I First Person Shooter (brevemente FPS)sono uno dei sottogeneri più giocati. La storia di questa categoria di prodotti si dipana per 50 anni e segue di pari passo l’evoluzione del medium videoludico. Anzi, è grazie a loro se abbiamo avuto alcune migliorie lungo questi anni. Basti pensare all’introduzione delle schede grafiche, in quanto sono stati promotori della grafica 3D.
Ma è anche facile perdersi tra i vari titoli che hanno segnato questo mezzo secolo. Doom, Wolfenstein, e Quake sono solo alcuni titoli che hanno accompagnato due generazioni di videogiocatori, sapendo connettere varie persone nel mondo attraverso anche la modalità multiplayer.
Nonostante gli FPS siano spesso titoli molto giocati, in pochi ne conoscono la storia e sono in grado di darne una definizione precisa. In quanti sanno descrivere come si sia arrivati agli FPS odierni? E in quanti sanno che Portal in realtà non appartiene a questa categoria?
I First Person Shooter, o FPS, sono un sottogenere degli sparatutto caratterizzati da una visuale soggettiva in prima persona con una prospettiva tridimensionale. In altre parole, il giocatore ha la stessa visuale che avrebbe se incarnasse il personaggio giocante, contribuendo così a creare un forte senso di immersione nel gameplay.
La telecamera non è quindi posizionata dietro alle spalle del personaggio che si interpreta, come accade invece nei TPS. Per quanto riguarda il gameplay possiamo brevemente dire che le tematiche sono affini a quelle dei normali sparattutto, quindi affronteremo principalmente mostri o esseri umani.
Caratteristiche e gameplay degli FPS
Come detto in precedenza, la caratteristica principale degli First Person Shooter è la telecamera. E’ collocata in modo tale che si possa vedere attraverso gli occhi del personaggio giocante. Altre caratteristiche di questo genere sono la presenza di un HUD (Heads Up Display), il cui scopo è quello di dare informazioni al giocatore. Grazie a questa componente è possibile sapere la salute del protagonista, l’armatura rimasta e il tipo di arma che si utilizza con le munizioni a disposizione.
A schermo è possibile vedere il mirino che utilizza un punto a schermo. Ciò è dovuto per far capire al giocatore la traiettoria dei proiettili e dove si sta mirando con l’arma. Nel corso del tempo, oltre a punto a schermo, si è introdotta la mira ravvicinata (aim down sight), ovvero la mira attraverso il mirino montato sull’arma. Il gameplay invece si contraddistingue come uno sparatutto.
Durante i primi FPS l’idea di base è di sparare a tutto ciò che si muove a schermo, cosa che cambia negli anni a venire con l’introduzione di NPC amici. L’azione mostrata su schermo è nella maggior parte dei prodotti veloce e frenetica in modo tale che il giocatore segua in maniera costante l’azione.
Esempi di FPS
Esistono molti giochi facente parte di questa categoria e molti sono dei veri e propri classici del genere, che andremo ad approfondire durante questo speciale. Tra i vari giochi che possono essere presi come esempi troviamo Doom che può essere considerato insieme a Wolfenstein 3D il capostipite del genere.
Il gioco infatti presenta tutte le caratteristiche riportate sopra, tranne per la mira ravvicinata, e propone un’azione frenetica. Quake è un altro esempio di FPS ed inoltre introduce la combinazione mouse e tastiera nei videogiochi, portando ad una evoluzione degli First Person Shooter. Altro esempio di FPS dei nostri giorni sono Call of Duty e Battlefield che rispecchiano tutte le caratteristiche citate sopra.
Storia degli FPS
Dagli inizi fino a Wolfstein 3D
Il punto zero, o Bing Bang, di questo genere risale all’anno 1973. Al Nasa Ames Research Facility, si sta studiando la vettorialità nell’ambiente grafico. Ossia costruire ambienti tridimensionali. Il pionere del 3D è Steve Colley, futuro presidente di nCUbe, società che svilupperà i primi prototipi di computer per il calcolo parallelo pochi anni dopo.
Colley progettò un prototipo di videogioco per poter esplorare dei labirinti con visuale in prima persona in un ambiente 3D, ma presto risultò noioso. Così alcuni suoi colleghi presero il progetto e implementarono dei nemici e un primo sistema di multiplayer. I nemici, che erano altri giocatori reali, non sono altri che un bulbo oculare (una versione del Cacodemone 1.0). Sparandogli si guadagnava punti, e a fine round chi aveva guadagnato più punti, vinceva. Era quindi nato il primo FPS della storia: Maze Wars .
Il gioco fu un vero passo in avanti e fu il secondo videogioco creato, dato che all’epoca esisteva solo Pong, e divenne un successo tra i ricercatori del Nasa Ames e del Massasuchets Institute Technology, che aiutavano i primi nelle ricerche. Si pensi che il videogioco venne vietato data l’elevata quantità di calcolo richiesta.
Altra cosa interessante per quanto riguarda il videogioco è che fu il primo gioco ad avere un server dedicato con sistema Client-Server, tecnologia che utilizziamo negli sparatutto odierni. Nel 1974, quando GregThompson, futuro ingegnere della Cisco, tornò al MIT dopo aver lavorato per ArpaNet, costruì un server dedicato solamente per Maze, in modo da non caricare troppo il mainframe dell’università.
Questo è il primo gioco riconosciuto come capostipite del genere FPS.
