Nessuno si è mai capito davvero e siamo molto lontani dalla possibilità che questo succeda. Come facciamo allora a parlare di videogiochi? Che lingua parlano i videogiocatori? Queste sono solo alcune delle domande che mi sono fatto l’altro giorno mentre cercavo di addormentarmi, rigirandomi nel letto per colpa del solito asfissiante caldo d’agosto.
A farlo, ho capito qualcosa che l’umanità sa già da tempo. Dalla stesura della Bibbia, almeno, o forse anche prima. La torre di Babele non è mai esistita, e l’umanità non si è mai riuscita a capire pienamente. Però non è tutto perduto, tranquilli.
I temi della puntata di oggi sono sentimenti, traduzioni e una lingua che non ci parla appieno.
Alla fine si parte sempre da un’esperienza
Come al solito, la storia inizia da un’idea stupida. Ce l’abbiamo tutti, in fondo. Spuntano nei contesti più inaspettati: mentre siamo in bagno e cerchiamo di non far volare lo shampoo su tutti i muri o mentre cerchiamo, con poca fortuna, di schivare la cacca del solito barboncino sotto casa ( – se non hai presente, il barboncino è il tuo).
Come nel migliore dei cartoni Disney, si accende una lampadina e parte il solito giro di pensieri. Il primo è il più depressivo: “Che idea stupida, non funzionerà mai“. Questione di minuti e si evolve in “Cazzo, devo scriverlo” e subito dopo lo segue un bisogno impellente di far uscir fuori il torrente che sta scorrendo nella mia testa.
Questa volta la miccia è stata un anime che ho recuperato da poco, tale Symphogear. Uno di quelli pieno di idee strampalate, che ti guardi solo se sei uno con gusti altrettanto strani.
Secondo la filosofia dell’anime – che riprende più volte il mito della torre di Babele – il canto è l’unica cosa che riesce a comunicare pienamente i sentimenti delle persone.
Le persone, infatti, non si capiscono mai. Ci sono fraintendimenti, ambiguità logiche; sintattiche; linguistiche.
Un grattacapo dopo l’altro, ogni volta che parliamo non stiamo trasmettendo il nostro pensiero, ma solo una sua forma distorta dal linguaggio. La torre è caduta, almeno nell’anime.
Ma, collegamento dopo collegamento, ho cominciato a pensare a quanto fosse un pensiero che viene ripreso in tante opere che ho visto e studiato. Quanto, in verità, la limitatezza del linguaggio fosse qualcosa che ci tocca molto da vicino.
Filtri del pensiero – Che lingua parlano i videogiocatori?
Tanto da vicino che ho cominciato improvvisamente a pensare al nostro presente, a tutte quelle cose che mi sono successe e che sono successe attorno a me.
Di recente, ad esempio, si è parlato di traduzioni. Baldur’s Gate 3, in arrivo anche in Italia, non avrà il doppiaggio italiano. Eresia! La morte dell’Occidente, o forse di Dio.
La risposta di Pietro Iacullo, il grande toro seduto (…sul divano) di ILoveVG e Gameromancer è stata fulminea: la mattina del giorno dopo su Facebook è apparso un post che riprendeva un suo articolo scritto a gennaio.
Non avendolo letto (e qui parte il mea culpa), son corso subito a recuperare, e, per quanto sul momento ho notato solo che ci fossero tre Barret di fila, ripensandoci dopo aver cominciato questo viaggio, sono finito a dannarmici parecchio.
'Giocando Death Stranding (eccallà) solo in italiano non avrei capito tantissimi dei sottotesti del gioco.'
(sì, eccovi un quarto Barret)
L’inglese serve per capire di più. Eppure… non sei mai abbastanza vicino al gioco o al suo autore. Ma non puoi neanche capire appieno chi si lamenta della mancanza di doppiaggio, di quali siano le sue circostanze o i suoi motivi. Non sei né dalla parte del cerchio, né da quello della botte, e cerchi di dare il colpo a entrambi.
Però, non hai notato che ci sono filtri su filtri che te lo impediscono.
Perché per quanto tu voglia parlare di Death Stranding, non sarai mai Kojima, e Kojima non può insegnarti a essere Kojima.
