Siamo tre professionisti che da anni si confrontano e condividono un’idea: che un utilizzo positivo delle “nuove tecnologie” sia possibile e necessario. E che per fare questo ci sia bisogno di considerare non solo le tecnologie, ma chi queste tecnologie le usa: le persone. Con i loro bisogni, desideri e nelle loro relazioni.Vedete, l’aspetto bello di questa iniziativa è il punto di vista. Non si tratta di psicoanalisi o psicologia del medium. Solamente partire da voi, da noi, e capire i nostri bisogni, i nostri desideri e il nostro modo di relazionarsi con ogni forma di medium tecnologico. Non ho ancora detto la famosa parolina videogiochi ma tranquilli, il processo di alfabetizzazione digitale al centro dell’iniziativa Digitabilis, li coinvolge attivamente. Solitamente, quando decido di promuovere una bella iniziativa, mi faccio molto guidare dall’istinto. Il tutto è nato quasi per caso, al termine del mio solito peregrinaggio internettiano. Stavo per spegnere il PC e andare a dormire quando, attirato dal inconfondibile effetto sonoro, scorgo il messaggio di notifica da Facebook. Con un occhio aperto e l’altro chiuso per la stanchezza, clicco sul messaggio. Appare una scimmia colorata con al fianco la parola Digitabilis. Ho pensato, con un piede nel regno di Morfeo: “Digitabilis = Digitale + Homo Abilis. Questi sono proprio geniali”. Orgoglioso del mio ultimo risultato della giornata, mi sono coricato. L’indomani, al risveglio, l’immagine della scimmietta colorata era ancora fissa nella mia memoria.
Non mi ero sbagliato sulla genialità dell’iniziativa.
Il nome Digitabilis rimanda alla storia evolutiva degli esseri umani, perché pensiamo che l’avvento del digitale sia solo l’ultima tappa della rete di comunicazioni che ha sempre distinto la nostra specie. Ma ricorda anche “digitabile”, poiché molti aspetti del quotidiano si stanno “digitalizzando”, approdando nei nostri schermi e poi tornando alla vita “analogica” in uno scambio che siamo chiamati a rendere più fruttuoso e positivo possibile. E questo è possibile essendo “digitalmente abili”, in grado di contribuire a questo nuovo mondo.Il dualismo analogico-digitale è un aspetto innato di noi, videogiocatori di lunga-media-corta data. Pensate al joypad (analogico) e al modo in cui interagisce con i videogiochi (digitale). Ah scusate siete giocatori PC. Pensate alla tastiera e il mouse (analogico) e al modo in cui interagisce con i videogiochi (digitale). Ah cavolo mi ero dimenticato. Amate il mobile gaming. Pensate al vostro smartphone (analogico) e al modo in cui interagisce con i videogiochi (digitale).
Ok facciamocene tutti una ragione, siamo digitabili.
Non è una malattia o una patologia scoperta da poco dall’OMS (o almeno non lo era fino a oggi). È il frutto di un processo evolutivo avviato tanto tempo fa dal nostro antenato, l’Homo Abilis. L’uomo nel corso della sua storia ha sempre cercato di alzare l’asticella in nome del progresso e della scoperta. Dapprima utilizzava la forza bruta, poi l’intelligenza, poi la fisica e la scienza. Ma a un certo punto si è reso conto che ogni cosa poteva semplificarsi demandando calcoli e operazioni complesse a qualcun altro, o meglio, a qualcos’altro. Ed ecco che arriva la tecnologia che, dopo il cane, è il miglior amico dell’uomo. Il suo sviluppo ha accompagnato generazioni e generazioni di persone che con essa sono cresciute ed invecchiate. Ragazzi che vedevano il Carosello in bianco e nero adesso lo vedono da anziani in streaming su Youtube. Bambini che ascoltavano in radio le partite di calcio adesso condividono con i nipoti le gesta della loro squadra del cuore in 8K.Ok ma chi questa evoluzione tecnologica non l’ha vissuta, i famosi nativi digitali, in che rischi possono incorrere?
Specificamente in Veneto si rileva già a 13 anni un uso autonomo dei dispositivi e scarsa consapevolezza dei genitori rispetto all’uso che viene fatto della rete (Guarnaccia 2018), mentre gli adulti sentono la novità degli ambienti virtuali come ostacolo alle loro capacità educative e barriera generazionale (Scarcelli & Riva 2017) che impedisce il flusso di competenze, oltre ad essere coinvolti loro stessi in pratiche disfunzionali.Prima ho commesso un errore nell’individuare chi fossero i soggetti a rischio in questo clamoroso ed evidente “bug” evolutivo. Genitori e figli sono sulla stessa barca. Fidatevi ne so qualcosa. Io che faccio parte, come indicato dai promotori dell’iniziativa, della “generazione di mezzo”, avverto il peso di una responsabilità non indifferente nei confronti di mio figlio: impartire una sana e corretta educazione videoludica e tecnologica. Al momento vedo molta confusione e tanto allarmismo. Si preferisce alzare la voce e puntare il dito invece che calmare gli animi e comprendere le cause dei problemi. E questo lo si avverte a tutti i livelli e in tutti gli ambienti. Devo dare ragione a questi 3 giovani psicologi, ideatori del progetto Digitabilis. Ormai non si parla più di “educazione ai nuovi media”.
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