Spasim
Maze non uscì mai dagli ambienti universitari. Il precursore degli FPS rimase negli hard-disk dei PC del MIT e ci rimase per molto tempo. Inoltre per quanto le date siano corrette, si presuppone che Maze sia stato sviluppato anche prima degli anni 70, e solo nel 73 vide il boom fra gli studenti del college americano. Bisogna aspettare il 1974 per vedere il primo FPS commercializzato. In quel anno, uno studente dell’Università degli Illinois, Jim Browery, creò il suo videogioco.
Durante una lezione in cui assistette alle capacità di modellazione dei sistemi PLATO, Browery ebbe l’idea di sviluppare un prodotto basato su Star Trek, di cui era un grande appassionato.
Spasim, acronimo di Space Simulation, è un FPS di ambientazione spaziale in cui si impersona il pilota di una navicella. Il gioco supporta un multiplayer da 32 giocatori, ed ebbe due versioni di gioco. La prima si focalizza solo sui combattimenti. La seconda, che uscì mesi dopo la prima, introduce anche una parte gestionale. Gruppi di giocatori si contendevano i pianeti degli avversari. Il prodotto, inoltre, aveva anche una componente educativa.
Nel brifieng delle missioni, gli obbiettivi vengono assegnati attraverso le coordinate cartesianee polari. Lo scopo educativo era di insegnare la trigonometria. Essendo fiero della sua creatura, Browery promosse una strana iniziativa. Chiunque fosse riuscito a dimostrare di possedere un FPS pubblicato prima del suo, al vincitore venivano promessi 300 $.
Chi invece avesse programmato un gioco prima di lui, 500$. Questa controversia, genera in alcuni scritti la datazione di Maze Wars post Spasism.
Catacomb 3-D e l’era pre Wolfstein
Dal 74 fino agli inizi degli anni 90, si ricorda un unico FPS Battlezone. Il prodotto era un simulatore di carri armati sviluppato per l’Atari 2600 che riproponeva battaglie in grafica vettoriale, come Maze. Inoltre, essendo l’unico titolo che copre un arco di tempo che va dal 1980 al 1992, venne sviluppato anche per gli altri sistemi esistenti dell’epoca.
Il perché gli FPS erano così pochi nell’arco di venti anni era presto detto. Richiedevano una forte skill di programmazione ed inoltre a livello di risorse per la macchina era oneroso. Soprattutto in questi anni si iniziava a sperimentare il 3-D in ambito accademico per scopi militari. Bisogna arrivare quindi al 1991.
Un allora giovane e sconosciuto John Carmack, insieme a John Romero, vennero assunti dalla Softdisk come programmatori. Il team, in cui vennero allocati i due Junior, aveva un contratto con Gamer’s Edge per la pubblicazione di alcuni giochi. Carmack negli anni 1991-1992 fece uscire due giochi che pongono le basi per lo sparti acque tra l’epoca preistorica a quella di Wolfstein 3-D: Hovertank 3D e Catacomb 3-D.
Il primo gioco era una sperimentazione da parte di Carmack. Era uno sparatutto su binari, in prima persona, che ponena la prima pietra sull’engine di Wolfstein. L’algoritmo utilizzato per la creazione degli ambienti, avveniva in maniera procedurale. Molto semplicemente l’ambiente veniva generato nel momento in cui il giocatore guardava una porzione della mappa. Grazie a questo artificio, Carmack sviluppò un motore simil 3-D, e non oneroso in termini di risorse.
Catacomb 3-D invece venne sviluppato dal solo dal Carmack e fu la prova di cosa fosse capace. Introdusse varie novità come l‘HUD, che mostrava il volto del protagonista e la relativa salute. Di fronte allo sguardo del protagonista, c’è una mano che a seconda della magia che utilizza, ha una sua animazione. Post Catacomb Carmack, insieme a Romero decise di abbandonare SoftDisk e di diventare degli sviluppatori indipendenti, fondando ID Software.
Wolfenstein 3-D: inizia l’era degli FPS
Corre l’anno 1992, Carmack e soci sono al lavoro su un nuovo gioco. La loro idea è quella di acquisire il brand di Wolfenstein, allora appartenente alla Muse Software e farci un gioco totalmente diverso. Avendo avuto esperienze con Hovertank e Catacombs, e creato un nuovo motore grafico, crearono lo sparatutto Wolfestein 3D. La trama è molto semplice. Si impersona il soldato William “B.J.” Joseph Blazkowicz, che deve farsi strada nel castello che dà il nome al titolo.
Imprigionato e con un solo coltello dalla sua parte, dovrà farsi strada per guadagnare la libertà e affrontare come boss finale un Hitler in versione robotizzata. I livelli hanno la struttura a labirinto, rimanendo ancora ancorati al level design di Maze Wars. Il 3D che dà il nome al titolo è un falso 3D.
Infatti i livelli non hanno piani rialzati o scale, rimanendo sempre su un piano. Inoltre i nemici non hanno poligoni, ma sono delle immagini bitmap animate. Questi trucchi servivano per dare una sensazione delle tridimensionalità della mappa, utilizzando meno risorse lato macchina.
Wolfenstein viene annoverato come il primo FPS della storia, il perché è presto detto. E’ il primo prodotto di questo genere che viene commercializzato su larga scala e che viene preso come esempio di cosa sia un FPS. Infatti l’azione frenetica, insieme al dover sparare tutto ciò che si muove su schermo, gettano le prime basi sulla definizione di questa categoria.
Inoltre il gioco vanta anche le prime animazioni della storia. I soldati muoiono e cadono a terra, mentre prima i corpi scomparivano in una nuvola di polvere o con effetti di esplosioni. Quando si spara con la pistola, c’è un animazione per il rinculo dell’arma. Oltre a ciò i nemici fanno cadere gli oggetti necessari per il proseguimento dell’avventura o nuove armi.
