e genera un disservizio per i lettori e il gioco stesso.
L’eco della stampa italiana
L’articolo, condivisibile o meno che sia, ha generato diversi ragionamenti interessanti sull’argomento, anche in Italia. Ad esempio, poche ore dopo l’uscita del pezzo sulla testata americana, Mario Petillo ha ripreso le stesse tematiche su Tom’s Hardware. In questo caso, il redattore si è limitato a riportare in Italiano gli stessi argomenti del Washington Post, spiegando il suo punto di vista, sostanzialmente concorde. Anche qui viene posta l’attenzione su di un generale piattume nel panorama critico, anche italiano. Tuttavia Petillo si limita a prendere atto dell’esistenza del problema, senza proporre una reale alternativa.
Quando ci arrivò Final Fantasy XV, circa una settimana prima dell’embargo fissato da Square-Enix, giocai 70 ore in 8 giorni. Sì, una follia, ma per me era un patto con il lettore, per garantirgli un sacrificio che gli poteva permettere di leggere un giudizio sincero e sviscerato fino alla fine.Mario Petillo, Tom’s Hardware
"Le recensioni sono poco lette o lette male, servono solo come guida all’acquisto", Valentino Cinefra
In seguito, anche Francesco Fossetti ha analizzato l’articolo durante una diretta twitch. In questo caso la risposta è stata molto più tagliente: il caporedattore di EveryEye si è concentrato a evidenziare le generalizzazioni fatte da Klimentov per avvalorare la sua tesi, e ha sottolineato come non sia vero che in fase di recensione si è sempre costretti a un crunch da 50 ore di gioco (più i tempi di scrittura) in 5 giorni. Anche qui sono stati però avvalorati alcuni punti, che, almeno in casi specifici, sono veritieri: capita effettivamente che le recensioni vengano fatte di fretta, giocando e scrivendo delle analisi in divenire, con la finalità di uscire entro l’embargo.
L’ultimo articolo che voglio citare sull’argomento è quello scritto da Valentino Cinefra su Videogamer, che affronta la questione da un punto di vista alternativo. In questo caso, il redattore ha ribadito come il problema in realtà non esista, in quanto le recensioni in pratica non servono. Sono in ogni caso la categoria meno letta, sempre, e il pubblico tende comunque a scorrere fino al voto in fondo. Voto che, secondo Cinefra, è l’unica arma rimasta al settore per approcciarsi a un pubblico sfiduciato. Posizione a mio avviso molto discutibile, quest’ultima, che mi limito a riportare. Alla luce di ciò, la proposta fatta su Videogamer è di affiancare contenuti “altamente critici” alle guide all’acquisto che ormai sono diventate le recensioni.
L’elefante nella stanza
Al di là di come ci si posizioni nei confronti dell’argomento, è chiaro che di fondo ci sia qualcosa che non va. Evidentemente il sistema ha delle falle, da un lato perché le recensioni sono effettivamente poco lette e solamente nei giorni immediatamente successivi all’uscita del gioco, dall’altro perché sono diventate un servizio ai lettori per orientarsi nell’acquisto.
A mio avviso, bisogna prima di tutto distinguere tra situazioni davvero problematiche e altre che invece rientrano in una normalità accettabile. Da un certo punto di vista è vero infatti che sul Washington Post si è generalizzato: non tutti i giochi arrivano alle testate con poco anticipo, non rendono quindi il lavoro del recensore problematico.
Esistono casi reali in cui il codice per la stampa arriva con settimane di anticipo, come ad esempio accaduto per Death Stranding o The Last of Us 2. È noto che in entrambi i casi si sia avuto un tempo uguale o superiore ai 20 giorni per giocare e valutare il titolo. Chiaramente anche con così tanto anticipo non si può avere un’esperienza paragonabile al giocatore della domenica, che magari spalmerà le 30 ore di gioco su più mesi. Tuttavia in situazioni di questo tipo il lavoro del critico non è affatto frettoloso o frenetico. Si ha tutto il tempo di giocare con calma, di lasciar sedimentare l’esperienza e poi gettarsi nell’analisi dell’opera.
Critici o megafoni?
D’altro canto, ci sono molti casi in cui effettivamente il tempo è poco e si è costretti a ritmi di lavoro al limite del disumano. Perché questi tempi stretti? Perché bisogna stare sempre al passo con il treno dell’hype. Si deve uscire allo scadere dell’embargo, pena la perdita di visibilità sui motori di ricerca. L’algoritmo comanda, la SEO è sovrana. La critica si asservisce troppo spesso a dinamiche economiche che la sfigurano fino a renderla uno strumento di marketing nelle mani dei publisher. Motivo che porta grosse fette dell’utenza ad allontanarsi dalla stampa di settore.
Ritmi di lavoro al limite del disumano
La risposta a questa problematica, che ha implicazioni anche riguardo l’etica del lavoro, dovrebbe arrivare dai caporedattori. Dovrebbe essere applicato a monte un filtro, che vada a scoraggiare i publisher dall’inviare i codici stampa troppo a ridosso degli embarghi.
Tra i compiti del caporedattore c'è anche quello di garantire la salute dei suoi redattori
Bisognerebbe forse fare fronte comune, boicottando nell’unico modo possibile quelle produzioni che costringono la critica a un lavoro disdicevole. Ossia semplicemente rifiutando di lavorare di fretta, rinunciando all’uscita all’embargo, e imponendo che la critica rispetti dei tempi critici. Si dovrebbe, se non fossimo tutti tanto impegnati a rubarci il pubblico per un po’ di spazio pubblicitario da vendere.
