Orrori mitologici si sommano agli orrori della guerra Iran-Iraq nella Teheran degli anni ’80 dipinta da Babak Anvari.
Vedere arrivare da noi, doppiato per giunta,
un film di un paese la cui cultura cinematografica raramente si affaccia in occidente è già di per se un grande stimolo per un appassionato di cinema. Di sicuro non potevo farmi scappare l’occasione di mettere i miei occhi sull’acclamata creatura di
Babak Anvari e, dopo l’aspirante e improbabile eroe
amerikano Jimmy Vestvood, interpretato dal comico iraniano-statunitense Maz Jobrani, oggi vi parlo di un vero spaccato della Teheran tesa e terrorizzata degli anni ’80 post rivoluzione islamica, stretta in una morsa di sirene anti-bombardamento che hanno lo stesso suono delle costanti minacce di Saddam Hussein. E se alla terribile realtà si aggiungono anche incubi sovrannaturali, c’è da perdere il sonno.
Il fantasma sotto il chador
Un iran popolato da fantasmi e demoni di ogni genere…
Il sogno di
Shideh (
Narges Rashidi) di essere riammessa all’università per continuare gli studi di medicina si infrange contro il suo passato, una condanna radicata nella scelta di essersi inconsapevolmente schierata tra le file dei perdenti durante la rivoluzione islamica. La donna è frustrata, costretta momentaneamente tra le mura di casa con il sogno della sua vita svanito tra le mani. Gli unici svaghi sono una VHS di Jane Fonda con i suo famosissimi esercizi aerobici e la sua bambina Dorsa. Nel mezzo un rapporto conflittuale col marito
Iraj (
Bobby Naderi), medico richiamato al fronte, in Iraq, obbligato a lasciare la moglie sola a gestire la paura per la guerra e gli strani comportamenti della bimba, sempre più terrorizzata da incubi e racconti, quelli di un bambino che dovrebbe essere muto secondo i suoi parenti, da quando un bombardamento gli ha portato via i genitori.
Un vivo e plausibile spaccato di vita persiana, ritratto ocra di un medio oriente lontano dall’allegria (
o presunta tale) occidentale di un decennio coloratissimo, vibrante, eccessivo che forse inconsciamente Shideh brama tramite la Fonda, ripetendo allo sfinimento i suoi esercizi. Una paura latente alla quale però non vuole cedere facilmente, esortata dal marito ad andare dai suoceri, al sicuro, idea allontanata dalla volontà di non abbandonare quella casa, quella città, nonostante le fughe in cantina al mugugnare delle sirene, ormai punto di ritrovo per l’intero condominio.
Il film brilla prima di tutto nel suo essere finestra sul quotidiano,
con attori davvero bravissimi, tanto da solisti quanto in coro, dai cui visi traspaiono tutte le emozioni che vogliono raccontare. Per Dio (
o Allah), è anche un film lentissimo, in cui il lato thriller, almeno fino al giro di boa dei suoi ’84 minuti, è legato principalmente a un tostapane che, con un innaturale e fragoroso rumore, caccerà fuori due fette di pane tostato; davvero da saltare sulla sedia, ve lo assicuro.
…dalla guerra alla dittatura, fino a miti e leggende mai così tangibili
Le cose cambiano quando la piccola Dorsa, dopo un bombardamento che rischia di radere al suolo il condominio, con una bomba incastrata e inesplosa nel salotto dell’appartamento all’ultimo piano, scopre di aver perso la sua preziosissima
Kimia, un’adorabile bambola di pezza. Da questo momento mitologia e superstizione entrano di peso nella loro vita, con i
Djinn, letteralmente “geni” della tradizione mediorientale, a dividere l’appartamento con madre e figlia sotto forma di fantasmi, paure, incubi. “
Se un Djinn prende qualcosa che ti appartiene saprà sempre dove sei“. L’inquietudine di Dorsa, bravissima e cristallina nella performance, da al regista lo spunto per generare tensione e dare sfogo alla creatività, con virtuosismi assolutamente moderni, di classe, dove i classici e quasi fastidiosi “spaventi” sembrano addirittura messi dentro a forza nella sceneggiatura, cliché superflui in un contesto decisamente originale.
C’è anche tutta una più o meno sottile denuncia sociale,
con gli spiriti pronti a prendere la forma di un chador, a sottolineare il disagio di Shideh nell’obbligo di indossarlo fuori casa, come imposto dall’ayatollah Khomeyni. Significativa in questo senso la fuga della stessa, in preda al panico dopo una serie di sconcertanti visioni, senza meta nella notte con in braccio la figlia, fermata da una pattuglia e portata in centrale per non essersi coperta il capo. “
Credi di essere in Europa?“. Il rischio della reclusione e delle frustate, orrore che si aggiunge ad orrore, fisico, psicologico e solo alla fine sovrannaturale. Più paure che mostri insomma, che è poi l’aspetto più interessante e capace di mettere i brividi, come la paranoia di essere segretamente disprezzata da Iraj e la solitudine in cui la coppia si troverà dopo che gli altri nuclei familiari, ad uno ad uno, scapperanno dal condominio, lontano da quella Teheran che rischia di trasformarsi nel nuovo fronte della guerra.
Under the Shadow è certamente un film che vale la pena vedere. Non ho sinceramente trovato il piccolo capolavoro che in molti elogiano, complici alcuni buchi di trama e un ritmo da “balera”, trovando invece un interessantissimo spaccato su un periodo storico che non ho mai approfondito di un paese per noi esotico, lontano geograficamente e culturalmente, vissuto grazie ad
un cast eccezionale in cui spicca e brilla il rapporto madre-figlia tra Shideh e Dorsa, fantastiche. Vera attrattiva di una pellicola originale, ben girata, quasi teatrale, che di horror, inteso come genere cinematografico, ha solo qualche cliché (
il che, per me, è un bene). Un titolo che ha anche un altro merito, quello di essere quasi omonimo di una bellissima canzone di
Rae Morris, così riscoperta e asoltata in loop per tutta la giornata. Non riesco a smettere, che sia la manifestazione di un Djinn? Vai a sapere.
- Attori: Avin Manshad, Bobby Naderi, Narges Rashidi
- Formato: Blu-ray, PAL, Schermo panoramico
- Audio: Italiano, Inglese
- Lingua: Italiano, Inglese
- Sottotitoli: Italiano
- Regione: Regione B (Maggiori informazioni su Formati Blu-ray.)
- Numero di dischi: 1
- Studio: Koch Media
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