Altra novità importante del prodotto è che introduce la formula dello shareware. In pratica i software con questa tipologia di distribuzione, fanno provare il prodotto fino ad un certo livello, molte volte si gioca tutto il primo episodio, per poi acquistare il prodotto utilizzando una connessione ad internet o chiamando un numero di telefono per poter acquistare il prodotto.
Qualche mese dopo, venne realizzato un prequel di Wolfstein: Spear of Destiny. Il gioco segue sempre le avventure del soldato Blazkowicz, ma ambientate mesi prima degli avvenimenti del suo predecessore.
Doom: la condanna degli FPS
Post Wolfenstein, la ID software capitanata da Carmack, si scinde da Apogee Software suo publisher e costruisce uno studio proprio in Texas. Con queste premesse e senza vincoli, possono dare via libera alla loro creatività. Un anno dopo a Wolfenstein, il 10 dicembre 1993 esce Doom. E il gioco consacra il genere FPS nel panorama videoludico.
Originariamente il gioco uscì su MS-DOS e vantava la bellezza di 2 Floppy Disk per essere installato, che all’epoca era come avere due blue-ray. Per la realizzazione Carmack propose come contesto quella della “tecnologia contro i demoni”. Gli altri membri del team, invece, quello di acquisire i diritti del film di Aliens, e farci un videogioco. La seconda idea venne scartata in quanto la Fox propose un prezzo troppo elevato.
Quindi si prese l’idea di Carmack mischiandola sia con elementi di Alien sia con elementi del film di Sam Raimi, La Casa. Del primo si prese l’idea di ambientare il gioco su Marte all’interno di una corporazione, che nel mondo di Doom prende il nome di UAC. Della seconda, invece, le armi che il protagonista utilizzava per far fronte alle orde di non morti. Quindi le armi distintive del gioco come lo shotgun e la motosega venivano ripresi dal film con protagonista Ash Williams.
La trama, è ridotta al minimo indispensabile. Si impersona un marine senza nome, chiamato Doomguy dai fan, che diserta la UAC e viene mandato su Marte ai lavori forzati. Al suo arrivo, durante un esperimento sui portali da parte degli scienziati della struttura, si apre un varco per l’inferno in cui escono orde di demoni. Compito del soldato è quello di fermare l’avanzata demoniaca.
Doom e l’evoluzione degli sparatutto
Il gioco fu una vera è propria rivoluzione per molti fattori. Prima di tutto fu il primo ad utilizzare le texture. Attraverso una tecnica ibrida del caricamento di questi oggetti in fase di lancio del gioco e a runtime, si aveva una definizione degli ambienti più dettagliati. Ciò significava che il motore di gioco era ancora molto più leggero di quello usato di Wolfstein 3D. Inoltre per simulare le texture di finestre e superfici vetrose, si utilizzavano delle texture invisibili.
Doom introduce inoltre l’illuminazione dinamica. L’intensità e l’effetto venivano calcolate a runtime, mentre per molti giochi queste erano immagini statiche. Il motore in pratica, all’entrata di una stanza, caricava le informazioni delle fonti di luce e ne calcolava lo spettro. Altra cosa importante fu la verticalità.
Come detto in precedenza, fino a Wolfstein i livelli si sviluppavano solo su un piano, non avendo rialzi di sorta. Per dirla in termini matematici, i livelli si sviluppavano su un unico piano cartesiano, la X . In Doom è introdotta una coordinata Y che rappresenta l’altezza. O meglio il gioco simulava l’altezza in quanto era un trucco grafico per poter introdurre le scale e i piani rialzati.
Ma le novità non sono solo sul piano tecnologico, quanto anche su quello del gameplay. Il gioco è un FPS frenetico e brutale. Non c’é tempo di pensare, si deve solo sparare a tutto ciò che si muove. Unito a ciò, Carmack inserì il multiplayer con una novità assoluta, il deathmatch.
Altra cosa fondamentale, che diede lustro al gioco e al panorama fu quello di introdurre il modding. Molti programmatori infatti, daranno il loro contributo per poter creare livelli e mappe multiplayer del gioco.
Modding, il piacere della modifica
Il modding in Doom risultò essere una delle componenti fondamentali per il successo del gioco e del genere. Questa feature fu voluta fortemente da Carmack e compagni, mentre i produttori avevano paura che una caratteristica simile avrebbe portato ad una contraffazione più facile del prodotto. Per ovviare al problema, i programmatori optarono per la creazione di un nuovo tipo di file i WAD, acronimo di Where is all the data, che non esponeva codice sorgente.
Attraverso un tool rilasciato dalla stessa Id Software, era possibile creare i propri livelli personalizzati. Una volta conclusosi il processo, i file venivano compressi e salvati con l’estensione sopra citata. Ciò garantiva la protezione del codice in caso di reverse engigneering.
Nel 1997 Carmack rilasciò il codice sorgente del gioco, e diede una gran spinta alla comunità dei modder (tutt’ora ancora attiva). Grazie a questa mossa, fu possibile creare delle total conversion del gioco o migliorare ancora di più il gioco. Ad oggi il modding di Doom viene semplificato grazie ad alcuni tools come per esempio GZDoom e simili.
