Matteo Denni

Speciale Riforma o psicoriforma degli articoli 11 e 13

La Riforma degli editori che hanno paura del Web

Premessa obbligatoria: questo articolo affronta le questioni sulla riforma dell’art.11-13 da un punto di vista diverso da quello proposto sulla piattaforma Youtube e da altri influencer. Prima di enucleare ogni aspetto della maldestra riforma è necessario chiarire quali sono i punti cardine intorno ai quali ruota la faccenda.

 

Il primissimo punto da chiarire è che stiamo parlando di Politica.

Per questo sono indispensabili analisi politiche, non stiamo parlando di mera tecnologia.

Il secondo punto è che secondo l’idea di chi scrive tutta questo marasma mediatico ruota attorno agli Ads, alle pubblicità e al loro fiorente e imperante mercato.

 

La tutela dell'ingegno non c'entra nulla con la riforma dell'articolo 13

riforma articolo 13

 

Da pochi giorni è esplosa su Youtube la polemica in merito alle modifiche degli articoli 11 e 13 della disciplina europea in materia di copyright. Dopo essere passata alquanto in sordina, sia sui social che nei mass media vecchio stampo, ecco che la piattaforma youtubica si mobilita. Spamma prima di ogni video il suo grido di allarme. Lancia l’hashtag #saveyourinternet e mobilita gli youtuber europei (a loro parere quelli più influenti ma vabbé).

 

Cosa sta succedendo per disturbare il colosso mondiale dei video fino a tal punto?

 

E sopratutto, come può interessare il pubblico videoludico?

 

La modifica nasce con l’intento di dare uniformità al panorama europeo sul diritto d’autore e garantire così la tutela del copyright nell’Internet. Sembra infatti che nel mirino dei legislatori ci siano i guadagni delle grandi compagnie social come Google, Facebook e Youtube. Secondo gli europarlamentari obbligare questi colossi a riconoscere un compenso per i link e contenuti utilizzati aiuterà l’editoria emergente. Ma come stanno le cose, e perché ne parliamo?

A tutela dei creativi?
In questi termini sembra una riforma da appoggiare, per la tutela del lavoro degli artisti, di chi lavora con l’intelletto. Sembra che tutto sia volto alla salvaguardia dell’intangibile prodotto che nella sua resa virtuale rischia di venire derubato (pirateria). Quindi un utilizzo senza riconoscere il compenso economico all’autore.

 

Il “sembra” è dovuto, in quanto rappresenta la facciata di intenti assai diversi. Non vogliamo entrare nel dibattito di come funzioni il diritto d’autore. Questi sono esempi di come si rispetta e sostiene il lavoro di ingegno, solo per dare un assaggio ai più giovani.

E’ doveroso ricordare che la Riforma non entra mai nel merito. Non sono enucleati singoli elementi e relativi provvedimenti. Insomma: non va nel dettaglio della materia. Si limita a prescrivere con caratteri di generalità quali sono gli ambiti, veramente vasti, che possono portare ad una violazione del diritto d’autore. Fino ad oggi la regolamentazione è stata ben chiara. Basti sapere che quando si scarica illegalmente un audio, video, libro si commette un illecito perché non è possibile rendere giustizia al lavoro fatto. Peggio ancora quando si utilizza il lavoro altrui senza citarlo (la famosa Fonte).

 

Quante volte condividete un contenuto di ingegno sulle vostre bacheche virtuali?

 

Musica, brani, spezzoni di film, meme, gameplay etc.

Le dinamiche del web (una enorme piazza virtuale) hanno peculiarità tali da necessitare di un paradigma assai diverso da come i vecchi creatori di opinione pubblica erano abituati. Il vecchio sistema si basa su: tu mi leggi, mi ascolti, mi guardi e quindi mi paghi (acquistando il giornale, il disco, il biglietto).

 

Cosa avviene sul web? Gli editori stessi traggono benefici dalla loro presenza sui social.

 

Hanno effetti positivi dalla mera visibilità e meno dai guadagni pubblicitari (tenete ben presente che questo è il tassello chiave) che accumulano dalle visite dei loro siti. Oltre che dall’acquisto del prodotto culturale in sé.

