Stefano Calzati

Speciale Un Olimpico “no” ai videogiochi come sport

l’eSport è già attività professionistica, tra affari miliardari e pubblico in costante crescita, dando una possibilità di gloria a tutti coloro che amano i multiplayer online e vogliono spingere al limite il lavoro delle software house. Ma c’è davvero bisogno di considerarla attività sportiva?

Qualche giorno fa in quel di Losanna, il Comitato Olimpico Internazionale, custode della memoria e degli ideali a cinque cerchi di Pierre de Coubertin, si è espresso sul possibile ingresso degli e-sport nella cerchia sacra degli “sport”, aprendo in maniera clamorosa a questa ipotesi. I videogiochi ufficialmente considerati vera e propria attività agonistica, che dovrà dotarsi delle strutture necessarie, di rigorosi controlli antidoping e soprattutto rispettare i valori che il CIO protegge dal 1894. Una strada lunga che ovviamente non porterà il nostro amato hobby nei palazzetti di Tokyo 2020 e che pone davanti ad una serie di interrogativi e sfide ad altissimo coefficiente di difficoltà, per rimanere il tema sportivo. Questo speciale sarà estremamente soggettivo, scritto da chi ama i videogiochi come “il prossimo suo”, senza fare polemica sterile ma analizzando la questione per esperienza personale, con uno sguardo al futuro e alle possibili implicazioni di questa storica decisione. Business is business, ma non mettere sullo stesso livello “sport” virtuale e reale.

Dallo Stelvio al pad, in salita
Ora non rielaborerò una sterile descrizione enciclopedica su cosa è o non è lo sport, o di cosa significano quei cinque cerchi che brillano sullo sfondo bianco di una bandiera, i cui valori di pace e comprensione tra i popoli vanno oltre la mera attività agonistica. I videogiochi sono in questo senso un mezzo di comunicazione potentissimo in grado di parlare una lingua comune, quella delle immagini, dando la possibilità a chiunque disponga di una connessione internet di sfidare, collaborare e fraternizzare con i giocatori di tutto il mondo. La bellezza del gioco è ammaliante, totalizzante, sogni ad occhi aperti capaci di schiudersi e diffondere le loro spore solo poggiando l’indice sul tasto “power”, da vivere soli o in compagnia, fruendo dell’arte come del puro svago. Né io ne voi saremmo qui se non amassimo questa forma estrema di creatività. Lo sport però è un’altra cosa. Per il CIO lo “sport” sono tutti quegli eventi regolati da una federazione sportiva internazionale, che per gli eSport corrisponde alla International e-Sport Federation (IeSF), anche organizzatrice e promotrice dei campionati mondiali. Un criterio che però va ben oltre a ciò che l’attività agonistica, svolta per puro piacere personale o per competizione, è in grado di trasmettere a chi la vive o semplicemente la osserva con viscerale passione. Inutile girarci intorno, il sangue che si sputa mettendo in gioco il proprio fisico non può essere paragonato alle ore passate su un qualsiasi titoli, pad alla mano e monitor davanti agli occhi, per perfezionarsi fino a sfruttare perfettamente ciò che terzi, gli sviluppatori, ci mettono a disposizione, in quello che è un puro esercizio mentale.

L’attività fisica è la discriminante che fa da spartiacque tra sport ed altre attività ricreative, amatoriali o professionali che siano.

Sono entrambi sforzi degni di essere vissuti, ma l’ipotesi di vederli affiancati in un’unica competizione, mentre sulla RAI si alternano le immagini dei fondisti del nuoto, in mare aperto per 10km, e i giocatori di League Of Legends, personalmente mi fa rabbrividire. Il calcio non è FIFA e giocare mentre i ciclisti del Giro d’Italia scalano due versanti dello Stelvio in un’unica tappa stimola sentimenti tra la gratitudine (per essere seduti sul divano) e l’ammirazione per veri e propri superuomini verso i limiti dell’autolesionismo. Lo sport mette alla frusta l’organismo e tutti i cinque sensi, è una competizione che si perde nelle oscurità della notte dei tempi e deve essere tangibile in ogni suo aspetto, dallo sparo del direttore di gara fino al nastro della medaglia appesa al collo. Sensazione che una delle più grandi atlete italiane di sempre conosce bene. Federica Pellegrini, campionessa Olimpica, Mondiale (con record nei 200m…) ed Europea (…nei 400m) di nuoto “stile libero”.

