Nel 1997, anno di uscita di Super Mario 64, occorrevano ancora 24 mesi prima che io venissi alla luce.
Da umile fanalino di coda del decennio (e del millennio) ho sempre guardato con grandissima curiosità i miti e le leggende degli anni ’90. Alcuni vecchi saggi parlano di ancestrali Squali Palestrati e di atavici Attacchi d’Arte, altri addirittura menzionano un misterioso “Solletico”. Ma fra tutte, la leggenda che preferisco è quella che narra di un’improbabile eroe che viaggia per terre ostili e inesplorate, sempre e comunque con il sorriso stampato sulle labbra. Avete capito di chi sto parlando? Dai, vi do un indizio: non conosce tanto bene l’inglese, di cui sa solo qualche parola. Qualcuno ha ancora dei dubbi? E va bene, un altro aiutino, anche se rende il gioco troppo facile: comincia con “M”.
Sono sicuro che abbiate indovinato. Sto ovviamente parlando di Shigeru Miyamoto.
Cosa? Pensavate che fosse Mario? Beh… non avete tutti i torti: la descrizione è adatta ad entrambi, e in fondo questo articolo parla di lui, ma almeno per un attimo vorrei concentrarmi sulla figura del suo creatore. Un uomo che, a capo del suo team di prodigi informatici, ha reinventato la ruota videoludica in più occasioni, ma la cui visione più incredibile è quella che permea il capolavoro senza tempo noto come Super Mario 64.
Ad accoglierci al varco è Lakitu, promosso da scagnozzo di Bowser a cameraman: a bordo della sua nuvoletta volante ci accompagna in una spettacolare ripresa continua attraverso gli alberi e i corsi d’acqua del rigoglioso giardino del castello di Peach. Poi la visuale si posa ai piedi di un familiare tubo verde da cui emerge Mario, in tutta la sua gloria poligonale, pronunciando il primo di una lunghissima serie di “Yahoo!” doppiati dal buon Charles Martinet. Benvenuti nel magico mondo dell’asse Z, instancabile dispensatore di dolcissime memorie. Perché è di questo che tratteremo oggi: i ricordi più speciali legati alle avventure di Mario.
La più grande trollata degli anni ’90. Ma anche il più grande gioco
Oh Miyamoto… cosa significherà mai questa frase, che alcuni giocatori giuravano di poter leggere nella texture di una fontana? In un periodo in cui internet era ancora agli albori, da questo messaggio in codice scaturirono le più selvagge teorie, la principale delle quali interpretava quella “L” come “Luigi”. Luigi è reale? Nel senso che è giocabile? E come facciamo ad ottenerlo? Che quel “2401” siano monete da collezionare, Goombas da pestare, salti concatenati da eseguire, madonne da tirare per la frustrazione? Una porzione della community nintendiana era decisa a trovare la chiave che avrebbe permesso di vestire i verdi panni dello smilzo fratello minore. Oggi sappiamo che quella texture era del tutto innocua (la ritroviamo anche in Ocarina of Time) e che Luigi sarebbe diventato “reale” solo con il remake per Nintendo DS. Ma il fatto che i fans avessero messo così tanto impegno nell’indagare il mistero è indice della profondità di quest’opera videoludica, strabordante di segreti in ogni angolo. Chi ha esplorato il titolo da cima a fondo ricorderà sicuramente la comodissima scorciatoia nello scivolo di ghiaccio, che permette di battere sul tempo l’odioso pinguino gigante. Proprio così, anche i muri più insospettabili nascondono corpose ricompense, come il livello desertico (completo di piramide completamente esplorabile) che si cela dietro una normalissima parete dello scantinato. Ma la bellezza di Super Mario 64 non si limita ai segreti: anzi, alcuni dei momenti più belli sono in piena vista. La gioia di fare una sporadica incursione a Bob-omb Battlefield e confrontarmi con il baffuto boss mi tenta tutt’oggi, motivo per cui il mio Nintendo 64 è costantemente collegato alla TV. Per non parlare di Dire Dire Docks, area di gioco in cui risplendono sia il comparto audio tramite l’indimenticabile e dolce melodia subacquea, sia il comparto video, che ritrae le profondità lagunari in maniera efficace. L’ambiente acquatico era anche residenza della terribile murena, mostro marino padrone del fondale, nonché incubo ricorrente di chi ci si imbatté da piccolo. Una delle stelle più difficili da ottenere era proprio fissata alla coda serpeggiante del viscido murenide.
Tutti coloro a cui la murena aveva messo una fifa bestia dell’acqua saranno rimasti di sasso quando venne annunciata l’ambientazione della avventura successiva: Delfino Island, un immacolato paradiso tropicale. Questa isola lussureggiante viene scelta come meta vacanziera da Mario, e tocca a noi esplorarla in Super Mario Sunshine. Un titolo fantasioso, che può essere tradotto con “raggio di sole”, anche se è legittimo chiedersi quanti raggi di sole riesca a vedere il nostro protagonista da dietro le sbarre. Eh sì, avete capito bene! La sua fedina penale è sporca tanto quanto l’isola, insozzata da strani fanghi maleodoranti e deturpata da orridi graffiti, di cui lui è il principale indiziato. La popolazione locale di Palmensi (esprimendosi tramite il voice acting discutibile del titolo) obbligherà il povero idraulico in ferie a ripulire l’intera baracca da cima a fondo utilizzando FLUDD, un idrante/jetpack portatile con la bizzarra peculiarità di essere senziente.
