Shigeru Miyamoto, creatore di Mario e The Legend of Zelda, si apre in un intervista al The New Yorker, in cui parla dei suoi figli e del loro rapporto con i videogames. La vecchia rivalità tra la grande N e Sega non ha posto in casa Myamoto, però, purché i suoi figli abbiano una relazione sana con i videogiochi.
Le grandi rivalità hanno sempre dato vita alle storie più appassionanti, e più struggenti, della storia. Chi non si è immaginato stretto tra le braccia del proprio Romeo o della propria Giulietta, mentre le due famiglie erano impegnate a darsi battaglia? Chi, almeno una volta nella vita, non si è trovato costretto a scegliere tra Coca Cola e Pepsi?
Da Romolo e Remo alla Guerra Fredda, il mondo si è sempre trovato diviso tra due fazioni, due schieramenti, e due fronti. E quando la battaglia si combatte con in mano dei controller, lo scontro si chiama console war. La console war non è però riuscita ad entrare nel salotto di casa Miyamoto, per fortuna. Il padre di Mario e The Legend of Zelda ha raccontato ai microfoni del The New Yorker che i suoi figli amano i giochi Sega, ma che le console su cui giocano sono sue, e sarebbe poco carino non lasciarli giocare. Una frase che farebbe storcere il naso a tutti quei soggetti impegnati a lanciarsi sassate da una barricata all’altra nella guerra tra Sony e Microsoft. E alla domanda se Shigeru Myamoto fosse geloso o meno dell’affetto che i suoi figli riservavano a Sonic e compagnia bella, lo sviluppatore giapponese ha risposto:“[ride] non sono geloso, questo mi ispira solamente ad impegnarmi sempre di più, cosicché loro preferiscano i giochi che ho fatto io“.– Shigeru Miyamoto
“Ai bambini sembra impossibile smettere di giocare, perché il gioco è troppo divertente – è qualcosa che posso capire e con il quale posso simpatizzare. E’ importante per i genitori giocare ai videogame, perché possano capire perché i figli non possono smettere di giocare finché non raggiungono il prossimo punto di salvataggio. Per quanto riguarda i miei figli, posso considerarmi fortunato dato che hanno sempre avuto una buona relazione con i videogame. Non ho mai dovuto vietargli di giocare o toglierli i videogame”.Ma lo sviluppatore giapponese è stato anche chiaro riguardo a chi appartengano le console e i giochi in casa Miyamoto, dicendo che:
“In casa nostra, tutto l’hardware per i videogame appartiene a me, e i bambini hanno capito che lo stanno solo prendendo in prestito. Se non seguono le regole, capiscono perfettamente che io potrei semplicemente portare via le console“.
“L’elemento interessante dell’intrattenimento interattivo è che permette al giocatore di approcciarsi ad un problema, ideare una soluzione, provare quella soluzione, e infine constatare i risultati. Poi possono tornare alla fase di progettazione, e iniziare a pianificare la prossima mossa. Questo processo di prova ed errori costruisce il mondo interattivo nelle loro menti. Questo è la vera tela su cui disegniamo noi [gli sviluppatori], non lo schermo”.Il mondo virtuale è quindi un luogo in cui il giocatore può pianificare strategie e avere un esperienza diretta, con la tranquillità di poter ricaricare il salvataggio dopo un errore. Un ambiente sicuro, dove mettere alla prova in una palestra mentale il proprio ingegno e le proprie capacità, senza il timore di dover avere a che fare con le conseguenze degli errori. Se non è educativo questo, davvero non so cosa possa esserlo. Shigeru Miyamoto ha poi proseguito parlato della sua idea dei mostri e degli antagonisti, gettando nuova luce sull’idea di odiare indiscriminatamente ogni nemico:
“Non mi piace l’idea che sia semplicemente O.K. uccidere tutti i mostri. Anche i mostri hanno una ragione, uno scopo, ed un motivo per cui sono quel che sono. […] Sarebbe bello se gli sviluppatori facessero uno sforzo per spostare la prospettiva, invece che guardare sempre la scena dall’angolazione più ovvia.”Un approccio che non suona assurdo se si pensa che Shigeru è tra i creatori di antagonisti tanto amati quali Bowser, e nel suo piccolo, Re Boo.
Grazie Shigeru, magari più persone la pensassero come te.
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