L’Isola dei Cani è il nono film di Wes Anderson, il secondo in stop motion, e probabilmente, tra i migliori lavori del regista statunitense.

Per presentarvi Wes Anderson e L’Isola dei Cani (Isle of Dogs) non ci sarebbe bisogno di dire molto.
Un regista americano che dal suo esordio nel 1996 è andato via via raffinandosi, ritagliandosi ad ogni nuovo film, sempre più consensi.

Pubblico che, ad ogni nuovo annuncio, è in trepida attesa fino all’uscita in sala del nuovo lavoro.
Pubblico che, se ha la sfortuna di vivere in Italia, deve aspettare dai  due ai quattro mesi per appagare il proprio desiderio.

L’Isola dei Cani ha aperto il Festival di Berlino, dove Anderson si è portato via il premio alla Miglior Regia, raccogliendo consensi da tutte le parti.

Fortunatamente  grazie all’invito di Fox, abbiamo visto con anticipo di circa due mesi, in lingua originale, il nuovo lavoro in stop-motion di Wes. Dopo Fantastic Mr. Fox (2009) tratto dal romanzo Furbo, Mr. Volpe di Roald Dahl, questa volta Anderson cura completamente la sceneggiatura, offrendoci un racconto completamente nel suo stile.

Ma con qualcosa in più.

L'Isola dei Cani è un racconto all'apparenza semplice, che si stratifica con il passare dei minuti, curato in ogni dettaglio e semplicemente meraviglioso.

Se amate lo stile di Anderson, smettete pure di leggere queste poche righe. Il Film vi piacerà, senza alcun dubbio. Per tutti quelli che sono rimasti, cercherò come di consueto di darvi la mia opinione. 

L’isola dei Cani è ambientato in un Giappone futuristico, dove il clima e una misteriosa epidemia hanno portato all’isolamento dei migliori amici dell’uomo in un’isola di smaltimento rifiuti.
Per recuperare Spots, il primo cane mandato sull’Isola, il piccolo Atari  si imbarca in quella che sarà la sua più grande avventura, e che rappresenterà la scintilla per il cambiamento del Giappone.

 Qui farà la conoscenza di cinque cani, che lo aiuteranno nella ricerca e nel difficile compito di tornare a casa intero. Durante il viaggio verranno a galla i misteri dietro l’esilio degli animali, arricchendo il folklore e la nazione immaginata da Anderson.

La trama del film poggia le sue basi su uno dei concetti più semplici del mondo: l’amore di un bambino per il suo cane.
La storia è solo la struttura che sorregge L’isola dei Cani che, da buon esponente del cinema di Anderson, si muove su due assi perpendicolari, offrendo sempre più spunti e dettagli.

Questa volta però, il regista americano ha voluto offrire un punto in più, sfruttando il tempo a suo piacimento e a necessità del racconto.

Il risultato è una fiaba meravigliosa, incantevole per quanto semplice e curata.

L’isola dei Cani è capace di far ridere e commuovere a distanza di poche inquadrature. Un film d’animazione che, sempre seguendo lo stile di Anderson, cita i grandi classici giapponesi, tra cui è evidente l’influenza di Akira Kurosawa.

Tramite uno stratagemma narrativo, Anderson riesce a donare voce ai cani, unici (o quasi) possessori dell’idioma inglese nel Giappone futuristico.

E che voci potrebbero avere i quadrupedi se non quelle degli ormai consolidati attori feticcio del regista?

In realtà al fianco dei soliti Murray, Norton e Goldblum, troviamo un superbo Bryan Cranston nel ruolo di Chief (Capo) che, alla pari di Atari, si dimostra il personaggio più curato e riuscito della produzione.
Da quanto si evince dai trailer, ogni attore sarà doppiato dalla propria voce italiana, il che ci fa ben sperare sulla nostra versione (attesa per Maggio).

Ad ogni modo, L’Isola dei Cani è molto di più di questo. Anderson però, cerca in ogni modo di non dare alcuna spiegazione a quanto accade a schermo, lasciando allo spettatore le numerose interpretazioni e metafore. Lui si limita a raccontare la storia.
Non per pigrizia come accade in numerose produzioni più complicate di quello che in effetti sono, ma per l’efficacia dei dettagli inseriti in scena.

Ogni spiegazione è messa da parte per lasciare posto al legame tra un bambino e il proprio cane.

E in effetti non c’è bisogno di spiegazioni. Quello che accade a schermo è talmente curato nei dettagli che  ogni sequenza è quasi un dipinto, pronto a prendere vita grazie ai modelli in Stop-motion.

I personaggi di Anderson sono anche questa volta  perfettamente imperfetti, e la tecnica  utilizzata è, come per Fantastic Mr. Fox, la più adatta a rappresentarli. A poco più di tre settimane dalla visione, ho ancora impresse nella memoria determinate inquadrature, sintomo di quanto mi sia andato sotto pelle (o sotto retina)  L’isola dei Cani.

Sulla tecnica d’animazione scelta da Anderson ci sarebbero da tirare in ballo i gusti personali ma, dopo il già ottimo lavoro visto in Fantastic Mr. Fox, L’Isola dei Cani riesce a fare anche meglio.

Ci sarebbe poi la colonna sonora, capace di toccare  ulteriori corde emotive, grazie ai brani originali e anche qui, ricchi di richiami nipponici. Una colonna sonora che poggia la sua forza sulle percussioni, che cadenzate e divisorie, pongono fine ad ogni scena.

Wes Anderson non sbaglia il colpo, e dopo Grand Budapest Hotel regala un altro prodotto eccellente, capace di rafforzare i cuori di chi già lo ama e, speriamo, di conquistare coloro che ancora non lo conoscono.

#LiveTheRebellion