 

«Ci sono rimasta un po’ male. Ogni sport ha le sue peculiarità, posso arrivare a capire che per prevale si debbano fare tanti sforzi, ma da qui a definire sport i videogiochi […] Lo sport è fatica fisica, e io ne so qualcosa visto che da una vita sono impegnata in vasca e non solo».

 

Queste le parole rilasciate durante un’intervista al quotidiano Il Tempo che hanno subito scatenato la rivolta dei videogiocatori più accaniti, pronti ad accusare l’atleta di mentalità chiusa, mettendosi di traverso sulla strada di un presunto progresso parlando di “cose che non conosce”. Sicuramente non so quante ore abbia passato la Pellegrini davanti ad un videogioco, ma di sport sa qualcosa e arrivare a quei livelli, per un atleta italiano, soprattutto se donna, è una vera impresa, con leggi che relegano il professionismo a pochissime discipline e lo azzera per chi ha la “sfortuna” di non avere i testicoli. Gli stessi che tutti questi dilettanti mettono sul campo dopo sacrifici e privazioni, tutto per la gloria personale e quella del proprio tricolore, nutrendosi di sogni, vivendoci a stretto contatto e talvolta morendo per inseguirli. Attenzione, tutto questo discorso nulla toglie ad un movimento che fa benissimo quello che si prefigge di fare, appassiona chi è interessato e punta ancora di più i riflettori sul nostro mondo. Semplicemente essere messo al pari dello sport tradizionale è un grave errore di valutazione. Sono attività che trovano un senso percorrendo strade parallele, non per una sorta di apartheid ludica ma semplicemente perché la natura delle attività è troppo diversa, per basi e pratica.

Sicuramente era un incredibile allenamento per nervi e polpastrelli

“Money, get back”
i soldi del movimento eSport fanno gola a tutti:  renderlo sport a tutti gli effetti vorrebbe dire mangiarsi una fetta dELLA torta
Se gli ideali di sportivi ed eSportivi possono sicuramente essere comuni, l’impegno fisico non può essere paragonabile dunque e, per me, è un criterio imprescindibile. “Lo sforzo mentale è degno almeno quanto quello fisico”, sicuramente penserete, casi amici sportivi e videogiocatori (come direbbe Dan Peterson), e io concorderei in pieno se non si stesse parlando di sport. La nobiltà di ogni fatica è da onorare, cercare di scrivere un articolo decente e correre intorno al parco per un’ora, durante una serata invernale (dopo lavoro magari) hanno lo stesso valore e nutrono l’ego in egual misura. Lo stesso CIO la pensa in questo modo, patrocinando attività prettamente cerebrali come scacchi e biliardo, pur guardandosi bene dall’ammetterli alle Olimpiadi, bocciandone ogni candidatura (un conto è essere riconosciuti dal Comitato, un altro è essere sport Olimpico). Questo sconfinamento nel virtuale, ostracizzato dai parrucconi di mezzo mondo ha però un semplice motivo d’interesse che va ben oltre i tempi che avanzano: lo scintillante dio denaro. Business is business dicevo alla fonte di questo fiume di parole, e qui si parla di un giro d’affari impressionante, potenzialmente alla ribalta del palcoscenico più prestigioso al mondo, quello delle Olimpiadi, appuntamento più visto in televisione in senso assoluto, nutrimento per le casse del CIO, che autofinanzia le sue attività coi proventi dei diritti TV. Super Mario che corre i 100m raccogliendo gigantesche monete d’oro. Uno scatto alla Usain Bolt per mettere le mani avanti e vedere come si evolverà la scena eSport che, una volta messa in regola ed elevata al pari delle attività tradizionali, potrebbe attirare davanti alle televisioni milioni di appassionati videoludici. Basta fare qualche ricerca per scoprire come nel 2016 il giro d’affari intorno ai tornei più prestigiosi si aggiri intorno a 463 milioni di dollari, arrivando nel 2020, in previsione, a toccare 1,5 miliardi. Cifre che attirano sponsor sempre più prestigiosi (tra cui Intel e Coca Cola) e fanno lievitare i montepremi di un’attività potenzialmente alla portata di ogni appassionato giocatore, richiamando sempre più pubblico. Insomma, un movimento che in pochissimi anni ha sfruttato la più grande innovazione videoludica dopo il 3D, il multiplayer online, per creare una nuova sottocultura che si muove di pari passo con un’industria in grande fermento e crescita, oltre che andare a braccetto con tutto il circo YouTube (e Twitch), spargendosi a macchia d’olio nell’etere per raggiungere risonanza mondiale.