Moltissimi giornali online e cartacei riescono a mantenersi in vita soltanto con la pubblicità che ospitano. Per questi piccoli ma utilissimi organi di comunicazione (pensate ai molti giornali inline a carattere locale del vostro paese o della vostra città) sarebbe impossibile restare in attivo con la vendita di abbonamenti. questa è la principale differenza tra i grandi gruppi editoriali e le piccole e innovative testate. E’ innegabile che se questi grandi hanno scelto a loro tempo di esistere nel web avevano fiutato un possibile guadagno, ma alla fine dei conti forse hanno cambiato idea.

 

 

Ci sono sistemi per attirare utenza che hanno fatto storcere il naso ai grandi editori, i promotori della riforma.

 

Ultimamente avrete certamente notato che, sotto al nome e ad un non richiesto commento, c’è una miniatura che a volte reca appunto il corpo dell’articolo. Quella miniatura esibisce il lavoro protetto da copyright della testata giornalistica. Essendo esposto come immagine, non necessita di un approfondimento sul sito e quindi non sarebbero attivate le pubblicità del dominio del giornale. Con l’attuale riforma è prevista la nascita di un nuovo diritto, che consente alla testata giornalistica di essere remunerata anche qualora non venga visitata.

 

Il tutto da parte della piattaforma ospitante l’articolo condiviso.

 

Pubblicare illegalmente un film, una canzone su Youtube (ad esempio) e ricavare denaro dagli Ads (pubblicità) è già regolamentato e sanzionato dalla normativa (il presunto guadagno viene indirizzato al detentore del copyright e non a chi ha postato). Aggiungiamo che è un furto senza se e senza ma, però qui stiamo parlando di altro, appunto della nascita di un nuovo diritto. Con le modifiche aleatorie proposte non si farà altro che imporre una tassa sui Link (è la principessa che si chiama Zelda! Ah no, stavamo parlando di altro) e un fantasioso e irrealizzabile upload filter. Questo filtro dovrebbe consentire di scansionare ogni prodotto virtuale caricato in rete, così da valutarne la rispettosità del diritto d’autore. Forse nel 2118.

 

Questo perché la modifica caotica e generalissima potrebbe toccare anche la semplice condivisione di un contenuto.

 

Quindi condividere sulla propria bacheca Facebook l’ultimo video del nostro cantante preferito (chi fa Trap sarebbe quindi esentato) comporterebbe il diritto a rivalersi sul povero Zuckerberg da parte della casa discografica. Quindi non sarà più l’utente in fallo a rispondere della non osservanza del copyright ma la piattaforma (ecco perché Youtube si è attivata, altrimenti demonetizza e sti c@##i).

 

La decisione di dare un corpo unico alla difesa del diritto d’autore in Europa si è così trasformata in un’azione contro i guadagni dei social e nella relativa redistribuzione alle vecchie piattaforme, ossia editoria, discografia e cinema. Ogni opera di redistribuzione della ricchezza non ha mai prodotto i risultati sperati. È un passaggio fondamentale comprendere che la crisi dei vecchi mass media è solo indirettamente collegata con la diffusione dei link o del loro contenuto pirata.

 

Scegliere di mostrare il proprio prodotto su un sito comporta un guadagno, anche solo in termini di visibilità.

 

Anche quando condivido un gameplay la software house indirettamente trae beneficio. 

Posso mostrare ad utenti dubbiosi lati del videogioco che in pochi minuti di trailer non erano emersi.

 

Ma cosa non va di questo ragionamento?

 

Un tentativo di mantenere lo status quo
Gli inserzionisti pubblicitari non trovano più conveniente stare sui siti dei giornali cartacei perché preferiscono piattaforme più innovative, social, con più traffico e visualizzazioni. Quindi i grandi gruppi editoriali invece che dare l’esempio ai giovani e accettare le sfide del futuro: censurano. Lo stesso per le case discografiche, cinematografiche. Lo fanno ai colossi del web, i giganti emergenti che raccolgono sempre più inserzioni e lasciano le briciole. Quindi la riforma e i sovvenzionatori dei riformisti invece di agire su una modifica degli assetti pubblicitari intervengono sulla diffusione del loro contenuto.

