Raccontare una storia, più o meno complessa, con un videogioco, non è una cosa da poco.
No, raccontare una storia, più o meno complessa, con un videogioco, non è roba da poco. Raccontare una storia in generale non è semplice in realtà, si rischia sempre di risultare banali o di cadere in cliché. Figurarsi in un videogioco, in cui le meccaniche di gioco la fanno da padrone. Ovvio, non è sempre così, altrimenti non avremmo God of War, o The Last of Us, o qualsiasi altro gioco vi venga in mente. Con una storia ben raccontata, si intende. Purtroppo, anche se non sembra, la narrativa del gaming moderno è complessa e funziona bene solo se si sfruttano quelle meccaniche che, come ho detto prima, possono rivelarsi il maggior nemico. Contrasti, come al solito.
È un discorso un po’ più lungo e avrebbe bisogno di uno spazio più adeguato, ma quello che possiamo dire, ora come ora, è che ciò che davvero permette ad un videogioco di avere una narrazione tale da prenderci al cuore e farci piangere, è il videogioco stesso. Nessun fattore esterno, nessuna cut scene: ciò che fai mentre giochi è la chiave per sentirti davvero dentro il videogioco.
Raccontare con un videogioco una storia come questa… Ho ancora i brividi.
DAMSesco! Di contrasti, narrativa e altre robe molto DAMS, ne ho parlato anche in un articolo su Gameromancer. Io ve lo lascio, fate voi.
Fatta questa breve e, ne sono consapevole, poco esplicativa premessa, arriviamo a The Suicide of Rachel Foster. Gioco uscito il 19/02 che sfrutta l’immersione dell’audio 3D e l’ambientazione per farti vivere in prima persona la storia di Nicole e dell’hotel di famiglia. No, non voglio vendervi il gioco, per quello ci sta la recensione. Voglio solo partire da questa comunicazione per parlarvi di come basti mettere i giusti suoni per raccontare una bella storia con un videogioco.
All’inizio ho detto contrasti no? Un po’ a caso apparentemente, ma in realtà così non è. Il contrasto è l’unità prima della narrazione. Senza contrasti non c’è storia. In The Suicide of Rachel Foster in contrasto abbiamo: da una parte la velocità di spostamento della protagonista e i dialoghi, entrambi molto lenti; dall’altra l’audio 3D che reagisce ad ogni nostro passo, ad ogni scricchiolio del legno e ad ogni folata di vento prodotta dalla tempesta che imperversa fuori. Due componenti ludiche che lavorano in contemporanea, muovendosi (in senso metaforico), però, verso direzioni opposte. Degli ingranaggi: si incastrano perfettamente e ruotano in sensi opposti. Ovviamente non si può ridurre il tutto a questi due soli elementi. The Suicide of Rachel Foster ha tanto da dire come videogioco, e non solo lui. Ma iniziare a ragionare sui contrasti potrebbe essere l’inizio per una futura evoluzione per la narrativa del gaming.
Chissà…
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