Il post terremoto di Doom
Dopo Doom l’intera scena dei videogiochi cambia e il genere FPS diventa un genere che da nicchia passa ad una distribuzione di massa. Sempre più gente vuole giocare a molti altri giochi simil Doom. E con l’avvento della creatura di ID, si conia un nuovo termine: “Doom-Clone”. Ogni gioco che non fa parte del franchise ed è un FPS, è etichettato con questa nomenclatura. Inoltre il successo di Doom è così alto che all’uscita di Windows 95, erano più i dischi del gioco che non quello del sistema operativo che venivano venduti o piratati.
Per ovviare al problema, Microsoft diede supporto a Id Software per la creazione di un porting su Windows, stipulando una partneship. I ragazzi di Redmond avrebbero dato supporto alla creazione del gioco sul nuovo sistema operativo dando libero accesso alla documentazione nativa della nuova tecnologia proprietaria per l’accelerazione grafica, le DirectX. Microsoft spinse molto su questa partneship tanto da creare uno spot in cui il Doomguy è impersonato da Bill Gates.
Non passa nemmeno un anno che ID Software propose il seguito di Doom; Doom II Hell on Earth uscito nel settembre del 94. Il gioco riprende da dove finiva il predecessore. Il Doom Guy, questa volta veniva risvegliato dal suo sonno, dopo aver sconfitto il Mastermind, nel precedente capitolo, per fermare l’ennesima invasione dei demoni, ma stavolta sulla Terra. Il gioco non portava grosse novità nel genere, ma riscosse lo stesso un successo stratosferico.
Ma come abbiamo detto, post Doom la concorrenza non è stata a guardare ed iniziarono a copiare il prodotto di Carmack. Ecco che nel periodo degli anni 93-97 escono i vari “Doom-Clones”. Tra questi annoveriamo titoli ben riusciti come: Blood, Rise of Triad, Hexen, Heretic.
It’s time to kick ass and chew bubble gum.
Dopo l’uscita di Id Software dalla propria ala protettrice e il terremoto di Doom, Apogee Software creò due divisione interne di sviluppo, 3D Realms e Pinball Wizards. Queste due software house erano state messe a creare nel biennio del 92/94 platform a scorrimento e sparatutto. Questi due generi però, dopo l’uscita di Doom e l’avanzamento tecnologico, stavano pian piano sparendo.
A 3D Realms venne dato l’incarico di creare un FPS che potesse competere contro Doom, quindi nel 1994 esce Rise of Triad. Per quanti molti possano affermare che il gioco prenda riferimento Wolfstein 3D, in verità si rifà a Doom, dato l’anno di uscita. La trama parla di un gruppo militare chiamato HUNT (acronimo di High-Risk United Nation Task-Force) che va a caccia di nazisti in giro per il mondo. Il prodotto riscosse un tiepido successo
GeorgeBroussard, allora direttore di Apogee Software ebbe un’idea. Quella di prendere un personaggio storico del loro studio e trasportarlo nel mondo degli FPS. Da qui nacque l’idea di Duke Nukem 3D. Il protagonista venne creato volutamente rozzo, volgare e completamente fuori dagli schemi, per poter rincorrere i personaggi hollywoodiani dell’epoca.
Infatti per la figura di Duke si prese il coraggio di Ash Williams, protagonista della Casa, i bicipiti di Arnold Schwarzenegger e la parlantina di Rowdy Roddy Piper (l’allora famoso wrestler della WWF). Come si può notare questo è il primo esempio di come un videogioco stesse cercando di inseguire l’industria cinematografica.
Tuttavia, laddove nei titoli moderni la si insegue attraverso una trama e scelte registiche, in questi primi anni la si inseguiva attraverso l’emulazione di personaggi dello Star System.
Le novità che porta il gioco sono minori, ma sono importanti per gli anni a venire. Per la prima volta il protagonista parla, creando il primo protagonista non muto della storia dei videogiochi. Alcune armi hanno la modalità Akimbo, il Duca può utilizzare due armi della stessa tipologia. Il gioco ha un’alta interattività con l’ambiente circostante, cosa che all’epoca era abbastanza impensabile.
Ciò porterà molti Doom-Clones post Duke Nukem ad avere il level design e l’azione frenetica di Doom, con le varie migliorie apportate da Duke Nukem. Di Duke Nukem 3D venne anche pensato un seguito, Duke Nukem Forever, ma Apogee Software fallì nel 1998.
Il progetto venne passato tra le mani di vari publisher, fino ad arrivare nel 2011 sotto gli sviluppatori di Gearbox. La gestazione lunga, unita all’uscita di un videogioco ancorato agli anni 90 e pieno di bug, decretarono la morte del Duca.
Quake e il secondo terremoto di Id Software
Duke Nukem per quanto avesse apportato novità nel panorama degli FPS, non riuscì a spodestare Doom dal suo trono. Molti giochi rimanevano ancorati a quel 2.5 D e ci voleva un’ulteriore rivoluzione nel panorama per poter continuare ad innovare e spodestare il re. In quegli anni intanto si sviluppavano le prime schede video dedicate. Fino al 1987 la grafica veniva calcolata attraverso la CPU e poi mandata attraverso il monitor.
Ad inizio anni 90, invece erano montate delle semplici VGA (Video Graphic Arrays), semplicemente un chip montato sulla CPU. Il funzionamento di questo componente era semplice quanto spartano. Il componente memorizzava una matrice di punti (i pixel), alla CPU spettava il compito di gestire questi punti e proiettarli su schermo.
Con il progresso tecnologico ormai questa soluzione non era più fattibile ed iniziarono ad uscire nel 1997, le prime GPU (Graphic Processor Unit). Le moderne schede video che conosciamo. Grazie a questi nuovi processori, il calcolo non era più a carico della CPU ma demandato alle nuove schede, consentendo di smaltire operazioni di calcolo.
