Non avere praticamente nulla in comune con il manga e  l’anime  originali è l’ultimo dei problemi del Death Note di Netflix.

Fin dal primo annuncio dell’adattamento americano dell’opera di Tsugumi Oba e Takeshi Obata, il web era pieno di torce e forconi, frutto di preconcetti e di  primi trailer che già ai tempi puzzavano di prodotto fallace. Il 25 Agosto, Netflix ha finalmente rilasciato in tutto il mondo il suo Death Note, diretto da Adam Wingard (famoso per pellicole come VHS e VHS 2 e Blair Witch) e dopo una visione in lingua originale e una seconda parziale in italiano pochi istanti dopo (giusto per sentire se Nat Wolff guadagnasse dall’adattamento nel nostro idioma) posso ammettere che i timori erano fondati ma, come abbiamo detto in apertura, il paragone con il manga è l’ultimo dei problemi.

Sì perché Death Note è un film che anche preso a sé stante  risulta blando e  stupido, pieno di trovate al limite del decoroso e veramente orribile, sempre che non lo stiate guardando con gli amici, perché in quel caso posso assicurarvi che non mancheranno le risate per le scemenze che vedrete a schermo.

Perché è questo che è il Death Note di Netflix in una parola sola:

Scemo.

L’amore sul quaderno della morte
Penso che ormai lo abbiate capito, non faremo paragoni tra la pellicola di Adam Wingard e l’opera originale, semplicemente perchè oltre i nomi dei personaggi e  qualche atteggiamento, i due media non hanno niente  in comune. Nel caso voleste vedere qualcosa di più fedele, i film giapponesi sono disponibili gratuitamente su VVVVID. Ma Death Note non funziona neanche preso da solo, senza alcuna conoscenza dell’opera originale. Light Turner (Nat Wolff) durante una giornata di pioggia trova un quaderno sospetto, che reca la scritta Death Note, aprendolo, troverà un’infinità di regole  numerate, tra cui spicca ovviamente la prima “L’umano il cui nome verrà scritto su questo quaderno, morirà“, da lì a breve, incontrerà il Dio della Morte Ryuk (Willem Dafoe) in una delle scene più ridicole mai girate  nella storia del cinema. Peccato che  l’intenzione del regista era (presumibilmente) incutere ansia e paura, non riuscendoci neanche minimamente a causa delle urla imbarazzanti dello stesso Nat Wolff.

Da lì in poi il film è tutto in discesa, tra  Light che rivela il tutto a Mia Sutton, cheerleader della scuola di cui è invaghito, le abilità del quaderno, morti splatter alla Final Destination, i due che ci danno dentro eccitati dal potere, inseguimenti infiniti e surreali, ed una risoluzione finale  da mani nei capelli. Il tutto potrebbe anche essere apprezzato se preso come un film parodia, ma dietro la pellicola di Wingard ci sono 40 milioni di dollari e  un intento serio.

La cosa più stupefacente è che, prima della mezzora finale, l’attore che ha dato la miglior prova di recitazione è Keith Stanfield, criticato fin da subito dal popolo di internet perchè avrebbe interpretato L pur essendo afroamericano. Bravo Internet hai fallito di nuovo.
Anche Ryuk, che nella penombra sembra pure ben realizzato,  quando viene inquadrato completamente sembra un pupazzo bruttissimo sotto anfetamine e neanche lontanamente paragonabile a certi cosplayer del personaggio (o anche solo alla CGI scadente delle produzioni giapponesi), c’è da chiedersi perché Willem Dafoe si sia prestato a questo orrore, ma probabilmente è stato incastrato per omicidio e la produzione ha insabbiato tutto o ha semplicemente il mutuo da pagare. Fortunatamente la sua risata, sebbene  molto simile a quella del Green Goblin di Raimi, è praticamente una delle pochissime cose che si salvano di questo Death Note.

Qui ci mettiamo una canzone fuori contesto
Se ci si fermassimo a ragionare su ogni personaggio e sugli atteggiamenti passeremo delle ore a trovare ogni cratere nella trama, ogni incongruenza, ogni momento sbagliato e surreale, perdendo tempo che si sommerebbe a quello impiegato nell’assistere al tutto. Ma ci sono cose che non si possono tacere, come la scena del ballo in cui i poliziotti che dovrebbero seguire Light non lo riconoscono perché non porta più un cilindro. Oppure un inseguimento infinito tra L e Light con una musica di sottofondo elettronica che dura due minuti e mezzo pieni di spintoni a poveri innocenti completamente inutili. La canzone fuori contesto pare un tema ricorrente di tutta la produzione di Wingard, che probabilmente era sotto l’effetto di stupefacenti quando ha partorito alcune idee. Questo enorme circo si muove sulle spalle di un Nat Wolff incapace e bofonchiante che fortunatamente diventa leggermente più gradevole doppiato in italiano.

Quindi no, anche preso senza alcuna conoscenza della serie originale , Death Note di Netflix non è un bel film, non è neanche gradevole, ed è pieno di incongruenze logiche e buchi di trama evidenti. L’unico modo per apprezzare questo obbrobrio è prenderlo come una parodia, ben consci che  non erano queste le intenzioni della produzione. Ma se  come detto dal padre di Light Turner, il Karma  esiste, le persone che hanno lavorato e preso parte a Death Note (esclusion fatta per il povero Dafoe che ricordiamo probabilmente è finito per caso sul set) non dovrebbero più trovare lavoro.

Ovviamente si scherza.

 

O forse no.

#LiveTheRebellion