nintendo sport

Uno sguardo al futuro delle Olimpiadi.

Corsa ad ostacoli
I videogiochi saranno sempre opere di terze parti, con tutti i diritti e il controllo che ne deriva
Una risonanza che può aiutare certamente a sgretolare certi preconcetti che ancora oggi girano intorno a questo medium. Ma siamo veramente sicuri che sia così? La superficialità di chi si approccia a questo hobby solo una tantum attraverso i titoli più famosi, e quindi anche quelli più prettamente incentrati sul multigiocatore, potrebbero portare le software house a spingere ancor di più verso un mercato ormai saturo, pieno di cloni e povero di idee, allontanandosi ancora di più dal single player e dal culto del gameplay per seguire la nuova moda. Un vero rischio, per i puristi e per chi considera forma d’arte il videogioco, con tantissimi team che stanno già tentando la strada del mainstream fallendo clamorosamente, non ultimo Boss Key Productions con Lawbrakers, ideato dal noto designer Cliff Bleszinski, surclassato dal successo di Overwatch e del suo quasi monopolio in ambito FPS online. Se queste speculazioni su intenzioni e futuro dell’industria sono semplici ipotesi/paure, il percorso che dovrebbe portare gli eSport allo status di sport è una strada accidentata, senza guardrail e piena di curve cieche. Innanzitutto, come detto in apertura, l’IeSF dovrà uniformarsi a tutte le altre discipline, creando strutture, dalle “palestre” alle arene per i tornei fino a ferrei controlli antidoping, passando per la lotta al mercato sommerso delle scommesse clandestine e conseguente rischio di combine. Obiettivi raggiungibili che si scontrano con un paradosso di proporzioni enormi. Qualunque videogioco è proprietà intellettuale di terze parti e le software house hanno ovviamente pieno potere di modifica, aggiornamento e in generale controllo. I campi da calcio sono di tutti, le vasche pure, le strade per praticare ciclismo anche. Sia chiaro, questo discorso vale nel remoto caso che gli eSport siano un giorno ammessi tra i giochi a cinque cerchi, ma è sicuramente un punto su cui dibattere. In questo caso il CIO potrebbe davvero sacrificare il suo controllo superpartes? Oppure si attrezzerebbe per creare titoli ad hoc, sviluppati internamente e quindi fuori dal controllo delle major? In questo caso la fuga in massa di sponsor e appassionati potrebbe essere inevitabile, ponendo interrogativi anche sulla reale qualità ludica di tali prodotti. La mano degli studi di sviluppo più prestigiosi e preparati dovrebbe esserci per forza di cose anche in questo caso, se si vuole portare davanti alla platea mondiale un format appassionante e di qualità assoluta. Tutto questo discorso mentre la mente ripesca fotogrammi di dimenticabilissimi titoli ufficiali dedicati ai vari Giochi Olimpici.

Punti di vista personali, opinabili (ed è anche questo il bello) di un cultore del videogioco come attività spirituale e ricreativa, diametralmente diversa dalla mia idea di sport, praticato e osservato. Ennesimo spunto di discussione che sia apre su un medium in costante fermento come nessun altro, brodo primordiale di un pianeta appena nato ma che vuole già diventare adulto.

#LiveTheRebellion