Dalla Russia con amore.
Red Sparrow è come un abito da gala,
seducente,
total black dai riflessi noir ma irrimediabilmente macchiato di sangue denso,
memoria di un avvenimento brutale. Eleganza pura che deve spartire la scena con una violenza crudissima, una spy story come tante eppure diversa, perché raccontata girando attorno ai cliché, cercando sempre di non caderci dentro. U.S.A. e Russia nel bel mezzo di una Guerra Fredda mai finita che si trascina fino ai giorni nostri, raccontate senza eroi intenti a salvare il mondo da una teatrale minaccia nucleare o simili, sfondo ormai decadente e superfluo, solo uomini e donne che lavorano facendo le spie, lasciando trasparire tutta la tensione, l’ansia e la sofferenza di questa scelta, o obbligo, senza giocare. Il regista
Francis e il premio Oscar
Jennifer, uniti dall’omonimo cognome, Lawrence, e da un passato che li ha legati alla saga Hunger Games, riuniti per dare vita alle parole dell’omonimo romanzo scritto dall’ex agente CIA Jason Matthews.
Una pellicola torbida,
imperfetta eppure difficile da dimenticare.
La danza delle spie
Dominika Egorova (
Jennifer Lawrence)
è prima ballerina al prestigioso teatro Bolshoi di Mosca, un privilegio cui pochissime ragazze possono aspirare, previa dedizione e sacrificio estremi, pronti a svanire in un istante. Il nobile teatro gremito da un pubblico incantato dalla perfezione della danza, movimenti studiati al millimetro che sembrano dare vita ad ogni singola nota che sprizza dagli strumenti in dote all’orchestra. Atto finale e nuovo inizio scanditi dal salto del proprio compagno di ballo, la misura sbagliata, il peso del corpo del ragazzo sulla tibia dell’orgoglio della Russia,
il suono insopportabile e spaventoso di un osso spezzato di netto, di una carriera infranta, di un sogno sgretolato. Dominika viene messa davanti a una scelta dal suo stesso zio,
Vanya Egorov (
Matthias Schoenaerts), con la promessa di mantenere la propria casa e le cure alla madre, pagate dal Bolshoi che ormai l’ha sostituita e dimenticata, previa dimostrazione di utilità allo Stato. Gli occhi blu macchiati dal sangue di un omicidio studiato a tavolino per renderla testimone e obbligarla ad intraprendere una carriera che non avrebbe mai immaginato. Tutto ciò che succede da questo punto in avanti ha giustizia solo al cinema, penalizzato da trailer che puntano in maniera subdola e marcata all’aspetto sessuale dell’intera vicenda, vero specchio per allodole.
Estetica, atmosfera e protagonista sono il fascino di Red Sparrow, elementi capaci di sedurre e far accantonare le sue sbavature, come quelle di un rossetto sul colletto della camicia.
Il fascino spietato di Red Sparrow sta nella sua estetica ricercatissima (
tanto nella regia quanto nella scenografia) e nei suoi contrasti, un ritmo lento eppure incessante che mantiene la tensione altissima per 2 ore e 20 minuti senza avere mai la sensazione che si stia allungando il proverbiale brodo, lasciando sempre lo spettatore col cuore in gola, mentre l’arte del doppiogiochismo, sempre pronto a moltiplicarsi, mischia costantemente le carte e la percezione dei personaggi.
Atmosfere soffuse, raffinate, d’altri tempi, movimenti lenti e studiati, sensuali, dialoghi brillanti, tragici e provocatori, pronti ad esplodere in
violenza incontrollata, scioccante perché improvvisa e realistica, cruda e senza veli. Chi sarà costretto anzitempo ad abbandonare il palco? Questa la domanda che il film porta a porsi, con la sua provvidenziale assenza di buoni e cattivi vecchio stampo. Il lite motiv della
manipolazione mentale attraverso la comprensione del desiderio fisico e delle perversioni, tassello mancante del mosaico che compone l’interlocutore/obiettivo, è l’arma più potente a disposizione della protagonista e forse anche la parte meno riuscita, non nella
pratica delle situazioni “lavorative”, dove la qualità degli attori le rende scene brillanti, quanto nella
dimenticabile e un po’ grottesca teoria della “scuola per Sparrow”; Luogo dove agenti in erba vengono addestrati alla seduzione, accantonando ogni tipo di orgoglio e imparando ad “amare a comando”, se necessario.
Qui il lato sessuale e violento, fisicamente e psicologicamente,
viene a volte eccessivamente spettacolarizzato e reiterato in maniera superflua al dipanarsi della trama, nonostante la presenza dell’ottima
Charlotte Rampling nei panni della direttrice. Una parentesi che perde estetica e mordente, quasi disillude sulla bontà del film, per poi finalmente lasciarsela alle spalle quando la missione decolla, la teoria rimane un ricordo e il personaggio di Dominika –
eccezionale e magnetica la Lawrence –, presa a sassate da un copione che la vede soffrire le pene dell’inferno, sboccia in tutte le sue sfaccettature; dalla tristezza per una vita mai neanche sognata nei peggiori incubi al desiderio di vendetta, fino al freddo compimento della sua missione, passando per un “amore tra spie”, precisamente con l’americano
Nathaniel Nash (
Joel Edgerton) che finalmente non ingrigisce il noir e anzi gli da più carattere e corpo, tendendo una vera e propria trappola psicologica allo spettatore, attaccato alla poltrona e inerme come una mosca nella tela del ragno.
Atmosfera che poi solidifica,
congela,
e fa rabbrividire nelle scene più concitate. Niente eccessi, niente esplosioni, niente sparatorie su larga scala in mezzo ai centri storici di Mosca, Budapest o Vienna. Una violenza intima anzi, e per questo ancor più soffocante, che solo i diretti interessati possono vedere e ascoltare, soprattutto ascoltare, quando le immagini colpiscono per spietatezza ma vengono accompagnate da
suoni che danno un feedback emotivo ancora più marcato all’intera scena, come il rumore secco della gamba spezzata di Dominika, gli spari metallici, l’ira e il terrore nelle voci. È un film che per classe mi ha riportato talvolta a certe scene del
Ronin di Frankenheimer, molto europeo seppur statunitense, e il recente, adrenalinico e mai troppo elogiato
Atomica Bionda, decisamente più votato all’azione ma accomunabile per filosofia, quella di voler raccontare una spy story fuori dagli schemi. Se la Lawrence indubbiamente
move il sole e l’altre stelle, da protagonista assoluta della produzione, i suoi partner non sfigurano, soprattutto Edgerton e
Jeremy Irons, a fare le veci del colonnello
Vladimir Andreievich Korchnoi, silenzioso personaggio chiave dell’intera, intricata, vicenda.
Red Sparrow è un film che parte da dio, sbanda, ma poi riprende il controllo, coinvolge e soprattutto stupisce, per trovate estetiche e per un intreccio credibile in cui la sua star brilla di luce propria, lasciando in bocca il retrogusto dei film belli, quelli difficili da scrollarti di dosso e che si ripresentano anche il giorno dopo la proiezione,
dimostrando che si può partire dall’argilla dei cliché per modellare un film dalla personalità truce,
spietata e affascinante.
#LiveTheRebellion