Id Software, durante questo tempo non era rimasta con le mani in mano e stava iniziando a fiutare il cambiamento nell’aria. Grazie alle GPU, era possibile rappresentare finalmente il vero 3D, senza ricorrere a trucchi. Il 22 giugno 1996 sui PC esce Quake ed è una seconda rivoluzione della categoria.
Come abbiamo detto in precedenza il gioco è realizzato con un vero 3D. Addio texture, benvenuti poligoni. Grazie alle librerie OpenGL e DirectX poi, Carmack e soci poterono finalmente sbizzarrirsi con la grafica. La natura gotica del titolo era stata voluta proprio per poter rappresentare la verticalità e dimostrare che non esisteva nessun trucco lato programmazione.
Con il Quake Engine (nome del motore grafico), venne introdotto, in maniera silenziosa, un nuovo standard per fare giochi. Ma non solo per motivi tecnici viene ricordato.
Dove Doom introdusse per la prima volta il multiplayer, ma in locale, Quake lo supera. Il prodotto introduce per la prima volta il multiplayer attraverso internet, introducendo inoltre le modalità del Deathmatch a squadre e Capture the Flag. Anche se il boom del multiplayer si ha un anno dopo con il sequel Quake II. Inoltre fu il primo gioco ad introdurre l’accoppiata mouse e tastiera.
Il successo che ebbe il multiplayer di Quake II, fece in modo che si stagliasse all’orizzonte un nuovo genere e un nuovo modo di giocare gli FPS.
FPS Arena: l’era di Quake e Unreal
Come un ciclo che si ripete, anche questa volta ID Software con Quake salì sulla cattedra e insegnò ai rivali come si facessero gli FPS. Inoltre con l’uscita di Quake venne abbandonata la dicitura di Doom Clones, per abbracciare quella di First Person Shooter. Bollata questa etichetta, altri concorrenti inseguirono Id Software per arrivare ad avere il successo sperato.
Inoltre, Carmack ebbe la brillante idea di vendere il motore grafico di Quake, per uso commerciale. Ciò creò una valanga di soldi per ID, in quanto il motore veniva comprato dalla maggior parte dei i suoi rivali, e gli introiti venivano sia da parte delle copie di gioco, sia dai contratti per l’utilizzo del motore grafico.
Ciò creò un nuovo mercato all’interno dell’industria sulla compravendita di motori grafici. Nel 1998, con l’uscita di Quake II, si affacciò sul mercato un nuovo studio, Epic Games. Lo studio capì la mossa commerciale da parte di Id Software e si intromise nel mercato sempre più fiorente dei motori grafici.
Il 22 maggio 1998, cinque mesi dopo l’uscita del sequel di Quake, Epic fa la sua mossa facendo uscire Unreal. Il gioco riscosse un notevole successo tanto da dare modo di vendere il motore grafico del gioco, l’Unreal Engine ai concorrenti. Tra i vari giochi che usano l’engine troviamo Deus-Ex.
Da una posizione di egemonia, ID Software si trovava tallonata da una software house allora sconosciuta. La partita quindi, si sarebbe sviluppata su altri lidi. Come detto prima, grazie al multiplayer su internet, i giocatori macinavano ore su ore sul proprio FPS preferito.
Quake e Unreal dominavano incontrastati nel 1998 e i due prodotti vennero evoluti l’anno dopo. Nel 1999 Id ed Epic si sfidano a suon di Multiplayer rilasciando Quake 3 Arena e Unreal Tournament. Questa mossa crea un ulteriore terremoto creando un sotto ramo degli FPS, gli FPS Arena.
Questo genere è prevalentemente pensato per essere usufruito in multiplayer. I giocatori vengono immessi all’interno di un’arena e lo scopo ultimo è quello di fare più punti dell’avversario. Inoltre per aiutare i giocatori, vengono messi a disposizioni all’interno dell’area di gioco, armi più potenti e potenziamenti (come ad esempio il moltiplicatore di danno).
L’azione è frenetica, non c’è tempo per pensare se non la frazione di secondo per coordinare vista e dito del grilletto. Per quasi 10 anni questo genere dominerà la scena, ma nel 2007 con l’entrata di Call of Duty: Modern Warfare, il genere morirà.
Half-Life: due vite e mezzo non bastano
Mentre Epic e Id si battagliavano a suoni di frag, in silenzio una software house, fondata nel 1996, il cui nome corrisponde a Valve Software, fece uscire nel 1998 il suo primo gioco: Half-Life. Half-Life è un FPS che fa uso del motore grafico GoldSrc, versione pesantemente modificata del Quake Engine II. La storia narra di un fisico teorico Gordon Freeman, al suo primo giorno di lavoro nel complesso di Black-Mesa. Durante un esperimento, con un cristallo di origine sconosciuta, si attiva una cascata di risonanza che attiva vari portali verso un pianeta sconosciuto. Scopo di Freeman è quello di salvare la pelle e chiudere il portale che ha dato via all’invasione aliena, sotto lo sguardo vigile di un uomo con la valigetta, un certo G-Man, che osserva da lontano i progressi del giocatore. Possiamo notare come Half-Life sia il primo gioco ad essere chiamato FPS e non più Doom-Clone.
Half-Life diede un enorme contributo alla categoria degli FPS per due motivi. Il primo è di come la storia viene raccontata, la seconda del grande uso che gli sviluppatori hanno fatto del GoldSrc. La storia, oltre ad essere articolata rispetto al solito “Energumeno contro il mondo” che era presente in tutti gli FPS, è raccontata in maniera differente.