Sunshine osava troppo, cercando di uscire dall’ombra di Mario 64
Tutte le caratteristiche che ho citato erano novità assolute, ma se alcuni di questi cambiamenti sono rimasti a costituire le fondamenta dei giochi successivi, altri (sopratutto il voice acting) si sono fortunatamente rivelati tangenti alla serie, allontanandosene per sempre. Si tratta indubbiamente di un gioco controverso, in cui la rottura con la tradizione è stata forse un po’ troppo forte, ma che anche per questo ha tante situazioni uniche da offrire. Chi ci ha giocato ricorderà che l’isola non sembra una serie di livelli a casaccio, ma è un luogo verosimile e interconnesso. Dalla cima della ruota panoramica del frizzante e gioioso Pinna Park è possibile vedere le seducenti spiaggie rosse di Sinera Beach e il relativo Hotel/Spa, interamente esplorabile in una delle missioni più riuscite del gioco. Aguzzando la vista, da Delfino Plaza possono essere scovati il porto commerciale Ricco Harbor e l’arioso paesaggio collinare delle Bianco Hills. Questa coesione generale mi ha sempre suscitato emozioni positive e indescrivibili, donando concretezza alle texture di modesta risoluzione e conferendo all’acqua le sensazioni di temperatura e densità. Per non parlare di Noki Bay, livello che mi stregò sia con il suo motivetto musicale dal tono tribale e sereno, sia con la sua imponente bellezza: uno spettacolare promontorio dalle pareti umide e muschiose, caratterizzato da una possente cascata che si abbatte sulla nicchia di mare incontaminato sottostante. Voglio andarci a vivere. Un’ultimo aspetto caratterizzante del titolo è la sua difficoltà: ancora sudo freddo pensando a quei livelli composti da forme geometriche fluttuanti che roteavano e si contorcevano le une sulle altre. La versione “a cappella” del brano di Super Mario Bros. (che suonava in questi frangenti) veniva puntualmente ed abbondantemente insaporita dalle bestemmie che popolano le retrovie più blasfeme e oscure del nostro subconscio. Chissà invece da che parte della psiche degli sviluppatori venne riesumato l‘onirico Sandbird, il misterioso animale di rena sdrucciolevole sul quale bisognava rimanere in equilibrio durante il volo spiraleggiante attorno ad un’altissima ed inspiegabile torre.
È giunto il momento di passare la palla al mitico Stefano, che vi racconterà di quella volta che, con un colpo deciso di Wii Mote, Nintendo ha spezzato le catene della gravità e ci ha fatto volare con la fantasia; per poi concludere con le recenti incarnazioni “pelose” della serie, che hanno divertito i possessori 3DS e Wii U con i loro costumi animaleschi e il loro gameplay che guarda alle origini.
Dalla mela di Isacc Newton a Super Mario Galaxy
Super Mario Galaxy: lineare, ma quadrato
Se l’ottimo Edoardo è diventato pazzo per titoli usciti quando non era ancora nato o era troppo piccino per giocare “live”, io avrei potuto anche viverne l’epocale carpe diem videoludico se non fosse che PlayStation monopolizzava la mia scena casalinga e Nintendo era relegata alle quattro mura delle dorate e splendenti portatili, mio feticcio da 20 anni. Incredibilmente quindi, il mio primo incontro con la tridimensionalità mariesca avvenne al di fuori del sandbox, sui mille pianeti che impreziosiscono come perle due galassie che vivono nello spazio profondo della nostra mente, la cui gravità attrae giocatore e Wii Remote verso il televisore, sperando di poterci entrare come negli psichedelici quadri a 64-bit. La legge fondamentale che regola l’universo, capita e studiata da Isacc Newton grazie ad una semplice mela (leggenda vuole), viene utilizzata quindi nel modo più nobile possibile, rendendola virtuale e donando al giocatore un’avventura dalle mille attrattive, condita da una fisica sofisticata, talvolta volutamente bizzarra e insuperata nel genere, che muoverà mondi provvidenzialmente tondeggianti, accoglienti ed esplorabili su ogni asse. Mele che ritornano in succoso formato videoludico per una delle sezioni più sognanti dell’intera produzione, in cui il frutto delle terre Trentine fluttua a mezz’aria attaccato da bruchi giganti, giocando con le sensazioni dell’utente che più volte si trova sottosopra, affamato, estasiato per cotanta beltà sferica. Fiori di ghiaccio per congelare l’acqua al contatto, potendo saltare così da cascata a cascata, dando vita ai wall jump più coreografici si sempre, per poi pattinare su corsi d’acqua fino a un minuto prima allo stato liquido, come baffuti Evgenij Pljuščenko. Soluzioni di game design da far accapponare la pelle, prova schiacciante che i neuroni sono liberi al pascolo in quel di Kyoto, dove una semplice molla può trasformarsi in un nuovo, rimbalzante, power-up. Una continua messinscena di elementi nati dal peccato originale di Mario 64 e portati ad un livello di giocabilità pura superiore, senza pretese esplorative ma che portano la “sorpresa del bambino” sui volti di ogni essere umano, dove correre su una manta (non la Opel, per carità) attraverso corsi d’acqua fluttuanti attorno a buchi neri è normale come affrontare il livello 1-1 di Super Mario Bros.
