Razza e sesso nei videogiochi, roba davvero lontana dal me dell’epoca. Un ragazzo che alle soglie dell’adolescenza individua la ragazza dei suoi sogni. La tipa si chiama Rinoa, e d’improvviso prende per mano il nostro, senza dir assolutamente nulla di sé, portandolo a danzare uno dei più bei balli che quel ragazzo ricorderà.
Conoscendola meglio il nostro rimane sorpreso dal saperla a capo di una ribellione contro il suo paese e il suo stesso padre.
Ciononostante la tipa è piena di fragilità, di quelle da “ti prego aiutami, da sola sono incapace” che fa sentire a proprio agio gli uomini, ché noi di solito non ne abbiamo mica.
Occhè, inutile dire che quel ragazzo ero io. Piuttosto, se state per iniziare una filippica sull’esterofilia genitoriale che porta alla scelta dei nomi, tranquillizzatevi: Rinoa era un personaggio, con un seno particolarmente piccolo per gli standard giapponesi, dei videogiochi. Di Final Fantasy VIII per la precisione.
E per l’appunto era il classico personaggio donna dei videogiochi: forte ma allo stesso tempo fragile e insicura, come insomma tutte le donne dovrebbero essere. Secondo i maschi.
Un tentativo diverso fu fatto da Nintendo: con Metroid il giocatore impersonava una cacciatrice di taglie. Certo, era ben nascosta nella sua tuta futuristica ma a fine gioco avremmo scoperto il tutto. Erano però i tempi di Lady Oscar alla tv e ci poteva anche stare, tanto più che era una donna del futuro, accettabile proprio perché non realistica.
Rinoa era il classico personaggio donna: forte ma allo stesso tempo fragile e insicura, come dovrebbero essere tutte le donne
Lara Croft, l’esploratrice tettona e dominatrice su cui i maschi amavano farsi le seghe (io no, che ero già gay senza saperlo) fece scalpore proprio per questo: per la prima volta una donna dei nostri tempi, resa in maniera graficamente eccellente per l’epoca, diveniva protagonista assoluta di un videogioco.
Gli uomini erano semplicemente out nel gioco: se apparivano erano da eliminare. L’unica eccezione era quel vecchio bavoso del cameriere di Lara che ci seguiva per la nostra magione, niente di che.
Come a dire che razza e sesso nei videogiochi facevano un salto di qualità, almeno per la seconda categoria.
Fino ad allora a voi cucinare con la Novelle Couisine, a noi giocare alla Playstation. Un po’ come me e mia sorella insomma. Perché sì, anche io son cresciuto in una famiglia maschilista secondo cui, certo anche le donne possono emanciparsi, ma non possiamo comunque aspettarci chissà quali traguardi da loro.
A.D. 2018
Rome: Total War II, famoso per fornire una rappresentazione spettacolare di battaglie del passato, riceve un aggiornamento cinque anni dopo il suo debutto. Tutti contenti? No: l’ultimo aggiornamento inserisce la possibilità (calcolata su base probabilistica) di ottenere generali donne.
La possibilità è in realtà limitata solo a quelle civiltà che storicamente presentavano questa opzione (non i romani, ad esempio), ma tanto basta perché il sito neonazista The Daily Stormer costruisca un caso su una tale invasione di campo delle donne, seguito a ruota da migliaia di utenti indignati.
Tanto si sa, le donne sono sensibili, al massimo piangeranno un po’, ma nessuno rinuncia a qualche copia venduta in più.
Invece no. Gli sviluppatori rilanciano: “E’ tutta probabilità e l’opzione si può disattivare ma, se le donne vi fanno schifo, meglio che il gioco non lo compriate, nel 2018 noi non cederemo al vostro disagio”. Fosse solo questo. No. Tale risposta giunge da una donna dello studio. “E va bè ma allora lo fate a posta?!”, si saranno detti gli amanti delle svastiche.
