Redazione ILVG

Speciale Luddismo all’inverso: Videogiochi & Pedagogia

Testimonianze dirette e indirette, fonti scritte e orali, miti e leggende…..

Le basi della Storia possono essere varie e non di rado arrivano a miscelarsi fino a comporre ciò che risulterà alla nostra vista nell’atto di guardarci indietro, nel tentativo di comprendere una fetta più o meno grande del passato e degli avvenimenti che ci hanno preceduto. Siamo in Gran Bretagna, anno 1779. Un operaio, passato alla storia sotto il nome di Ned Ludd e che divenne in seguito un vero e proprio mito, distrusse un telaio meccanico dando inizio al movimento operaio di protesta che da lui prese il nome: il Luddismo. La rivoluzione industriale era agli albori e la massa lavoratrice percepì come una considerevole minaccia all’entità del salario e allo stesso posto di lavoro la progressiva introduzione di vari macchinari all’interno delle fabbriche. Oggi come allora, il fenomeno del Luddismo può essere interpretato come un atto simboleggiante la tendenza a rigettare il crescente asservimento alla tecnologia e alle sue manifestazioni, che sempre più spesso vengono accusate di sottrarre impiego e meriti agli esseri umani in una determinata azione. Tuttavia, come in ogni campo dello scibile umano, occorre prestare attenzione a non incorrere in conclusioni affrettate, generate da oscurantistici pregiudizi rei di inquinare e confondere l’insieme dei pregi e dei difetti legati a un aspetto dell’esistenza.

 

Luddismo

Ricostruzione di due operai intenti a distruggere un macchinario.

 

Prendendo in esame il videogioco possiamo evincere come, dal suo avvento a cavallo degli anni settanta del secolo scorso, esso abbia preso piede all’interno della vita degli esseri umani al pari della radio, della televisione e del telefono, espressioni fisiche del progresso tecnologico compiuto a livello di comunicazione (e non solo). La stessa che è alla base dei dibattiti legati all’educazione e all’insegnamento assieme ai rispettivi metodi di applicazione, come ad esempio la lezione frontale; il pedissequo ripetersi di nozioni che raramente restano salde nella memoria degli studenti odierni, nati e cresciuti in un’epoca permeata dal fenomeno che Roberto Casati definisce “colonialismo digitale”: la trasposizione su schermo di immagini, notizie, libri e progressivamente tutto ciò che ha e può avere una reale collocazione nello spazio.

Colonialismo Digitale: per alcuni un autentico scempio, per altri un orizzonte ricco di prospettive.

Uno dei pregi principali del medium videoludico è l’educazione, l’apprendimento attraverso un’imitazione della realtà che va oltre le semplici parole udite o lette (film e libri ndr), una simulazione capace di annullare tutte le conseguenze che potrebbero incorrere in caso di errori nel mondo reale. Uno spazio sicuro, dove il poter affinare le proprie capacità può essere appannaggio anche delle persone caratterialmente più deboli, che di fronte “all’irripetibile” realtà potrebbero involontariamente inibire il loro potenziale reale, soppresso dalla timidezza o da altre fragilità caratteriali. Il videogioco potrebbe rivestire un ruolo da comprimario nella formazione di un individuo, senza necessariamente esautorare la modalità d’istruzione scolastica vigente. Un arricchimento dell’offerta formativa, in grado di massimizzare i risultati a vantaggio di un interesse spiccatamente più vivace e marcato verso un mondo, quello videoludico, che col passare del tempo sta conquistando un “senso” dopo l’altro. Dalla sola interazione visiva (con lo schermo) e tattile (il pad o le varie periferiche) all’introduzione di dispositivi, come l’Oculus Rift e il Playstation VR, in grado di aumentare l’immersione all’interno di questi nuovi confini virtuali. Come dimenticare Nintendo Wii, console commercializzata nel lontano 2006 e in dotazione di un innovativo controller capace di reagire alle forze vettrici e all’orientamento rispetto allo spazio tridimensionale: una simulazione virtuale del movimento reale del nostro braccio prende vita, che sia per colpire una palla da tennis o vibrare un fendente con una spada. Nel corso degli anni numerosi scienziati, psicologi, linguisti e altri esperti di varia natura hanno esaminato e confermato ripetutamente le ormai indiscusse potenzialità, paideutiche e non, del videogioco: un potente strumento che se adoperato in maniera critica e attiva mette l’utente nella condizione di apprendere dall’esperienza vissuta, di sviluppare capacità di risoluzione più rapida ed efficace dei problemi, di comprendere meccanismi sociali legati a un determinato contesto di pratiche, ma soprattutto di incontrare dei gruppi di affinità.