Servirebbe forse più trasparenza nei confronti dei lettori sul funzionamento delle dinamiche dietro le quinte. Del resto, sarebbe più semplice spiegare a un pubblico informato perché le recensioni di Far Cry 6 arrivano giorni dopo l’uscita del gioco. A quel punto si potrebbe tramettere l’idea che la colpa è di un publisher irrispettoso. Non solo la colpa del ritardo delle review, ma anche quella di costringere gli organi di stampa a un’analisi frettolosa e lavorativamente malsana. Probabilmente questa sarebbe la risposta migliore a un sistema che vede i siti di critica videoludica ridotti a megafono del marketing, diventati vetrine di prodotti. E in fondo non sarebbe neanche così difficile, se si cominciasse a dialogare di più. Tra testate diverse, certo, ma anche tra specializzati e pubblico dei videogiocatori.
Le recensioni servono?
L'idea che le recensioni debbano essere oggettive per guidare gli acquirenti è molto diffusa
L’altro argomento interessante nato attorno all’articolo del Washington Post si palesa soprattutto nelle parole di Cinefra. Le recensioni sono ormai un servizio fatto ai lettori, che le utilizzano nei giorni successivi all’uscita per stabilire se un prodotto vale o meno i soldi del biglietto. Potremmo cercare di capire il perché la situazione sia diventata così drammatica, ma non è questo il punto del discorso.
L’analisi che i siti fanno di un videogioco in uscita si riduce troppo spesso a una ricerca dell’obiettività per spiegare in modo semplice la natura del prodotto. Obiettività che molto spesso viene invocata da un pubblico impreparato, che andrebbe educato al giudizio critico: soggettivo e personale per sua stessa natura. Per rispondere quindi a delle esigenze fondamentalmente errate, si finisce per produrre testi scritti che si riducono a un esercizio stilistico, per il lettore un salto ad ostacoli verso il box finale, purtroppo spesso unico elemento di interesse.
Il giudizio critico è soggettivo e personale per sua stessa natura
Perché bisogna prenderne atto, sfortunatamente esiste anche questo aspetto: molto spesso parliamo a un pubblico che non vuole leggere, cerca direttamente il voto. Chi legge vuole farsi un’idea dell’opera nel modo più veloce e meno faticoso possibile. Per cui basta un trailer di un paio di minuti per valutare, poi si va dritti al numerino in fondo al testo, al massimo si leggono i pro e i contro. Di nuovo, non è qui che voglio chiedermi di chi sia la colpa, anche se è chiaro che il pubblico si abitua a ciò che gli viene offerto. Ciò che mi chiedo è invece: qual è l’utilità? Se quella che dovrebbe essere critica videoludica, nella massima espressione del suo essere, non viene letta, a cosa serve farla?
Quali soluzioni possibili?
Non penso che la soluzione sia togliere i voti dalle recensioni, che pure sono un sistema problematico. A mio avviso esistono invece due possibili approcci per cambiare le cose in direzione di una critica migliore.
Una possibilità è quella di disinnescare un certo modo di fare critica, alla ricerca della piatta oggettività. Piuttosto bisognerebbe scrivere le recensioni con un approccio molto più soggettivo e intimo, che vada a mostrare al lettore il rapporto tra recensore e opera, offrendo spunti nuovi alla fruizione del gioco. Così si andrebbe a creare un’offerta critica davvero variegata, che mostri al pubblico la personalità del giudizio e dell’esperienza dei singoli critici. Dando così anche un senso all’esistenza di tante testate diverse, che allo stato attuale troppo spesso si fanno eco a vicenda, con recensioni che risuonano sempre troppo in armonia.
L’altra possibilità che potrebbe scuotere il rapporto tra pubblico e critica è di svalutare totalmente la recensione in quanto tale. Si potrebbe insomma trasformare questo tipo di contenuti in brevi valutazioni di ciò che effettivamente il gioco offre, i pro e i contro e il voto finale. Ossia ciò che purtroppo continua a interessare a grosse fette di pubblico. A quel punto si potrebbero spostare le analisi critiche in altri spazi, approfonditi e personali, dove reindirizzare il lettore per fornirgli una visione costruttiva, un po’ come suggerito nell’articolo di Videogamer. In questo modo si andrebbe a soddisfare comunque il pubblico più superficiale, cercando di indirizzarlo verso un modo di affrontare l’opera davvero critico, al contempo accontentando anche il pubblico di per sé interessato a quel tipo di analisi.
Per mettere in atto una di queste possibili soluzioni occorre il coraggio di scommettere su una struttura non collaudata. Detto che esistono già alcune realtà editoriali che spingono i propri autori a mostrare la propria soggettività in fase di analisi, abbandonando l’idea di recensione come guida all’acquisto.
Formare il pubblico affinché si costruisca un proprio senso critico
In ogni caso, penso sia necessario cambiare il modo di raccontare i videogiochi. Bisogna disincentivare l’idea che la valutazione abbia qualcosa di oggettivo, e formare il pubblico affinché si costruisca un proprio senso critico. La recensione non deve essere un parere scolpito nella roccia a cui il videogiocatore deve aggrapparsi alla cieca. Deve invece fornire al pubblico gli strumenti per analizzare gli elementi ludici e non che compongono l’opera, mostrando un punto di vista soggettivo che può venire completato da tanti altri diversi.
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