Ovviamente la modifica del mercato delle inserzioni pubblicitarie sarebbe assolutamente improponibile e molto poco liberale.
Agire indirettamente quindi sembra l’unica soluzione, per i grandi gruppi editoriali. Considerando inoltre che con il tool di Google News non si accede neanche più al sito della testata il quadro di complica. Limitare il tool di Google? Censurare?

 

Cosa può portare tutto ciò?

 

Abbiamo l’esempio di Google News in Spagna.

In terra iberica è già scattato il fermo alla diffusione degli articoli attraverso il doodle News (perché secondo i detrattori stando su News non vengono attivate le compensazioni pubblicitarie sui siti proprietari).

Bloccando il servizio di Google in Spagna hanno assistito ad una diminuzione sostanziosa di traffico sui loro articoli. Per Google chiudere in Europa il settore News non si tradurrebbe in una grave perdita, mentre per la cosiddetta news aggregator ci sarà un danno per gli utenti (meno informati) e per le piccole testate online che vivono di pubblicità e non di abbonamenti.

In effetti il nascente nuovo mercato che non conosce intermediari è chiamato a rispondere di vecchi pachidermi che non sanno stare al passo.
Il negozio perde terreno con l’e-commerce e il giornale cartaceo perde il ruolo di veicolo delle notizie. Si moltiplicano i piccoli editori e siti di vendita.

 

Si reagisce con la psico-riforma del diritto d’autore.

Quindi viene chiesto alle piattaforme ospitanti di monitorare ogni post, ogni commento, ogni citazione.
Per non parlare dei gameplay. Già in passato molte software house preferivano che non venissero pubblicati estratti dei loro videogiochi.

 

La psico-riforma scritta con troppa generalità potrà portare ad un vuoto europeo dell’informazione?

 

Tecnicamente, come  è stato fatto notare da molti esperti del settore, l’internet trova sempre delle scappatoie, nuove forme per interagire.

Dal punto di vista della sostanza?

 

Dal punto di vista della condivisione di fatti, eventi, della news aggragation?

L’esempio della Spagna parla da sé. Non siamo dinnanzi una stretta della libertà di espressione, di pensiero.

In Europa abbiamo avuto moltissimi esempi di censura da parte di molteplici dittature ma in un modo o nell’altro le notizie riuscivano a circolare. Ovviamente non per tutti ma per chi era interessato ad approfondire.

Stiamo parlando di una psico-riforma che porta all’attenzione dell’utente il suo contenuto manifesto, ben visibile e nobile,mentre cela nell’oscuro mondo interiore la paura atavica di veder svaniti i privilegi di grandi gruppi editoriali che hanno sempre goduto del supporto Pubblico (mi riferisco ai finanziamenti da parte dello Stato) e che ora si trovano a correre con chi è finanziato da migliaia di piccoli privati che cliccano.

 

Le note dolenti sono molteplici e la connivenza tra Editore e Politico viene smascherata.

 

Chiedere un controllo impossibile equivale a chiedere di non lavorare
Chiedere un controllo impossibile equivale a chiedere di non lavorare. Creare il diritto al guadagno, sempre e in ogni caso, equivale a rompere il meccanismo del mercato. Legiferare senza aver chiari gli effetti delle proprie parole è grave. Vuol dire che ci sono vecchi interessi da tutelare più importanti dell’evoluzione tecnologica, dell’informazione.

È un velato schiaffo in faccia a tutti quei ragazzi che hanno avviato una piccola attività culturale online (si sono creati un lavoro, piaccia o non piaccia) ed ora si vedono messi in secondo piano rispetto a vecchi privilegiati.

 

L’Internet saprà trovare scappatoie, noi speriamo che la riforma subisca delle modifiche nel merito ma c’è un ultimo punto che mi preme.

Se la nostra generazione non si attiva dichiareremo il nostro fallimento politico.

#LiveTheRebellion