“Ci state stressando con queste cose di razza e sesso nei videogiochi, e bast” è stato il commento di molti là fuori, come se la questione non fosse anche loro.
Immaginate allora cosa potesse combinare in questo mondo la combo donne+lesbiche.
Così, quando all’E3 (la fiera più importante del mondo videoludico) Sony ha cominciato la sua presentazione con un bacio digitale tra due donne apriti cielo: “che bisogno c’era di rendere Ellie lesbica?”“Non se ne può più di questo politically correct“ è stato il sottotesto della maggior parte dei commenti. Inutile sottolineare, molto banalmente, che il gioco in questione fosse il secondo capitolo di una saga e che l’orientamento sessuale della protagonista era già chiaro nel primo.
No, “The Last of Us è un gioco serio, con tematiche mature e personaggi fighi, è inaccettabile propinarci roba simile”, ci veniva detto.
Se proprio dovete, ci ricorda un utente sul maggiore sito videoludico italiano – tale KarmageddonWarrior – fateci vedere delle belle donne. Nessuno batte ciglio sul fatto che Dina faccia veramente cagare… Anzi pure la stessa Elly è un mezzo cessetto. Almeno se bisogna fare roba metteteci qualcosa che meriti di essere visto.
Perché oh, mica la gente brutta si bacia? Se proprio devo sorbirmi cose lesbo che almeno mi permettano di sfiorarmi, ché si sa che il rischio con le lesbiche è di far uscire fuori delle camioniste.
Che bisogno c'era di rendere Ellie lesbica? Tornate a farvi salvare da noi, come Peach e il suo omino panzuto
Come giustamente sottolinea l’utente demons: farle lesbo quando dovranno essere dei maschiacci ai fini della storia o renderli più forti di hulk come in gears o farle apparire in momenti storici in cui non esistono in panni che non possono assolutamente coprire si cade nel ridicolo. Posso accettare un protagonista donna quando il gameplay è basato sull’agilità, velocità, dimensioni ridotte del protagonista. Ma vedo ultimamente una necessità troppo marcata di inserire donne dove non ci devono stare.
Insomma, dai, possiamo concedervi un po’ di agilità migliore a voi donne (Usain Bolt fa eccezione solo perché è nero, e quelli si sa che sono animali) ma la forza? Suvvia signore, pure a braccio di ferro con me e il mio metro e sessantaquattro di altezza per cinquantotto chili perdereste ugualmente in partenza ché io son maschio: roba di genetica, non potete capire.
Non importa se quella scena del video mostrava – per la prima volta in un videogioco – un bacio per quello che è realmente: la normalità di un atto di dolcezza tra due persone, reso possibile dalla potenza grafica ormai raggiunta, inserito per di più in un contesto di miseria (e speranza) umana come quello che la saga trasmette.
Non importa appunto: il bacio di due lesbiche non ha proprio niente di normale.
Così, ancora, quando Electronic Arts ha annunciato che nell’ultimo capitolo di Battlefield la protagonista sarebbe stata una donna la comunità videoludica è insorta di nuovo. Il tutto nascondendosi dietro il classico “le donne in guerra hanno sempre avuto spazi secondari”, ché tanto la resistenza chi la studia più.
Come a dire: neghiamo l’importanza di razza e sesso nei videogiochi.
Forse in questi anni come donne alla Nouvelle Cousine avete sostituito Candy Crash ma i videogiochi veri, quelli con tanto di console dedicata, restano appannaggio degli uomini veri, dovreste farvene una ragione e smetterla di venire anche solo rappresentate in questi.
Tornate a cucinare, rammendare, a uccidere gente e qualsiasi altra cosa facciate per questioni di DNA. Tornate a farvi salvare da noi, come la Principessa Peach e il suo bell’omino panzuto.