Kojima è il pipistrello che tutti vorremmo essere
A quel punto, il passaggio successivo è ovvio. Io non posso essere te e tu non puoi essere me. Nessuno di noi può essere qualcun altro, né può sapere cosa si prova a essere qualcun altro; non perfettamente. Cosa si prova a essere Kojima? Cosa si prova a essere un pipistrello?
Non ho fatto questo riferimento filosofico per far vedere quanto è grande la mia… cultura, ma perché è da tempo che la filosofia si scervella su questa domanda. A partire proprio da Thomas Nagel (tranquilli, non vi farò un’interrogazione di filosofia) che si chiede “Cosa si prova ad essere un pipistrello?“.
Il fatto è che non lo sa nessuno. Non abbiamo prove di come ci si sente a essere un pipistrello, e il linguaggio non basta per capirlo, molto probabilmente.
Non sappiamo esprimere nulla pienamente, e finché l’ipotesi portata da Pietro su uno dei tanti podcast pubblicati sul nostro gemello Gameromancer non si realizzerà, non ci riusciremo. Perché forse il baluardo finale della scienza è proprio il saper esprimere e trasmettere la conoscenza senza filtri.
Ci sono persone che ancora discutono sul quesito di Molenyeux: un cieco, riguadagnata la vista e sapendo tutto quello che c’è da sapere sulle forme geometriche, può distinguere un cubo da una sfera?
O, tornando all’esempio di prima, anche conoscendo vita, morte e miracoli di Kojima, sapremo mai cosa volesse dire in Death Stranding? No. Non davvero. Per nessuno dei passaggi del gioco sapremo la verità, perché non la possiamo capire, né trasmettere pienamente, ma possiamo passarne solo una versione filtrata, sporca,impura.
Cercare di capire – The Dream-Quest of Unknown Kojima
Nel interpretare Kojima, nel tradurre i suoi giochi, o le sue intenzioni, si può sempre finire in altri tranelli del nostro linguaggio. Le strade a quel punto sono due: o si finisce a interpretare troppo o a cercare una pretesa illusoria di oggettività, senza interpretare.
Per il primo punto, ci basta cercare degli esempi in poesia. Moltissimi critici cominciano a vedere messaggi ovunque, intenzioni nelle intenzioni ed easter egg che sono solo frutto della loro mente.
Ed è per questo che vi rivelerò un segreto: tutte le recensioni parlano più del recensore che del gioco in sé. Ogni singolo articolo è scritto da certe dita, e le impronte restano anche dopo che il ladro ha finito di pulirle.
Perché alla fine noi redattori, autori o chicchessia, siamo dei ladri.
Rubiamo roba altruiela riempiamo di ditate, ce la portiamo a casa e ce la teniamo, lasciando il nostro nome a inizio o alla fine dell’articolo.
Quelli che vengono truffati siete voi, vi viene venduta l’illusione di leggere qualcuno che ha sempre ragione: non pensate che quel nome in grassetto possa essere rimpiazzato facilmente. Se leggete una recensione, state leggendo il suo autore. L’unico modo per scamparne è giocare stealth in questo gioco delle parti puramente action.
… E sappiamo tutti quanto lo stealth improvvisato faccia schifo. (Vero Crisis Core?)
Pretendere oggettività in qualcosa che di oggettivo non ha nulla
Cosa volevo dire con quella metafora che mi sarebbe costata un 4 in italiano per quanto fosse spinta? Semplice. Probabilmente ce l’avete presente anche voi.
“Recensione di Gioco X su PlayStation 4 – IlVideoGiochino.net“. Dove X non è un’incognita ma è qualsiasi gioco. Perché chi scrive una cosa del genere e non lascia ditate sporche ovunque è il peggio dei truffatori. Il contenuto dell’articolo sarà povero, poco umano e poco rispettoso verso l’opera.
Tanto che, spesso, basterà cambiare nome del gioco con analizza elemento e i contenuti rimarranno uguali. Aria fritta, per intenderci.
Come diceva Nietzsche (di nuovo, niente interrogazioni), nessuno è oggettivo. Mai. Anche il più imparziale dei giudici ha bias, perché è umano e la sua percezione non sarà mai perfetta o, appunto, oggettiva.