Niente scene di intermezzo, la storia è narrata attraverso gli occhi di Freeman e in un flusso continuo, senza interruzioni. La trama ruota intorno al protagonista e non è solo un banale pretesto per calare il giocatore in un turbine di sangue e violenza.
Inoltre prende l’interattività degli ambienti da DukeNukem3D elevandola all’ennesima potenza. Infatti ci sono un sacco di enigmi ambientali che si risolvono interagendo con gli oggetti che fanno sfondo allo scenario.
In secondo luogo, Valve rilasciò un tool completo per il modding. Grazie alla potenza del suo motore grafico molti si cimentarono nel creare delle conversioni totali del prodotto. Molti giochi che ancora oggi giochiamo come titoli a se stanti, nascono come mod di Half Life. Tra le più importanti citiamo: Team Fortress, Day of Deafeat e Counter-Strike.
Il gioco ebbe un seguito Half-Life 2, uscito nel 2004. La storia riprende dopo gli eventi del predecessore. Gordon Freeman, messo in stasi dal G-Man dopo aver sconfitto Nihilanth, l’alieno che teneva aperto i portali a Black Mesa, viene risvegliato per un nuovo lavoro. Il mondo è cambiato e la razza aliena Combine, dopo gli eventi di Half-Life ha invaso la Terra dichiarandosi “salvatori dell’umanità“. Spetta sempre al nostro eroe di porre rimedio all’invasione aliena. Il gioco, oltre ad introdurre una nuova veste grafica, introduce un’arma che è entrata nell’iconografia dei videogiochi: la “Gravity-Gun“. Questa arma rivoluziona totalmente il gameplay, dato che si basa sulla fisica del gioco. E’ possibile prendere gli oggetti circostanti e spararli come se fossero proiettili, creando soluzione alternative durante i combattimenti.
Il successo di questa “portatrice di morte” fece fare un ulteriore passo in avanti agli sparatutto e ai videogiochi in generale, facendo vedere come la fisica potesse essere usata come soluzione di gameplay. Da questo punto in poi, infatti, viene dato maggior risalto alla fisica in generale ed è grazie ad Half-Life 2 che possiamo vedere la nascita dei motori fisici come Havok e simili.
Gli FPS su console
Mentre l’FPS cresceva sempre di più sul mercato PC, lo stesso non si poteva dire su quello console. Ci furono vari e timidi tentavi di portare questo genere su console, alcune volte con buoni risultati, in altri casi disastrosi. Il primo FPS ad uscire su console fu Goldneye 007, in esclusiva per Nintendo 64. Tale gioco fu un autentico successo. Grazie anche al pad di Nintendo, era possibile simulare l’accoppiata mouse e tastiera.
Grazie a questo gioco, molti furono i titoli portati sulla grande N. Basti pensare a Doom 64, capitolo apocrifo della saga di Carmack. Ma mentre i port su 64 riscuotevano un successo straordinario, su altri lidi la situazione non era delle più rosee.
Infatti, la prima PlayStation volle a tutti i costi avere nel proprio catalogo gli FPS e fece uscire vari titoli, anzi si premunì di portare Medal of Honor sotto la propria ala protettrice, ma con risultati disastrosi. Tutti gli FPS sulla macchina Sony, da LifeForce Tenka, esclusiva PS, ad Alien Trilogy, soffrivano di un gameplay legnoso e lento.
Il più delle volte, per poter mirare meglio, si doveva premere uno dei tasti dorsali, di norma R1, per far apparire il mirino e prendere la mira. Il risultato era quello di essere in balia dei nemici e di spezzare il ritmo dell’azione. Con l’avvento della PS2 e l’introduzione dell’analogico, si cercò di riportare altri FPS su console, ma il più delle volte erano spin-off di serie di successo, come Call of Duty.
Altre volte invece si è dato il via a saghe che sono durate negli anni. come Killzone, ma il sistema di puntamento risultava sempre legnoso e non soddisfacente. Ciò portava a non voler sviluppare questi prodotti sulle console, ma arrivati ad un certo punto, uno sconosciuto Master Chief portò alla rivoluzione del genere.
Halo: il combattimento evoluto che non ti aspetti
Il 15 novembre del 2001, a ridosso di Natale, esce la prima Xbox, console voluta da Microsoft. Tra i titoli di lancio c’è un gioco sconosciuto, ma che durante gli E3 degli anni precedenti, riscosse un certo successo dalla critica del settore: Halo, sparattutto in prima persona sviluppato da Bungie.
La trama la conoscono tutti. Master Chief è un soldato nato dal progetto Spartan. Tale esperimento serve a creare dei soldati modificati geneticamente per combattere i Convenant, che altri non sono una combinazione di razze aliene che venerano gli Halo, pianeti che ricordano per la conformazione degli anelli.
Obbiettivo del nostro soldato è quello di fermare l’avanzata della congrega nell’attivare questi pianeti, in quanto si scoprirà andando avanti nei vari capitoli della saga, che questi altri non sono che armi di distruzione di massa costruite per bloccare l’avanzata di una specie aliena parassitaria, i Flood. Il gioco riscosse un notevole successo per un semplice fatto: era il primo gioco pensato e nato prettamente per console. Pad alla mano, era facile dimenticarsi dell’accoppiata di mouse e tastiera. Il sistema di puntamento risulta essere meno legnoso rispetto agli altri FPS su console. Oltre a ciò, vennero utilizzate alcune soluzioni di gameplay che verranno letteralmente copiate anche dai prodotti avversari.
