Nel 2003, il fu team R&D 1 interno a Nintendo (oggi sparpagliato tra i vari studi EAD) creò su Game Boy Advance un nuovo, folle genere, composto da una valanga di micro-giochi risolvibili in una manciata di secondi. Un gameplay carpe diem dove ogni attimo ha un gusto unico. Inviate curriculum presso la WarioWare Inc. per saperne di più!
Hirofumi Matsuoka, director di uno dei progetti più folli mai approdati sotto i polpastrelli dei videogiocatori aveva anche un curriculum rispettabile fin quando i suoi freni inibitori non vennero sganciati da Wario, nostro villain videoludico preferito. Per intenderci, parliamo di uno che è stato designer di Metroid e Super Metroid, due titoli seminali che portarono alla maturità il genere degli action-adventure bidimensionali.
Qualcosa cominciò a scricchiolare nel 2001, con un Wario Land 4 che sfondò gli argini della sanità mentale, già precari, di una serie nata per essere irriverente contrapposizione di Mario e del suo Regno Dei Funghi, nobile portabandiera della casa di Kyoto e per questo sempre politically correct. Ma quello che nel 2003 (2004 nel Vecchio Continente) approdò nei Game Boy Advance dei giocatori itineranti di tutto il mondo, fu un titolo totalmente alieno, spiazzante, nuovo come concezione, sviluppo e narrazione, una tempesta di luci strobo dove assumere pillole di gameplay ogni 5 secondi circa, per evitare attacchi epilettici e quant’altro. La confezione, pardon, cartuccia che le contiene ha scritto sul retro una sola controindicazione: “può indurre assuefazione”.
Wario, avido fondatore del movimento indie?
Ma cos’è WarioWare Inc.? Una domanda alla quale si può rispondere in molti modi, tutti più o meno inconcludenti. Fisicamente è una start up di sviluppo videoludico fondata dall’avido Wario per lucrare sugli appassionati giocatori come noi. Un’idea nata guardando il telegiornale, mentre passava la notizia dell’inesorabile incremento delle vendite di videogiochi, anche se molto presto capirà che creare piacere ludico non è un mestiere da tutti, soprattutto se si è gretti e un po’ incapaci come lui. Così decide di mettersi in società con i suoi amici, farsi aiutare nello sviluppo, di cui noi saremo i Beta Tester, sbirciando di continuo attraverso la quarta parete e sentendoci nel vivo di un pazzo progetto con l’obiettivo ultimo di fare soldi a palate.
9-Volt, DJ con la passione per il retrogaming. Questo è stile!
Dalla nostra posizione di cavie riusciamo quindi a dare un’altra risposta alla domanda iniziale. WarioWare Inc. è un bombardamento di 100 e più micro-giochi, da affrontare trattenendo i fiato attraverso nove cartelle virtuali create da Wario & Co., con un’occhio sul timer-bomba in basso a sinistra e l’altro che legge il verbo imperativo che indica l’azione da eseguire, trasmettendo l’informazione prima al cervello e poi alle dita. Sul piccolo schermo delle meraviglie, adibito a desktop di un kit di sviluppo, si alterneranno a velocità e difficoltà crescente ciliege di gameplay dove una tira l’altra: far rimbalzare un’omino stilizzato su un trampolino elastico, arrotolare una forchettata di spaghetti, mettere il collirio a uno strano tizio, ripercorrere scene epiche dell’era 8-bit Nintendo (da F-Zero al Virtual Boy, passando per R.O.B., racchiusi nell’autoironica enciclopedia di 9-Volt), risolvere rompicapi e rimanere esterrefatti davanti alla realtà vista dagli occhi del Dr. Crygor, tutta stop-motion e festival dell’assurdo, per poi incantarsi davanti a microscopiche sfide sportive e automobilistiche, senza limiti, vivendo un costante ed esilarante Natale. La teoria del tutto, di tutti i generi, raccolti in un ricettario che è pura pornografia per ludo-maniaci.
L’uso del mignolo è la sottile linea che divide un uomo di classe da un cavernicolo.
D-Pad e tasto A basteranno per risolvere tutte queste inspiegabili situazioni, trasformandosi prima in idranti, poi nella lingua della “lucertola dell’amore” (niente domande, grazie) e ancora in un’ombrello che dovrà riparare un gattino dalla pioggia battente. Una sottrazione di tasti e combinazioni al servizio di una varietà straordinaria, che ridicolizza i moderni sistemi di controllo touch degli smartphone e porta in trionfo un titolo che si può tranquillamente definire “il gioco portatile perfetto“. Scuola di game design nata su carta, precisamente quella dei famosi Post-It, su quali ogni elemento del team disegnava uno schizzo del micro-gameplay che aveva in mente, il quale sarebbe stato promosso o bocciato in base all’intuitività che trasmetteva. Immaginazione che da potere impalpabile diventa tratto disegnato a matita su quadratini di cellulosa colorata, per poi ritornare astratta, virtuale. Giocare con l’immaginazione di un’altro essere umano, divertirsi con le loro personalità, le loro piccole storie, impresse per sempre in un codice.
Occhi e orecchie esclamano: “Cosa diavolo sta succedendo?”