'Ad esempio, nessuna conoscenza di un uomo, per quanto vicino egli ci sia, può esser così completa da darci un logico diritto a una valutazione completa su di lui (…)'
“Umano, troppo umano”, libro primo, aforisma n°32
E il bello è che probabilmente anche questa è una mia interpretazione fallace. Ho lasciato un sacco di ditate sul suo libro, su di lui e sulla sua citazione, perché ogni volta che riportiamo qualcosa lo facciamo passare attraverso le nostre lenti.
Come avevo spiegato nel mio scorso pezzo, parlare del giochino non ha senso e in linea di massima non interessa a nessuno. Ma c’è di più. Ci sono una serie di filtri: quello dalla lingua in primis, quella dell’eventuale traduzione in secundis, quella del recensore che infetta l’opera originale.
Infine, anche la percezione del lettore può influenzare il significato di un articolo. La bellezza è negli occhi di chi guarda, ma anche il contenuto è malleabile a seconda del lettore. Perché se ha pregiudizi verso qualcuno, il lettore non proverà mai a capire le sue ragioni.
Tutti questi strati di incomprensioni non ci permettono mai di sapere la verità su un’opera. Io e te, non ci siamo mai capiti. Cosa fare allora? O, per riprendere l’inizio dell’articolo… “Che lingua parlano i videogiocatori?“
Mi manca discutere
Prima di proseguire, però, lasciatemi aprire una parentesi.
Di recente mi sono chiuso su un gioco competitivo che è riuscito a catturarmi, Apex Legends. È un gioco che spinge molto alla comunicazione, al gioco di squadra e alla coordinazione per la vittoria. Il suo ottimo sistema di puntamento aiuta molto, eppure è palese che manca qualcosa.
Anche su PC, nessuno scrive mai in chat. Persone vengono prese di mira per il loro semplice non conoscere il gioco, o non essere abbastanza bravi. Non c’è unità. Non c’è coordinazione. Forse, manca addirittura dell’umanità.
Qual è il modo per superare questa sconfitta dell’umanità? Questa mancanza di prospettive, di visione unitaria? Cosa manca nella community di Apex Legends?
Siamo esseri umani, e tra le nostre caratteristiche umane c’è la resilienza. Affrontiamo continuamente problemi di ogni tipo, non ci fermiamo davanti alle ingiustizie; cerchiamo di dire la nostra e ribellarci sempre.
Allora perché fermarci di fronte alla nostra inabilità fisica di spiegarci? Di non riuscire a capire l’altro, o di essere l’altro? Di non riuscire a capire i videogiochi? Anche in questo caso, la risposta è semplice.
'Che lingua parlano i videogiocatori?' È semplice. È la lingua dell'amore; la più bella. La discussione. Il litigio.
Una coppia non è bella se non è litigarella, dopotutto.
I videogiocatori parlano la lingua degli Déi
Se in Symphogear la lingua che permette di far arrivare i sentimenti all’altro sono i pugni e il canto, da noi sono solo i pugni. Metaforici, se possibile.
Sono convinto che il modo per parlare dei videogiochi è parlare attorno ai videogiochi. Ma se proprio non riusciamo a capirci, se non accettate che qualcuno vi parli dall’alto del suo mestiere da truffatore, allora scendete in piazza.
Fate come Socrate, andate al foro e cominciate a rompere i coglioni. Discutete, parlate, chiedete spiegazioni. La maieutica sarà pure una supercazzola, ma non vuol dire che non dovete provare a usarla.
Cercate di parlare all’altro; di capire l’altro. La lingua non basta, ma neanche i suoni o le immagini. Serve la pratica. Il metodo per tornare e ricostruire quella torre di Babele è semplice.
La torre di Babele si ricostriusce un mattone alla volta: con fatica, sudore e un sacco di discussioni. Riuscirete a capirvi solo se ci provate.
(questa è la base della torre di Babele che comincia in copertina)
Quindi, cosa aspettate? Non siete d’accordo? Allora venitemelo a dire in faccia. Venite sul nostro gruppo Telegram o il nuovo server Discord e ditemi che non ho capito nulla. Chiedetemi spiegazioni, cominciate a parlare e discutere di giochini. Se non cominciate a fare il primo passo, il mondo non andrà senza di voi.
Senza di te.
Ah, e se ve lo steste chiedendo…
Sì, questo articolo è sempre stato solo un enorme product placement per il nostro gruppo Telegram
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