Prima di tutto è possibile portare solo due armi con se. Niente più arsenale in un uomo solo, ci si porta dietro lo stretto ed indispensabile. Altra novità è quella della salute rigenerante, o per meglio dire scudi rigeneranti, una volta colpito e terminata la protezione degli scudi, bisogna nascondersi ed aspettare che si ricarichino.
Pena lo svuotamento della barra dei punti ferita in caso di altri colpi e il game over. Queste due soluzioni, unite alla lentezza del personaggio portano ad un gameplay meno frenetico e più ragionato.
Call of Duty e Battlefield: due FPS agli antipodi
Con l’arrivo di Halo e il proseguimento della sua saga attraverso 6 titoli, molti iniziarono a buttarsi nel mercato delle console casalinghe. Tra i vari titoli che hanno avuto la fortuna di ritagliarsi una notevole fetta di mercato, troviamo due titoli Call of Duty e Battlefield.
Due FPS con storia e filosofie totalmente diverse. Tutte e due i brand nascono su PC e seguono storie differenti. Call of Duty nasce come risposta a Medal of Honor. Infatti durante i primi anni 2000, la serie di Medal of Honor, era l’FPS ad ambientazione storica più giocata su PC.
Nel 2003 gli Infinity Ward fecero uscire il primo Call of Duty, FPS ambientato durante il secondo conflitto mondiale. Il gioco ebbe un enorme successo per via della campagna con un taglio cinematografico e per un comparto multiplayer nuovo.
Nel 2002, precisamente il 20 di settembre, invece EA immette nel mercato Battlefield 1942, gioco prevalentemente multiplayer. I giocatori per la prima volta si ritrovano a vivere un conflitto su larga scala utilizzando veicoli come carri armati ed aerei.
Inoltre, per la prima volta per un gioco commerciale, le mappe ospitano 32 giocatori in simultanea, contro lo standard degli 8 giocatori connessi contemporaneamente. Questi due giochi ebbero un successo così strepitoso che andarono pian piano a sostituire gli FPS Arena, decretando la loro morte.
Non solo resero gli FPS un genere molto più popolare e alla portata di tutti. Dove negli FPS Arena a farla da padrone erano tempi di reazione e le abilità del giocatore, con una curva di apprendimento molto ripida, con questi giochi si cercò di abbassarla per poter rendere il prodotto più accessibile. Il risultato fu la morte degli FPS Arena.
La guerra moderna e la nascita dei cloni
I due concorrenti, vedendo le vendite di Halo su Xbox, si buttarono sul mercato delle console. A fare da apripista ci pensò Call of Duty, abbandonando i teatri della seconda guerra mondiale, per abbracciare conflitti fittizi in epoca moderna. Call of Duty: Modern Warfareuscì nel 2008 per PC, Xbox 360 e Playstation 3, decretando la maturità delle console a poter gestire gli FPS senza l’uso di mouse e tastiera, dopo il banco di prova di Halo.
Il gioco ebbe un successo sbalorditivo grazie ad una componente multiplayer stabile e solida. Le uccisioni avvenivano nell’arco di poco tempo, rendendo il multiplayer molto più arcade rispetto ai predecessori o ai suoi concorrenti.
In questo frangente molti competitor iniziano a seguire l’ambientazione della guerra moderna, tanto che assisteremo alla nascita di vari cloni senza anima, tranne per Battlefield. Con l’arrivo di Battlefield 3, Ea ambienta si il gioco in un teatro moderno, ma evolve il suo concetto di guerra globale, portando i giocatori da 32 a 64.
Il doppio rispetto ai propri predecessori. Il gioco ottenne un buon riscontro di critica e di pubblico e si iniziarono a delineare due pubblici differenti. Chi preferiva la serie di Cod molto più arcade e con un gameplay veloce, chi Battlefield per un ritmo più lento e meno coinvolgente. Ma ciò creò un panorama arido negli FPS.
Laddove, durante l’era Doom, i competitor portavano man mano piccole novità per poter accrescere il medium e il genere, durante questi anni che vanno dal 2008 e dal 2014, vediamo solo dei copia ed incolla di Call of Duty. Ciò portò ad una stagnazione del mercato e allo strapotere di Activision.
Titanfall e il ritorno dei simil Arena
Durante questi sei anni escono molti altri giochi. Bioshock attraverso la sua trilogia ci porta a esplorare al di là dell’uomo, Crysis a combattere per l’ennesima volta un’invasione aliena e Far Cry calava gli FPS in un contesto open world.
Ma ormai gli sparattuto in prima persona hanno perso la loro identità, mescolandosi con altri generi. Ormai con l’uscita di un Call of Duty all’anno e le varie rivisitazione del genere, creano un buco nero per gli FPS. Come il leone della savana che ormai vecchio aspetta quello giovane per prendere il posto di capobranco, così gli sparatutto in prima persona, sono in una sorta di stasi, non rinnovando niente più.
Ed è comunque grazie a loro se oggi possiamo usufruire delle schede video e il medium ha conosciuto evoluzioni non indifferente.
Così in sordina esce uno sparatutto dagli ex sviluppatori di Infinite Ward, riunitisi sotto l’etichetta di Eletronic Arts e con un nuovo studio, Respawn Entertaiment. Titanfall approda sugli scaffali di tutto il mondo l’11 marzo 2014.
Il primo titolo delle serie ha la sola componente multiplayer, mentre il seguito, uscito due anni dopo, contiene anche una campagna single player. Il fattore di successo per questo titolo deriva dalla componente multiplayer nuova, ma che strizza l’occhio agli FPS Arena.
