Ah shit, here we go again: ancora leggi per limitare i videogiochi
Il Giappone, terra di Sony e Nintendo, si aggiunge alla lista di stati che emanano leggi per limitare i videogiochi. La prefettura di Kagawa, nel sud del paese, ha emesso un’ordinanza per impedire ai minorenni di esagerare con le ore di gioco, e presto altre regioni potrebbero seguire l’esempio. Ai ragazzi fino ai 18 anni è impedito giocare per più di un’ora durante i giorni feriali, mentre il limite sale a 90 minuti nel caso dei weekend. Inoltre, ai bambini è stato vietato l’uso di ogni apparecchio, compreso lo smartphone, dalle 21 o le 22 in poi, a seconda dell’età.
Torna alla mente il caso cinese. A novembre scorso il governo di Pechino ha emanato una legge molto simile a quella di Kagawa, poco meno restrittiva ma valida sull’enorme territorio nazionale. Anche in Cina i minorenni possono giocare ai videogiochi soltanto per 90 minuti al giorno durante la settimana e per 3 ore nei weekend, oltre al divieto valido dalle 10 di sera fino alle 8 di mattina.
Per la Cina avevamo spiegato il fatto, in parte, con la presenza di un regime e il desiderio di controllare il vasto settore dei videogiochi. Ma il Giappone è una democrazia a tutto tondo, e in questo caso l’unica spiegazione risiede nella paura, che deriva dall’ignoranza. Una norma giuridica nasce in risposta ad un bisogno, ad esempio per correggere un comportamento sbagliato all’interno della società, come in questo caso l’utilizzo dei videogiochi da parte dei minori. Non ci sarebbe niente di sbagliato, in via di principio, ma il dubbio consiste nel fatto che non si sia riusciti a fare niente prima, che sia necessario l’intervento del legislatore. Possibile che le famiglie non sappiano correggere il problema? E che la scuola non insegni niente ai bambini sul giusto utilizzo della tecnologia?
Il tema della dipendenza da videogiochi è diventato un tema caldo da un anno a questa parte, cioè da quanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato il gaming disorder una patologia riconosciuta. Il dibattito si è spostato su come evitare la dipendenza rispetto a come capire e utilizzare al meglio i videogiochi, creando pregiudizi e portando, in casi estremi come quelli della Cina e della prefettura di Kagawa, al divieto.
Il gaming disorder si combatte con l’educazione, non solo con i divieti
Quando ero bambino mi era permesso giocare col Game Boy soltanto per 30 o 60 minuti al giorno, anche a causa della mia miopia e del piccolo schermo non retroilluminato. A quei tempi odiavo la regola imposta dai miei genitori, e quando ci riuscivo la infrangevo di nascosto, ma faceva semplicemente parte del pacchetto di educazione al videogioco che ho ricevuto durante la mia infanzia. Limitare l’uso dei videogiochi, da solo, come hanno fatto Cina e Giappone, ovviamente non basta. Un divieto non serve se non è accompagnato da sana educazione. Ecco il punto: se il divieto arrivasse dalle famiglie, prima che dallo Stato, insieme alle giuste informazioni sulla questione videogiochi…
…forse non avrei dovuto scrivere questo articolo.
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