Ok allora oggi esce Gears 5 e più o meno mi ci vorranno sulle 20 ore per finire la campagna in single player. Poi l’11 esce No Man’s Sky Beyond su PS4 e ho letto che ci vogliono all’incirca 30 ore di gioco per raggiungere il centro della galassia. Finito quello, devo recuperare Monster Hunter Stories su 3DS, ma devo fare in fretta perché il 25 ottobre esce la remastered di Medievil… Aspetta, ma cosa cazzo sto dicento?

Come un montante nello stomaco, come un amico che di soppiatto ti colpisce lì dove non batte il sole, questa domanda, questa amara consapevolezza, spezza brutalmente il mio ormai solito schema mentale. Come fossero dei task da completare sulla bacheca di Trello, schedulo, organizzo e temporizzo la mia più grande passione, il mio tempo libero. Ma sono davvero arrivato a questo? Siamo davvero arrivati a questo? Mai come oggi il mercato videoludico è stato così florido. Remastered di qualunque genere e forma, sequel di spin-off di spin-off, indie che escono anche per i frigoriferi. AAA che non sanno più che attore ingaggiare. Un videogiocatore comune, ovvero una persona che ha una vita da mandare avanti prima di potersi finalmente sedere sul divano ed estrarre il joystick, non può assolutamente stare al passo di questo mercato imbizzarrito. Ma nonostante tutto, nonostante sappiamo benissimo che a molti titoli dovremo rinunciare, cerchiamo disperatamente di giocarne il più possibile. Per cavalcare il trend sui social, per non restare indietro.

Ma sono davvero arrivato a questo? Siamo davvero arrivati a questo?

Così possiamo anche noi dire la nostra su quanto pessimo sia Anthem. L’avevamo atteso a lungo, ben schedulato sul nostro Trello personale, partecipato anche noi attivamente alla solita campagna: “Ma quando cazzo esce Anthem?!”. E poi eccolo qui, l’ennesimo titolo incompleto, partorito prematuramente da quei poveri sviluppatori che per accontentare degli impazienti come noi hanno dovuto farsi un cesareo. Ma sì, che importa se hanno sforato di gran lunga il tetto massimo accettabile di ore lavorative, tanto ci basta scrivere una frettolosa recensione su Steam e il rimborso è presto fatto. Ma siamo davvero sicuri di vivere ancora appieno questa passione? Pensiamoci un secondo insieme: quando è stata l’ultima volta che ci siamo fermati ad assaporare l’ambiente e la musica che ci circondano? Quando è stata l’ultima volta che ci siamo goduti il viaggio verso il nostro prossimo obiettivo, senza dover trasformare il nostro cavallo in un rumoroso Monster Track per fargli valicare catene montuose che nemmeno Reinhold Messner? La mia fu nel 2011. Da lì in poi solo task da completare.

Paesaggio montano di Skyrim
11/11/2011. Non importa quanto poca considerazione artistica una persona abbia per i videogiochi. Di fronte ai paesaggi di Skyrim, di fronte a questi sublimi scorci che riempiono di meraviglia tutti e cinque i sensi, è impossibile rimanere impassibili.

E’ inaccettabile vivere il videogioco in questo modo. Perché, anche se molti di noi purtroppo pensano ancora il contrario, è arte in tutto e per tutto. E l’arte, come diceva Pasolini, non può essere consumata come un bene qualsiasi. Non è un prodotto che puoi usare e gettare, che finisce il suo scopo dopo essere stato usato. L’arte, in tutte le sue forme, vivrà in eterno, anche quando i social che tanto ci condizionano smetteranno di esistere. L’amore di Wander per Mono vivrà in eterno, l’amicizia tra Marcus Fenix e Dom vivrà in eterno, il legame padre-figlio tra Kratos e Arteus vivrà in eterno. Se non siamo in grado di viverli, di assaporarli, momento dopo momento, che giochiamo a fare? Per platinare il gioco? Vivere un titolo, comprendere ogni sfaccettatura del suo messaggio, gustarne ogni suo anfratto, non significa poter condividere sulla propria bacheca quegli inutili badge di trofeo sbloccato. Significa fermarsi ad osservare come i raggi di un sole mattutino s’infrangono sulla superficie dell’acqua, come il pulviscolo sale e si disperde dopo un’esplosione di una granata. Significa assaporare i suoni e i rumori che rendono questi mondi così dannatamente affascinanti.

Se non siamo in grado di viverli, di assaporarli momento dopo momento, che giochiamo a fare?

E allora, come gli antichi generali romani, dovremmo anche noi avere il nostro personalissimo Memento Mori. “Ricordati che devi morire!”, urlava il popolo romano ai tronfi generali che facevano ritorno dopo una vittoria campale. Così, quando avremo la tentazione di saltare un dialogo o di tagliare per la via più breve, ci ricorderemo che non ha alcun senso collezionare trofei se nulla si è capito dell’esperienza di gioco. Perché i videogiochi come i libri, il teatro, la musica, il cinema e il fumetto, sono un mezzo che l’autore ha per trasmetterci il suo pensiero, la sua esperienza. E, al di là della propria fede religiosa e della propria interpretazione che ognuno di noi ha della morte, se non per fare esperienza, cosa ci siamo venuti a fare in questo mondo?

«Respice post te. Hominem te memento»

Memento mori

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