Una vicenda soft porno dagli sfocati contorni soft thriller.

Doveva succedere, ad I Love Videogames piace infilarsi ovunque, soprattutto nel torbido, e io personalmente ho sempre voglia di scrivere di cose bizzarre, talvolta fuori target, altre assolutamente superflue e di cui nessuno vuol sentir parlare, ma soprattutto che nessun altro collega vuole scrivere, è più forte di me, “posso resistere a tutto tranne agli articoli senza capo né coda”, come diceva Oscar Wilde. Così quando è arrivato l’invito per andare a vedere, in un appuntamento rigorosamente “al buio” (…dei capitoli precedenti), Cinquanta Sfumature di Rosso, atto conclusivo della love story del decennio, che dico, del millennio, che dico, degli ultimi 6 anni, non mi sono certo fatto pregare. Questa infatti è un’opinione del tutto superflua, estemporanea e assolutamente casuale, di un film del quale 99 nostri lettori su 100 non vedranno mai neanche la locandina. Eppure se avete cliccato per accedere a questa pagina siete ormai complici della mia perversione, quindi non tiratevi indietro e seguitemi nella Stanza Rossa, che fa tanto Twin Peaks e invece sono robe di bondage. Fate i bravi e ammanettatevi al PC, evitate di bendarvi, e abbandonatevi al puro piacere… Di una lettura decisamente poco tediosa.

Harmony in pellicola
Volente o nolente sappiamo tutti di cosa stiamo parlando, d’altronde è uno dei fenomeni letterari degli ultimi anni, per quanto la cosa possa lasciare perplessi. Quella di “Cinquanta Sfumature”, ideata da Erika Leonard James, è una saga che sfrutta la calamita dell’erotismo per raccontare e ghermire l’attenzione verso l’improbabile amore tra un opulento pervertito dal torbido passato e una ragazza un po’ svampita e sognante, inconsciamente a caccia di forti emozioni. Il suo successo è certamente dovuto al tipo di erotismo che si descrive, che trae ispirazioni da perversioni che in pochi erano riusciti a far diventare mainstream fuori dai siti pornografici e pratiche sessuali decisamente fuori dalla portata della maggior parte del pubblico cui si rivolge, quali bondage e sadomasochismo, tutto annaffiato da acqua di rose, ben patinato e ovviamente incastonato in una storia d’amore decisamente canonica. Fast forward di tre capitoli letti e visti e ci troviamo con la strana coppia sposata, in luna di miele e più viziosa che mai, ora a Parigi, ora a Montecarlo, tra jet privati e yacht, dove anche una semplice passeggiata diventa sfilata di moda, con impervie salite affrontate in tacco 12 e completi neri, nonostante il sole a picco di mezzogiorno a 45°.

Tempo 10 minuti e il tour Grey viene interrotto da una chiamata dei suoi collaboratori, i quali avvisano il Nostro che qualcuno si è intrufolato indisturbato, alla Solid Snake dei poveri, nella sala server dalla Grey Corp., con l’obiettivo di rubare dati sensibili, coprendo poi le tracce appiccando un incendio, ma riuscendo comunque a farsi scoprire in tempo zero sgretolando l’unico colpo di scena di tutti i 105’. La dolce Anastasia (Dakota Johnson), nata Steele ora Grey, con quel fare innocente e gli occhi vacui, chiede gentilmente di fare uno zoom sull’uomo ripreso dalle telecamere, ben attento a coprirsi il viso con un cappello calcato sulla testa. È Jack Hyde (Eric Johnson, che non è parente) ovviamente, riconosciuto da un qualche segno particolare impercettibile (lo zoom infatti non cambia praticamente nulla), ex direttore editoriale della casa editrice per cui lavora Ana, cacciato a seguito di pesanti avance alla stessa.

Bon, fine del lato thriller della storia, come guardare Assassinio Sull’Orient Express al contrario.

Cinquanta Sfumature di Rosso è come il masochismo, per tutti gli appassionati di cinema. A molti piace ma nessuno lo dice in pubblico.

Succede tutto con una naturalezza incredibile, disarmante. Non che poi manchino i momenti di “tensione”, non sarà certo l’unica malefatta che il nostro troglodita villain tenterà, però certo la suspense non è il miglior fondamentale registico di James Foley, capitano di una barca dalla rotta estremamente prevedibile. Però, vuoi per l’aperitivo di benvenuto prima di entrare in sala, vuoi perché alle anteprime non si paga e girare di sera per il centro di Milano è così bello, si tende a prendere tutto per alla leggera e godersi la pellicola, chiudendo un occhio anche gli svarioni cinematografici più (mentre scrivo sto cercando un sinonimo dei volgari epiteti che mi balenano per il cervello) clamorosi. È tutto così inconsapevolmente frivolo e tendenzialmente ridicolo che diventa uno spasso seguire il dipanarsi delle vicende, dal punto di vista di un cinefilo. Christian Grey (Jamie Dornan) è fondamentalmente un bambino con troppi soldi, troppo tempo libero e una sessualità un po’ deviata, che risolve le querelle coniugali nella famigerata Stanza Rossa, dove tra arredi ultra-kitsch e reminiscenze da santa inquisizione spagnola, si trasforma in James “Bondage” e mostra allo spettatore una collezione di gadget che farebbe invidia all’MI6 del piacere.

Sicuramente la cosa di più grande valore artistico della produzione.

Lei si scandalizza perché lui tiene una pistola nel cassetto della scrivania, che se abiti a Seattle penso sia la norma, lui le fa guidare una fiammante Audi R8 (dopo averla trattata come la classica “donna al volante”, grande classe), invidia di tutti i petrolhead come me, lei rimane incinta (come dice Anastasia stessa, se si tende a fare sesso per riempire ogni minuto di tempo libero sono cose che vanno messe in conto) e lui in tutta risposta si sbronza come l’Hemingway dei tempi migliori e fa scenate assurde tendenti al pietoso. Robe così, che ti riconciliano con gli scazzi della vita moderna. Parlando di recitazione, i due protagonisti danno il meglio di loro nelle numerose scene di sesso, sia perché tendenzialmente non parlano troppo, byapassando un copione che va bene giusto per fare la differenziata, sia per una questione di recitazione fisica e di una buona regia che punta al coinvolgimento emotivo, con la Johnson che spicca, solitaria, anche fuori da questi contesti, per classe e DNA, mostrando un personaggio decisamente più intraprendente rispetto a quello che ho sbirciato qua e là e di cui mi è stato raccontato, pronta a marcare il territorio e farsi valere anche tra le mura domestiche, queste decisamente, decisamente distanti l’una dall’altra; almeno 300mq, ampio salone, due piani, luminosissimo, in un immobile di pregio nella downtown di Seattle.

Non si può odiare, è un film-piuma che non fa nulla per appesantire l’esistenza degli spettatori, pur avendo il valore artistico di un tubetto di senape. Poi che ci volete fare, sono un sentimentale, e alla fine mi ci sono anche affezionato a questi due improbabili idioti. Per poco, giusto il tempo di smaltire l’aperitivo, ma mi ci ero affezionato. Recupererò gli altri? Se la scelta, pistola puntata alla tempia, è tra quelli e la filmografia di Ben Affleck, probabilmente si. Una situazione in cui spero di non ritrovarmi mai.

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