Contrariamente a ciò che alcuni sostengono, il videogioco è tutt’altro che socialmente isolante.

Numerosi infatti sono i giochi che proiettano in vere e proprie comunità, con i loro ideali e le loro regole, dove un’assidua frequentazione permette non di rado di imparare a gestire un insieme complesso di variabili interrelate non meno forgianti di una camerata militare. Possono essere altrettanto formativi i videogiochi di ruolo, gli RPG, dove è prevista un’immersione totale in un mondo fittizio attraverso, in numerosi titoli appartenenti a questa categoria, la creazione di un avatar, un alter-ego digitale al quale potremo affibbiare a piacimento le nostre fattezze, e del quale guideremo la crescita e l’evoluzione nel corso delle sue (e dunque nostre) peripezie. Ciò può essere paragonato al vivere un romanzo d’avventura: investendo emotivamente sul nostro avatar, ci ritroveremo a proiettarci nelle sue scelte, affrontando di volta in volta incertezze e dilemmi dentro la cornice di un vero e proprio laboratorio etico. Che si tratti della serie di The Elder Scrolls, dove i confini sono delineati da un mondo fantasy dai tratti medievaleggianti, o di Fallout e dei suoi scenari tipicamente post-apocalittici, l’utente si ritroverà a mettersi in gioco assumendo a sua discrezioni le vesti, fisiche e comportamentali, di un individuo che conseguentemente potrebbe anche non rappresentarlo fedelmente, consentendogli di vivere in prima persone le dinamiche sociali proprie di un mondo venendo poi a scontrarsi, senza reali rischi di sorta, con le conseguenze di una determinata azione. Una delle possibilità intrinseche al videogioco è proprio quella relativa all’atto di sperimentare, attraverso la formulazione di una modalità di pensiero dai tratti prettamente scientifici: costruzione interiore di un modello di regole, analisi delle possibili interazioni e strategie risolutive. Dinamiche chiamate continuamente in causa durante il confronto con videogiochi strategici, il cui campionario è così immenso da poter campionare qualsiasi velleità di natura gnoseologica, come ad esempio i titoli della serie Age Of Empires, che offrono inoltre la possibilità di apprendere conoscenze storiche vivendole “in prima persona”, con modalità decisamente più coinvolgenti e interattive di quelle offerte da un libro o da un documentario, che chiamano a raccolta un’attenzione di carattere passivo. Difatti videogioco è sinonimo di interazione, una connotazione che pone questo strumento in totale contrapposizione a un altro oggetto, come la televisione, che viceversa è notoriamente “violenta” nei confronti dell’utente, che è costretto a subire il suo flusso di informazioni avendo come sola scelta quella di interromperlo bruscamente. Un’affermazione, questa, tipicamente Pasoliniana, che tuttavia rimarca ancor di più le potenzialità del multiforme strumento quale è il videogioco, le cui applicazioni sono tutt’altro che da abrogare in tema di apprendimento: come è noto, una varietà di individui differenti esige un vasto assortimento di approcci, da imporre strenuamente in un mondo che nell’ambito didattico, e non solo, sta facendo del conformismo il suo ideale.

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