A.D. 2020
Una pandemia è capace, per la prima volta nella storia, di rinchiudere 2/3 della popolazione mondiale, e stando ai social dovrebbe renderci tutte persone migliori. Ciononostante negli Stati Uniti l’ennesimo caso di violenza della polizia, debitamente filmato, riaccende la protesta del Black Lives Matter.
Le aziende videoludiche decidono di appoggiare la protesta. Sì, forse in alcuni casi la decisione è presa per mere ragioni di immagine. Ma resta l’importante segnale di un cambiamento nell’industria ora più attenta a razza e sesso nei videogiochi (e ai diritti sociali, come testimonia l’accordo tra la Paradox e i sindacati ma questa è altra storia).
Cambiamento non apprezzato da tutti: la comunità videoludica più intransigente (quella originaria degli anni ’80 che qualche anno fa si scagliava contro i casual gamer? Chissà, sarebbe interessante avere statistiche a riguardo) non ne vuole sapere di eventi rimandati e donazioni alle proteste.
Così, il 4 giugno un sito di videogiochi pubblica una lista (ad oggi) di ben 382 nomi indicati come traditori dell’America (sì, la solita storia per cui un solo Paese si appella il nome di un intero continente) per il proprio appoggio alle proteste.
Si va da nomi di studi importanti dell’industria a veri e propri sviluppatori, designer e youtuber che lavorando con pochi mezzi potrebbero ritrovarsi a subire vere e proprie intimidazioni.
Se non vedete un filo tra la contrarietà ai ruoli femminili nei videogiochi, l’omofobia e il razzismo, questo articolo dovreste abbandonarlo qui.
Neri nei videogiochi? Al massimo comprimari di mafiosi. Gay? Oddio, allontanate i bambini!
Perché il fulcro di tutto è che il videogioco è sì, ancora (purtroppo) percepito come un media maschile, ma più precisamente di un solo tipo di uomo: bianco caucasico ed etero.
Già nel 2010 si dimostrava come negli FPS i bianchi fossero la maggioranza dei protagonisti, mentre i nemici una sorta di subumani non occidentali invasati le cui ragioni alla lotta non erano minimamente interessanti.
Neri nei videogiochi? Al massimo afroamericani come comprimari di qualche mafioso. Gay? Oddio, allontanate i bambini!
Così lo sviluppatore del videogioco spacciato come “dal realismo storico più puro” (tale Kingdom Come: Deliverance) si lanciò in una dura polemica sulla necessità di non inserire gay e neri nella sua creazione.
Nella Boemia del ‘400 in cui tutto si ambientava mai si era vista questa gente, sosteneva. Evidentemente i libri storici che l’autore ha consultato tacevano della presenza omosessuale in tutta la storia dell’umanità.
E basta con razza e sesso nei videogiochi, torniamo indietro, a quando eravamo tutti solo bianchi e uomini.
Siamo allora tutti invasori di un mondo che era l’ultimo baluardo del dominio maschile. E ocché il calcio femminile, e va bene l’accesso alle forze armate anche per i gay, ma ora pure ai videogiochi?
Hanno cercato difermarci, costruito barriere, intere sezioni di giochi riservate solo a noi (chi ricorda la saga “Giulia passione stocazzo”?) ma non ci è bastato. Abbiamo voluto sempre di più, entrare nella narrazione, arricchire le storie che ci venivano raccontate, elevare il media a qualcosa più del mero intrattenimento.
Chi ci vuole fuori è una minoranza? Forse, ma una minoranza numerosa. E se a voi altri non frega niente del perché la gente si diverta a lamentarsi di narrazioni differenti (e, badate bene, nessuno qui propone la presenza forzata di personaggi gay, donne o neri) fate parte del problema.
Perché se il 9 giugno del 2020 il mio ragazzo deve ancora dire ad un collega psichiatra “ehi c’è un mio amico” quando vado a prenderlo a lavoro, beh.
E’ anche colpa vostra. Semplicemente.
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