Un puzzle con pezzi tutti diversi per forma e colore che si incastrano alla perfezione per formare l’immagine fisica della follia giapponese. Davanti alle retine del giocatore, ormai irrimediabilmente assuefatto ed estraneo agli avvenimenti del mondo reale, si susseguiranno un’infinità di stili estetici alla velocità di una “serata diapositive” anni ’90. Dal già citato stop-motion, inquietante ed esilarante distorsione della realtà, si passa alla più superba delle pixel-art dagli 8 ai 16bit, per poi ritrovarsi immersi nell’arte pittorica giapponese dopo esserci avventurati nell’immancabile stile anime, in una compilation visiva senza senso compiuto, se non quello di far scattare un colpo di fulmine che ci farà convolare a nozze giocando fino a che “morte non ci separi”. Personaggi e mondo di gioco fanno poi venir voglia di una creare una versione RPG del titolo seduta stante per esplorare quella pittoresca città e fare due chiacchiere con i suoi psicopatici abitanti, ognuno dotato di un doppiaggio fatto di esclamazioni insensate, parole inventate e perfino parole in italiano, per non dimenticare le origini di Wario e i suoi fratelli. Il fatto che siano riusciti a definire “Strano” il genere dello stage di Mona, la dice lunga su quanto lo sia davvero, visto il tenore di tutta l’opera!
Ma questa accozzaglia perfettamente amalgamata di stili non è nulla di eclatante, se confrontata con una colonna sonora che si fa beffe di spartiti e note per farci ascoltare melodie MIDI volutamente fuori tempo, a tratti persino fastidiose ma geniali come i pezzi più anticonformisti dei Radiohead, protestando contro ogni convenzione musicale e buon senso per sottolineare la generale deviazione di un prodotto che sembra dire “sono appena fuggito da un manicomio di Kyoto”. Splendida in questo senso la traccia che accompagna le scorribande in taxi del duo Dribble & Spitz, che durante un acquazzone notturno di incredibile atmosfera, fanno suonare il nastro della loro musicassetta preferita, un jazz sintetico cantato da una sensuale voce giapponese, che sembra aver deciso di registrare la traccia al citofono.
Un’estetica estrema, unica, che esagera, osa e vince a mani basse con il suo stile che è totale libertà creativa e d’espressione, così come il gioco tutto, espressione di una Nintendo capace anche di togliersi lo smoking dell’eleganza videoludica per correre nuda in mezzo alla strada di un mercato che ha sempre bisogni di questi colpi di genio. Un titolo che diventa sinonimo di “gioco” nella più pura delle sue accezioni, anarchico distillato di gioia 0-99 adatto a qualsiasi persona che voglia semplicemente divertirsi, stupirsi e ridere a crepapelle.
E a questo punto potrei dirvi “grazie per aver letto!”, ma sento il bisogno di dare rilevanza ad un eroe Nintendo abbandonato al suo destino, relegato nell’immaginario della WarioWare Inc. ma che avrebbe meritato titoli a se stanti per qualità ludica e carisma totale. Sto parlando di uno dei minigiochi (non micro), sbloccabili raggiungendo determinati obiettivi, uno dei mille segreti sparsi nei meandri del fittizio dev-kit, colui che ha fatto salire sulle spalle di Wario la scimmia del guadagno facile legato ai videogiochi: Pyoro.
Mega-micro retrocensione: Pyoro, l’IP nascosta
Di minigiochi nella mia carriera ne ho scovati, provati, sbloccati tanti, ma Pyoro resta il Mario 64 di questo sotto-genere, bonus oscuro architettato dai designer più generosi e pratica oggi decisamente ridimensionata, almeno fuori da Kyoto. Pyoro è un volatile che non sa volare e non è nemmeno tanto svelto nel camminare, ma compensa la cattiveria di Madre Natura con una lingua chilometrica e appiccicosa, esagerata versione dell’organo che ha reso famosi rane e rospi sul palcoscenico animale. Ghiotto di rape dovrà fare avanti e indietro nella sua piccola prigione 4:3 a cielo aperto per sfoderare la sua lingua rigorosamente in diagonale, obbligando il giocatore a prendere la mira verso il vegetale in caduta libera e tenendo premuto il tanto A di Ancona per tutto il tempo necessario ad allungare l’organo gustativo a dovere. Ogni boccone che cadrà al suolo creerà una piccola voragine, ridicendo il già esiguo spazio vitale del nostro uccellino e cercando di mangiare le rape luminose per riparare il terreno sotto le nostre zampe. Genio puro, come chi ha giocato questa partita.
La profondità sta nel punteggio, elargito in base alla distanza tra noi e la prelibatezza. L’accumulo compulsivo di numeri da 50 a 1000 farà mutare lo sfondo in un’escalation di psichedelia e meraviglia, facendo comparire prima monumenti storici e poi dandogli vita, tra luci, fuochi d’artificio e una colonna sonora sempre più acida e incalzante. Sbloccare Pyoro 2 sarà poi l’orgasmo finale che trasformerà il concept in uno sparatutto a base di semi (probabilmente quelli che ha ingoiato precedentemente) sempre e comunque in obliquo. Il simpaticissimo volatile farà geniali comparsate anche in altri titoli della saga, approdando persino stand alone su DSi Ware (quindi anche su 3DS) con questi due primi episodi, rendendogli un po’ di giustizia ma tenendolo sempre lontano dalla consacrazione cui meriterebbe di aspirare. Il tuo pubblico ti ama e non ti dimentica, cercando sempre un nuovo high score, aspettando che mamma N ti faccia spiccare il volo!
“Grazie per aver giocato!” ci dice Satoru, eternamente impresso nei pixel di un’opera incredibile che mai invecchierà, un carnevale dove tutti possiamo vestirci da Peter Pan, resettare i salvataggi e immergerci nuovamente nello stupore, ringraziando questo universo per emozioni così vere, sintetiche, sincere.
Divertimento e lacrime. Grazie a te Presidente!
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