Meraviglie stilistiche cui non basterebbero 10 speciali per essere raccontate con un minimo di riverenza.
Alle quali si aggiunge un tasso di sfida quasi pornografico, spingendo il giocatore al 100% e oltre solo per il gusto di padroneggiarne le sue matematiche regole astratte. Una doppietta che sgretolò i discorsi di scarsa potenza computazionale dell’esperimento motion di Nintendo, regalando al mondo il miglior titolo della generazione, certo come la forza di gravità, alto nell’Olimpo, raggiungibile creando nuvole col giusto costume.
2D… tridimensionale?
La sottoserie Super Mario 3D porta su schermo un’idea scartata per Mario 64: fare il verso ai capitoli a due dimensioni
Un ossimoro, soluzione impraticabile per chiunque eppur così semplice per chi crea giocattoli di digitale bellezza. La serie 2D, la più nobile e antica che incontra l’agilità e le mille variabili delle tre dimensioni, andando a creare diorami che viene voglia di prendere in mano e ammirare e rimirare, così asserviti al gameplay totale dove ogni elemento è messo li per creare quell’impalpabile sostanza chiamata divertimento. Land e World, nomi importanti, tributi ad un passato sempre presente, tanto nella memoria quanto sugli eShop (in attesa che anche quello di Switch apra il suo cuore), per identificare due opere, una portatile e una casalinga, che sono riuscite ad “approfondire” i saldi e rigorosi concetti bidimensionali. Land è rigoroso nel suo splendore stereoscopico, biglietto da visita per le potenzialità di 3DS e vero esperimento di trasposizione 2D-3D, portando con se tutti gli elementi che hanno reso iconica la saga madre, come power-up e bandiere di fine livello, donandogli però un profondo respiro, come quello che si prende a pieni polmoni in alta montagna. La sensazione è quella di aver visto sempre una skyline sul filo dell’orizzonte, per poi avvicinarsi sempre più fino a poterne esplorare ogni vicolo, anfratto, alzando gli occhi al cielo mentre giriamo di 360° sui tacchi, desiderando più di ogni altra cosa la tuta da gatto di Super Mario 3D World per ampliare ancora di più la propria concezione di spazio. La verticalità raggiunta dall’episodio Wii U dimostra la ricerca di approcci sempre nuovi per quanto semplici, andando ad osare in soluzioni fuori dal mondo e a dosare i tributi, per andare a creare qualcosa di totalmente unico in ambito mariesco.
Spesso poco capito dal pubblico che aspettava Odyssey senza ancora saperlo, 3D World propone soluzioni e caramelle di gameplay spesso ancora più bizzarre ed estreme rispetto a Galaxy, il quale tutto sommato, nell’immensa meraviglia appena descritta, era lineare nel suo incedere. “A cosa sto giocando?” è una frase sospesa a metà tra sogno e realtà ad ogni nuova trovata, quando nel giro di pochi livelli, disordinati per mondi di gioco assolutamente privi di tema (il che aumenta il senso di sorpresa/spaesamento) ci troveremo a correre come docili ghepardi nella savana travestiti da felino, per poi venir accecati dalle sfavillanti luci dei casinò e finire nella scivolosa sabbia a dorso della plasticosa Plessie, catapultati a gran velocità su un circuito di kart, dopo essere scampati da castelli giapponesi farciti di trappole e aver inseguito la bandiera di fine livello correndo sulle nuvole. Il troppo che non stanca mai, eccezione che conferma la regola, un titolo che travolge la scena platform come un treno in corsa (il livello del treno, signori), chiudendo il sipario solo dopo minuti e minuti di applausi. Architettura poligonale, sculture eterne contro cui gli elementi terreni non possono nulla, scolpite direttamente nel nudo immaginario videoludico. Arte moderna.
Per fortuna che Mario c’è!
“Quando c’era lui” e, per fortuna, lui c’è ancora! Pronto all’Odissea come un moderno Ulisse nel mare in tempesta del level design, sbattuto qua e la da sadici programmatori-artisti che da più di 30 anni continuano a lucidare la luminosa stella dell’idraulico avventuriero, nonostante il mercato in continuo mutamento, le mode passeggere in incessante susseguirsi, l’icona di tutto il movimento resta lui, senza prendersi mai troppo sul serio e noi con lui. Mario diventa Super e chi gioca diventa felice, grazie ad una magia che solo i videogiochi sanno trasmettere, incantesimo della bellezza racchiusa nella pressione del tasto A. Un vero, inimitabile, salto di gioia.
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