Durante la partita è possibile correre sui muri, saltare e scivolare sotto il nemico, scaricando l’intero caricatore dell’arma. In questo modo l’azione è frenetica, senza un attimo di pausa. Inoltre è possibile utilizzare il Titan, mech che possono capovolgere gli esiti della battaglia.
I competitor copiarono spudoratamente il gameplay di Titanfall, tranne per i mech. Un esempio su tutti Call of Duty: Advance Warfare dando luogo a risultati disastrosi. Purtroppo TitanFall non ha avuto altri giochi, con tutto il successo che la saga ha avuto. Facendo così naufragare il suo universo verso nuovi lidi: Apex Legends.
Il Ritorno dei Classici: Doom e Wolfestein
Come se si fosse andati a ritroso, il ritorno di fiamma degli FPS Arena attraverso TitanFall non ha avuto il successo sperato. Quindi si è provato a ritornare alle origini per dare nuova vita al genere. Nei primi anni 2000 Id Software pubblicò Doom 3, e Raven Software sviluppò Quake 4, ma non ottennero un buon riscontro di pubblico.
Per quanto fossero belli, il primo si discostava molto dallo sparatutto per abbracciare la componente horror. Il secondo invece era uno sparatutto fine a se stesso, senza infamia e senza lode. Inoltre l’uscita di Carmack da Id Software, portò una profonda crisi nello studio, reo di non essere più innovatore nel settore.
Così nel 2016, i ragazzi di IdSoftware ritornano alle origini e rilasciano Doom, reboot della saga storica. Il gioco è una vera e propria lettera d’amore al capostipite del genere. L’azione non è più lenta e ponderata, come ha abituato Halo, ma frenetica e al cardiopalma.
Un colpo di doppietta, utilizzare la motosega e saltare su un Imp impalandolo con una lama, il tutto con una fluidità disarmante è una cosa che non si vedeva tutti i giorni. Dato il successo del gioco, uscì il seguito: Doom Eternal. Doom Eternal è una proiezione mentale di “cosa sarebbe stato Doom del 1993 con la tecnologia odierna”.
L’azione e la velocità di gioco è aumentata all’ennesima potenza. Non c’è un attimo di respiro ed eliminare demoni sotto le note di The Only Thing They Fear is You di Mick Gordon rendere l’esperienza appagante.
Wolfenstein il nuovo ordine degli FPS
E come fu precursore Wolfenstein 3D per la nascita degli FPS, così spettò a Wolfenstein: The New Order avviare alla rinascita del genere. Il gioco è un seguito del brand però riscrivendone la storia. L’agente Blazkowicz si ritrova in un mondo in cui i nazisti hanno vinto ed hanno soggiogato l’intero pianeta.
Compito del nostro soldato è quello di restaurare la democrazia a suon di proiettili. Questo nuovo capitolo della saga ha ancora oggi un successo strepitoso, dato sempre al ritorno di un gameplay frenetico e senza soluzione di pausa.
Di Wolfstein uscirono un prequel ed un sequel: Wolfestein: The Old Blood e Wolfenstein:The New Colossus i quali creano una trilogia di Blazkowicz. Nel primo sono riscritti degli avvenimenti raccontati in Return to Castle: Wolfenstein mentre nel secondo scopriamo ancora il nostro soldato intento a liberare il mondo dal pericolo dei nazisti.
FPS e futuro: i Battle Royal
Come abbiamo visto durante tutto lo speciale, ormai gli FPS da innovatori sono diventati inseguitori di innovazioni. I fasti di un tempo non ci sono più e molti prodotti devono inseguire. Con l’uscita di Fortnite e il boom dei Battle Royale, molti First Person Shooter seguirono la strada tracciata dal gioco di Epic Games.
Dopo la prematura morta di Titanfall, EA inisieme a Respawn riesuma il 4 febbraio 2019 il brand per creare Apex Legends. Il gioco è un First Person Shooter Battle Royale. I giocatori vengono calati all’interno di una mappa senza armi ed equipaggiamento.
Durante la partita bisogna trovare le risorse per poter sopravvivere con la propria squadra e rimanere l’unica squadra ancora in piedi. Il gioco offre la stessa esperienza di Titanfall, corsa sui muri, velocità e gunplay frenetico, facendolo diventare uno dei giochi più giocati.
Ovviamente Activision non è stata a guardare e fa uscire il suo prodotto, Call of Duty: Warzone. Il gioco è senza troppi giri di parole, Call of Duty in salsa Battle Royale. Ovviamente arrivati a questo punto avrete notato come la formula dei Battle Royale stia spingendo sempre di più ad una seconda stagnazione del mercato, e con una crisi delle idee senza precedenti, supportata anche dal modello economico di questi giochi.
The best is yet to come
Con questo ultimo paragrafo si chiude lo speciale sulla storia dei First Person Shooter. Come avete potuto vedere il genere copre un arco di 45 anni in cui sono stati artefici dell’evoluzione del medium videoludico.
Senza l’entrata di questa tipologia di gioco forse non avremmo molte tecnologie di oggi, come le schede video o il supporto di mouse e tastiera nei videogiochi.
Per quanto riguarda il futuro degli FPS non sappiamo ancora come si evolverà. Ovviamente il ritorno dei grandi classici ci fa capire che la gente gioca ancora e si diverte con questi prodotti. Oltre al fatto dell’imminente uscita del nuovo Battlefield e del nuovo Call of Duty, segno che i publisher e i dev investono ancora su questi prodotti.
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